Minivisioni
A New York, un gioielliere il cui nome è leggenda sostiene una Biennale prestigiosa. E coinvolge CINQUE ARTISTI in un progetto molto speciale.
Una ciotola svuotatasche, una catena con pendente, un portabiglietti da visita che nasconde un segreto, una scatola d’argento dal coperchio istoriato, una caraffa dipinta con paesaggi astratti. Oggetti diversi con due caratteristiche in comune: sono disegnati da artisti che hanno partecipato alla 78esima edizione della Whitney Biennial, inaugurata a marzo, e sono prodotti in edizione superlimitata da Tiffany, che alla Biennale del celebre museo dedicato all’arte americana si è legato come sponsor fino al 2021. «Quando sponsorizzi una mostra sai dove stai mettendo il tuo nome; noi abbiamo voluto sposare un progetto», racconta Richard Moore, vicepresidente di Tiffany e direttore creativo sulla progettazione dei negozi e sul “creative visual merchandising”, che incontriamo a Milano. «Può sembrare un atto di fede, certo. In realtà si è già rivelato un investimento che ci ha portato a collaborare con cinque personaggi eccezionali». Gli artisti non hanno soltanto ideato un’opera; a ognuno ZZ
«DA QUESTO PROGETTO SONO SCATURITE OPERE D’ARTE PREZIOSE. CHE SONO ANCHE OGGETTI DA USARE TUTTI I GIORNI». RICHARD MOORE
di loro è stato anche chiesto di progettare un display per il loro lavoro. Sono nate così cinque piccole installazioni che Tiffany ha esposto nelle vetrine del suo flagship store New York (durante la settimana di inaugurazione della Biennale). Scenografie in miniatura che sono poi state ospitate nel negozio di Milano durante la settimana del design e che adesso sono tornate sulla Fifth Avenue, allestite all’interno del flagship store della casa. «Agli artisti abbiamo posto una sola condizione: quella che gli oggetti avrebbero dovuto essere realizzati dai nostri laboratori», prosegue Moore. «La libertà quindi è stata totale. La cosa bella è che da questo progetto sono scaturiti lavori concettualmente preziosi ma che sono anche oggetti da usare tutti i giorni. Questo secondo me riflette bene l’approccio di Tiffany al design, che non deve essere mai slegato dal lato concreto della vita». Moore racconta, appassionato, degli esordi dell’azienda, la cui storia è sempre andata a braccetto con l’arte: parla di Charles Lewis Tiffany, il fondatore, che fu anche uno dei primi a sedere nel consiglio direttivo del neonato Metropolitan Museum; poi cita Louis Comfort Tiffany, figlio di Charles Lewis, primo direttore creativo della casa ed egli stesso ideatore di magnifiche lampade e vetrate che oggi sono nei musei. Oggi il racconto è portato avanti da questi oggetti un po’ magici: lo svuotatasche è modellato su una maschera precolombiana, l’incisione sul portabiglietti è uno stereogramma che se guardato intensamente forma la parola “Psycho”. «È il mio preferito», sorride Moore. «Mi piace perché la sua semplicità ha una vena irriverente, un lato nascosto. È il dettaglio che lo rende speciale».