L’eredità di un grande
Designer, architetto, imprenditore: OSVALDO BORSANI fu tutte queste cose insieme e molto di più. Un vero artista del progetto, a sua volta amico di artisti formidabili che molto influenzarono il suo lavoro. Una splendida retrospettiva alla Triennale di Mi
Dall’artigianato all’industria. Il salotto di Casa B disegnato da Osvaldo Borsani nel 1935. Da notare la linea moderna della poltrona con braccioli ad arco ascendente, uno stilema tipico del progettista lombardo. in alto: console con struttura in legno e piano incassato in cristallo. Collezione privata, 1945. sotto: in una réclame anni ’50, la chaise longue P40 (Tecno, 1955) ad assetto variabile, innovativa variazione “meccanizzata” della LC4 di Le Corbusier, Jeanneret e Perriand.
Nel 1953, Osvaldo Borsani con il gemello Fulgenzio fonda, nel segno della “techné”, Tecno, un’azienda di mobili per la casa e poi per l’ufficio. L’anno successivo disegna il divano D70 a seduta invertibile, e nel ’55 la superrilassante chaise longue P40 ad assetto variabile, due capolavori assoluti del nascente design industriale italiano. Osvaldo è nel pieno dei quarant’anni – è nato a Varedo nel 1911 – e quei tre “passaggi” costituiscono un punto d’arrivo e di partenza nella sua vita professionale. Rappresentano la summa di un percorso creativo avviato quando, ancora adolescente, comincia a bazzicare l’atelier ABV-Arredamenti Borsani Varedo creato dal babbo Gaetano, dove da principio si fabbricano fioriti mobili stile neo-rinascimentale e successivamente,
con l’apporto dell’architetto Gino Maggioni, primo mentore di Osvaldo, si passa a realizzare arredi più essenziali non senza richiami all’Art Déco. Alla V Triennale nel 1933, la prima tenutasi a Milano, Borsani, ancora studente di architettura, firma con Alessandro Cairoli e G.B. Varisco la Casa Minima evidenziando una sicura consuetudine con i codici e le geometrie del Razionalismo, e una nitida consonanza con gli stilemi del professionismo milanese, soprattutto quello più modernista di Melchiorre Bega, allora impegnato nella spola tra la sua Bologna e il capoluogo lombardo. Intanto il negozio ABV di via Montenapoleone, aperto nel 1932, gli dà l’opportunità di entrare in contatto con la borghesia meneghina della quale diverrà subito uno degli arredatori prediletti, nonché di conoscere numerosi giovani artisti, come Fausto Melotti, Agenore Fabbri, Lucio Fontana. Si laurea nel 1937, ma all’attivo, oltre al disegno di mobili che hanno riorientato verso la contemporaneità il catalogo ABV (la guida creativa dell’atelier è ora saldamente nelle sue mani), ha già importanti interventi di interior come Casa B (1935), Casa G (1935) e Casa C (1936): del resto la progettazione di interni diventa, dal ’35 all’inizio degli anni ’50, la sua principale occupazione, a cui affianca alcune riuscite prove da architetto come Villa Pesenti (1937) a Forte dei Marmi e Villa Borsani (1943) a Varedo. Il suo approccio è simile eppure diverso rispetto a quello di molti suoi “concorrenti” milanesi (Bega però segue uno schema analogo): come loro disegna e produce tutto, arredi, lampade, tappeti, complementi, e come loro si avvale della collaborazione di amici artisti a cui chiede tuttavia – ecco
la differenza – non solo e non tanto opere da inserire nel paesaggio domestico, ma di essere essi stessi progettisti ideando maniglie, mensole, stipiti di porte, camini, soffitti. Una pratica che, nel dopoguerra, raggiunge esiti sublimi con Lucio Fontana, per esempio negli interni di Casa M (1952).
Osvaldo Borsani è all’apice della maturità e della fama, ma dentro di sé sogna, da qualche anno, un nuovo mattino, vuole passare dalla tradizione artigiana alla serialità industriale. È arrivato il momento di Tecno. I primi passi dell’azienda sono, come si è visto, straordinari, D70 e P40 stupiscono per la loro eccellente qualità estetica e soprattutto per il contenuto tecnologico che ne fa degli arredi meccanicamente trasformabili, tra i primi mai prodotti. Ma non da meno sono il letto “meccanico” L77 (1956), la poltrona organica P32 (1956), la sedia P31 (1957), la vendutissima poltrona direttoriale P125 (1966), e poi le sedute, le lampade, i tavoli, le scrivanie, i letti, i sistemi-ufficio come il Graphis (1968), un bestseller strepitoso disegnato con l’amico Eugenio Gerli, che, dal 1962, escono dal nuovo stabilimento progettato e costruito da Borsani a Varedo. Una cavalcata di successi che, nel 1970, vede la costituzione del Centro Progetti Tecno e poi l’aprirsi dell’azienda a collaborazioni di prestigio come quella con Norman Foster, iniziata nel 1983 e troncata solo dalla morte di Borsani nel 1985, non prima però che si avviasse il progetto del tavolo-icona Nomos concretizzatosi nel 1987: Borsani ne sarebbe stato entusiasta. Lo si capisce visitando, alla Triennale di Milano fino al 15 settembre, la formidabile retrospettiva curata e allestita proprio da Foster e Tommaso Fantoni, nipote di Borsani.