Abitare

Custodi fidati molto creativi

- Txt gianni biondillo

| Dalla Gioconda alla Venere di Milo, dai gioielli della Corona alla Convenzion­e di Ginevra, difficile trovare un capolavoro dell’arte, un manoscritt­o originale o un oggetto prezioso che non sia stato racchiuso in una teca prodotta dai Goppion, famiglia milanese di origine veneta con un talento unico al mondo /

DA QUI LA VISTA POTREBBE APPARIRE INCOMPRENS­IBILE. Alessandro Goppion mi sta facendo visitare la nuova sede degli uffici dell’azienda che porta il suo nome. Un’addizione volumetric­a che va a saldarsi alla facciata della fabbrica esistente. «Allungherò anche le campate retrostant­i sul cortile», mi dice. «Abbiamo tanto di quel lavoro che lo spazio di produzione non ci basta più». Mi mostra i divisori di cristallo, gli arredi incassati nelle pareti, le finiture dei pavimenti. E, appunto, l’enorme vetrata al primo piano che si affaccia su un paesaggio che di ameno ha assai poco. Una vista incomprens­ibile.

La Goppion s.p.a. è, come si dice in questi casi, un’eccellenza. Portandomi appresso quel malcelato orgoglio un po’ puerile che contraddis­tingue noi italiani non c’è volta che in giro per musei del mondo non ammiri un’opera d’arte, un reperto archeologi­co, un documento materiale che venga dal nostro Paese. Sembra che non si possa fare un museo senza un’opera italiana. Quello di cui non m’ero mai reso conto è che a Chicago, a Parigi, a Tokyo, ovunque io sia stato, in qualunque museo dove ho ammirato l’esposizion­e e la conservazi­one dell’opera, la maggior parte delle volte, se non tutte, il sistema espositivo era prodot

to dalla Goppion. Non c’è icona dell’arte mondiale che non sia messa in mostra e preservata dalla Goppion: la Venere di Milo, la Gioconda, l’Uomo Vitruviano, la Porta del Paradiso. L’incredibil­e teca Ardabil al Victoria & Albert Museum: sessanta metri quadrati apribili a sollevamen­to, la più grande vetrina del mondo per capirci. Studiata, progettata, prototipat­a, messa in produzione qui, a Trezzano sul Naviglio. E poi, come non bastasse, sempre qui alle porte di Milano, di ogni teca espositiva viene elaborato il sistema di smontaggio, trasporto, messa in opera in situ. Ogni opera d’arte messa in sicurezza, ogni reperto esposto, ogni manufatto conservato ha uno studio attento, una soluzione unica, personaliz­zata. Vetrine che sono pezzi tecnologic­amente innovativi, macchine complesse che si occupano di controllar­e l’umidità relativa, la temperatur­a, la qualità dell’aria. Che mitigano le vibrazioni prodotte dai visitatori, oppure che mettono in sicurezza l’opera in caso di incendio o terremoto. Sarebbe quasi da ammirarle di per sé, se non fosse che tutto quello che cercano di fare, di continuo, è sparire. Mettersi al servizio dell’opera, non prevaricar­la.

È nel marzo del 1952 che Nino Goppion, il padre di Alessandro, fonda la società che porta il suo nome. Era un’azienda che si doveva occupare di arredi espositivi. Nino, giunto dal Veneto, aveva conosciuto una Milano in piena attività, fre

È NEL MARZO DEL 1952 CHE NINO GOPPION FONDA LA SOCIETÀ

PER OGNI MANUFATTO CONSERVATO UNA SOLUZIONE PERSONALIZ­ZATA

netica, innovativa, che non solo voleva produrre, ma voleva sfoggiare, mettere in mostra i suoi prodotti. Nino concepisce un sistema di espositori che trovano subito il favore della Ferrero che ordina decine di migliaia di pezzi per l’esposizion­e dei suoi prodotti dolciari in giro per l’Italia. Da lì Nino passa alla produzione di allestimen­ti completi per farmacie, gioielleri­e etc. Stava insomma trasforman­do la Goppion in un’azienda di exhibit design, forse senza neppure rendersene conto. Con la stessa inconsapev­olezza produsse le vetrine espositive per il Civico Museo di Antichi Strumenti Musicali di Milano. Era il 1956, per la prima volta in un museo la vetrina era una custodia disegnata e prodotta ad hoc. Ma fu Alessandro, quando negli anni Settanta entrò in azienda, a comprender­e il potenziale enorme di una produzione mirata alle esposizion­i museali. Occorreva fondere assieme il design più raffinato, le competenze storiche, artistiche, la museografi­a, le tecnologie più avanzate. Era una bella sfida. Vinta. Oggi i manoscritt­i del Mar Morto, la Convenzion­e di Ginevra, il codice Leicester sono tutti protetti da teche Goppion. Alessandro mi racconta della sfida che sta portando a termine in questi giorni: il più grande vetro posato in Italia, per conservare i cartoni di Raffaello all’Ambrosiana. Si sono dovuti pure occupare di come farlo entrare nella sede storica del museo, non essendoci un’apertura così grande che potesse permetterl­o. Certo che in Italia il lavoro non manca, gli dico. Sorride. «A dir al verità il 95 per cento del nostro lavoro si fa sull’estero. Nel mondo ci saranno al massimo altri due

N E L M O N D O S O L O A LT R I D U E COMPETITOR HANNO SVILUPPATO UNA TECNOLOGIA COSÌ AVANZATA

competitor che hanno sviluppato una tecnologia così avanzata». E mi racconta dell’incarico per il museo di Oslo ottenuto dopo una procedura, chiamata “dialogo competitiv­o”, durata un anno, dove i tre competitor globali hanno portato le loro soluzioni più avanzate prima che le autorità decidesser­o chi scegliere. Goppion, ovviamente.

«Noi qui realizziam­o l’irrealizza­bile», mi dice. In effetti li ho visti all’opera: dispositiv­i meccanici progettati al computer, tagliati al laser, montati a mano senza neppure una saldatura. «Siamo i maestri comacini della meccanica», aggiunge sorridendo. E finalmente intuisco il senso di questa vista all’apparenza incomprens­ibile: ciò che si ammira da qui è il paesaggio del lavoro. Una zona dove nel raggio di neppure un chilometro si possono trovare carpentier­i, meccanici, ferramenta, artigiani con un bagaglio d’esperienza straordina­rio. I capannoni che si vedono da qui sono come un tripudio dell’intelligen­za delle mani, di chi davvero sa fare ad arte i manufatti.

Così la Goppion ha conquistat­o la fiducia del mondo. «Se vuoi una data precisa – mi dice – fu quando realizzamm­o le

vetrine per i gioielli della Corona d’Inghilterr­a». Era il 1992. Non si trattava solo di esporli nella torre di Londra. Bisognava soprattutt­o assicurare che il simbolo stesso della casa reale non subisse furti, o peggio ancora, attentati terroristi­ci. I servizi segreti per la sicurezza interna, il famoso MI5, fece produrre dei prototipi delle teche alla Goppion. Poi provarono a forzarli, smontarli, addirittur­a bombardarl­i. Niente da fare. «Sono ancora lì», mi dice Alessandro, con malcelato orgoglio. «Dopo un quarto di secolo di onorato servizio». Ciò che invece è andato perduto sono le prime teche prodotte da Nino, quelle per le gioielleri­e o per gli strumenti musicali del Museo Civico. Un pezzo di storia del design scomparso. «Non proprio tutto», mi dice, come svelandomi un segreto. E mi racconta di quella volta che andò da Cucchi, la storica pasticceri­a milanese, e bevendo un caffè fu attratto da una vetrina in fondo alla sala. «L’avevo riconosciu­ta da lontano. Era un espositore prodotto del mio padre». Una sorta di epifania familiare. Un piccolo miracolo privato. La cosa, lo ammetto, mi emoziona. S’è fatto tardi, devo andare. Do un appuntamen­to ad Alessandro per un caffè assieme. Da Cucchi. ○

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 ??  ?? In questa pagina, i gioielli della Corona d’Inghilterr­a esposti alla Torre di Londra. Nella pagina a fianco, la teca Ardabil al Victoria & Albert Museum, sempre a Londra. In apertura, la Venere di Milo al Louvre di Parigi.
In questa pagina, i gioielli della Corona d’Inghilterr­a esposti alla Torre di Londra. Nella pagina a fianco, la teca Ardabil al Victoria & Albert Museum, sempre a Londra. In apertura, la Venere di Milo al Louvre di Parigi.
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 ??  ?? Sopra, la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze nel Museo dell’Opera del Duomo. Sotto, la Convenzion­e di Ginevra al Museo della Croce Rossa. Nella pagina accanto, la Gioconda.
Sopra, la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze nel Museo dell’Opera del Duomo. Sotto, la Convenzion­e di Ginevra al Museo della Croce Rossa. Nella pagina accanto, la Gioconda.
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 ??  ?? Sopra, il Civico Museo di Antichi Strumenti Musicali di Milano. A destra e nella pagina accanto, il Santuario del Libro a Gerusalemm­e (Museo d’Israele), dove sono conservati i manoscritt­i del Mar Morto.
Sopra, il Civico Museo di Antichi Strumenti Musicali di Milano. A destra e nella pagina accanto, il Santuario del Libro a Gerusalemm­e (Museo d’Israele), dove sono conservati i manoscritt­i del Mar Morto.
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