C’è energia in queste stanze
L’artista coreano Do Ho Suh lavora sull’interpretazione degli spazi dove ha vissuto, riproducendo ambienti e dettagli architettonici con tessuti impalpabili dai colori irreali. Lo Smithsonian American Art Museum di Washington ospita fino al 5 agosto una s
Trasparenti e sospese. Le architetture di stoffa di Do Ho Suh sembrano sul punto di svanire. Nelle sue installazioni ci appaiono corridoi, sottoscala, porte, spazi residuali di vita, di passaggio tradotti in tessuti impalpabili e scanditi da colori irreali, onirici. Aleggiano come fantasmi. Sono le stanze della sua memoria, gli studi in cui ha lavorato, le case in cui ha vissuto, gli ingressi che ha attraversato da migrante. C’è la casa d’infanzia a Seul, c’è la casa-studio da ragazzo a New York, e poi quella di Rhode Island, gli studi di Berlino e Londra. Ogni architettura è tradotta in un doppelgänger: una replica sentimentale, astratta e allo stesso tempo dettagliatissima, in scala uno a uno, realizzata stratificandone i segni in un processo di registrazione estenuante. Prima l’artista coreano riveste gli interni, stende e incolla alle pareti grandi fogli
Una tessitura di segni racconta il luogo e la sua storia
da disegno. Più che una carta da parati, il risultato è una seconda pelle che corre su ogni superficie. A questo punto, inizia un delicatissimo frottage, una registrazione dello stato di fatto, come un calco. Doh Ho Suh usa una semplice matita. Con questa ripassa, sfuma, ritocca la superficie bianca, che così cattura spigoli e minuzie: una tessitura di segni che raccontano il luogo, la sua storia e il passare del tempo. Appaiono una maniglia, un vecchio interruttore, una crepa, lo stipite di una porta. L’architettura resta così impressa su carta. È il suo modo per dire addio a un luogo. Forse. Oppure di tenerlo sempre con sé. A questo punto, l’artista traduce l’abito di carta in stoffe cangianti, come un cartamodello. Il risultato si concretizza in un’installazione percorribile, dentro e fuori. «Un’architettura