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Un percorso d’autore tra i padiglioni della BIENNALE DI VENEZIA.

Qual è lo stato dell’arte contempora­nea? Per la BIENNALE DI VENEZIA è ormai tempo di bilanci. ui vi proponiamo una selezione degli artisti e delle opere che più ci hanno colpito.

- di CESARE DE SETA

La 57esima Mostra internazio­nale d’arte visiva di Venezia è quest’anno curata dalla francese Christine Macel, con una notevole carriera alle spalle quantunque sia nata solo nel 1969. In tal caso il titolo prescelto è “Viva Arte Viva” che di per sé non è un tema quanto piuttosto l’intenzione di mettere al centro della rassegna la celebrazio­ne e la passione per l’arte e per gli artisti. Vengono dunque alla ribalta problemati­che sfaccettat­e e non temi. In una chiara premessa che questa volta non è superflua, la Macel si pone e ci pone in modo molto chiaro una fondamenta­le domanda: “Chi sono oggi gli artisti?”. Poiché le nazioni partecipan­ti sono 86 dall’Albania allo Zimbabwe, sarebbe una follia rispondere a una domanda di tal genere. Ma non è il Padiglione Centrale il baricentro della mostra perché rassomigli­a troppo a quanto si vede in giro. In più si aggiunga che, in contempora­nea, “Documenta” quest’anno si è sdoppiata tra Kassel e Atene. La curatrice suggerisce di partire dal Padiglione degli artisti e dei libri, che è il momento simbolico della mostra perché è una radiografi­a significat­iva delle pulsioni degli artisti che vivono di immagini e di libri. Il percorso della mostra propriamen­te intesa comincia ai Giardini, dove lungo il viale sono dislocati

i padiglioni più importanti. La Gran Bretagna è invasa dalla Folly di Phyllida Barlow con installazi­oni materiche: detriti, bolle, colonne in cui muoversi con cautela. Antistante, il padiglione del Canada disegnato dai Bbpr è stato svuotato (ma sarà ricostruit­o) per far luogo all’opera di Geoffrey Farmer, un sistema idraulico che genera un geyser che sfonda i resti del soffitto. Altri artisti inclinano al divertisse­ment e molti all’impegno politico. Il padiglione degli Stati Uniti affronta il tema universale della marginalit­à e dell’esclusione: Mark Bradford mescola pittura, scultura e immagini tempestose e non sarà Trump a stringergl­i la mano. La girandola del gioco e dell’impegno è la nota più originale di questa Biennale. Piuttosto traumatico il padiglione Italia, di Cecilia Alemani, dove dei Frankenste­in creano corpi di temi, colori e materie diversi.

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