Un giudice inesorabile
100 anni fa nasceva BRUNO ZEVI, puntuto protagonista della storiografia e della critica dell’architettura del ’900. Mostre e convegni celebrano l’anniversario.
Si celebra il centenario della nascita di Bruno Zevi (1918-2000) con una mostra al MAXXI (“Gli architetti di Zevi”, fino al 16 settembre), un convegno ad Harvard e la riedizione di alcuni suoi libri. Zevi è tra le figure più eminenti della cultura architettonica del secondo ‘900. Erede di una delle più antiche tribù di Israele, la sua famiglia si stanziò a Roma che divenne la sua città. Le leggi razziali del 1938 l’indussero a trasferirsi ad Harvard dove si laurea con Gropius. Ma l’universo zeviano è eliocentrico e il sole è Frank Lloyd Wright di cui fu un sagace e intransigente esegeta. Rientrato in Italia partecipa alla Resistenza nelle file del Partito d’Azione, poi la militanza nel Psi e nel Partito Radicale che lo elegge deputato. Zevi fu un laico e la sua formazione è decisamente crociana: lo si vede fin dal bellissimo Verso un’architettura organica (1945), da cui germoglia Saper vedere l’architettura (1948), fino a Storia dell’architettura moderna (1950), un testo fondamentale che per decenni dominò la storiografia non solo in Italia, con traduzioni in tutto il mondo. Wright è l’eroe, attorno a cui girano tanti satelliti: ma nella Storia trovano posto anche fascisti come Giuseppe Terragni e Giuseppe Pagano (morto nel lager di Mauthausen): la sua intelligenza era così spregiudicata da non confondere il credo politico con il fare architettura. Nel dopoguerra crea l’Associazione per l’architettura organica, è tra gli animatori di Metron Architettura (1944) e poi, nel ’55, fonda
L’architettura. Cronache e storia, controcanto romano alla milanese Casabella-Continuità di Rogers. L’impegno politico non lo distoglie certo dallo studio specialistico che non si limita alla modernità ma si estende alla Ferrara di Biagio Rossetti, a Michelangelo di cui curò una mostra che scandalizzò gli storiografi pompiers, fino a giungere al geniale visionario Borromini. A Zevi si deve un’attività pubblicistica che rimane rara
avis nel panorama italiano: dal 1955 fino alla morte tenne su L’Espresso una rubrica in cui informava i lettori delle novità architettoniche in giro per il mondo: la sua ricerca della crociana “poesia” e “non poesia” a volte gli fece prendere delle sviste, ma difese il Le Corbusier della Cappella di Ronchamp. I suoi orizzonti spregiudicati si estendono alla cultura espressionista e alla dodecafonia. Nel rilanciare la sua rivista così scriveva: “Abbiamo vinto… F.O. Gehry : F.Ll. Wright = Cage : Schönberg”.