Futurismo razionalista
A 90 anni dal suo allestimento della Mostra Nazionale Serica, di Villa Olmo a Como, si torna a parlare di e del suo linguaggio proteiforme a proposito della Fondazione che prenderà vita presso il C.A.S.V.A., centro creato a Milano per custodire gli archiv
Artista? Certamente sì, ancor prima che architetto. Luciano Baldessari crebbe in quel crogiuolo di intelligenza e creatività che fu Rovereto nel primo ’900, quando il Trentino era ancora austriaco. Fu contagiato in particolare dal genio di Fortunato Depero, di lui più vecchio di quattro anni, futurista fertilissimo che aveva dilatato i suoi orizzonti dalla pittura alla scultura, alle arti applicate, e che a Rovereto aveva fondato il Circolo Futurista, a cui nel 1913 Baldessari, diciassettenne, si unì. L’irrequietezza, che a Baldessari era connaturata, e le sue doti di abile disegnatore lo spinsero presto a trasferirsi a Milano, dove studiò scenografia a Brera e si laureò in architettura nel ’22. Nel gennaio 1923 era già a Berlino, metropoli cosmopolita in quegli anni politicamente turbolenta, ricca di fermenti e inquietudini. Queste le coordinate che definiscono “il momento aureo” della formazione di Baldessari la cui fama si è legata soprattutto all’“architettura dell’effimero” (scenografie, padiglioni fieristici, allestimenti), ma che molto altro celava nel segno potentemente visionario. Nella città tedesca s’immerse nel clima espressionista e della Neue Sachlichkeit. Esercitarono su di lui un profondo influsso i registi Max Reinhardt, Erwin Piscator e Fritz