BELLE ÉPOQUE
Con un restauro meticoloso e milionario che ne riporta alla ribalta il glamour senza tempo, il ST. REGIS ROME è restituito alla città, della quale reinterpreta la classicità attraverso luci e colori.
Il , uno dei grandi ST. REGIS ROME alberghi storici della capitale, è tornato all’antico splendore grazie a un attento restauro.
«Ci sono sempre molti elementi da considerare quando si rinnova un hotel come il St. Regis. Il primo è stato l’architettura dell’edificio, poi, ovviamente, anche la location: Roma».
Fu la prima sala da ballo pubblica a Roma quella del Grand Hotel che monsieur César Ritz inaugurò, a due passi dalle Terme di Diocleziano e dal Quirinale, l’11 gennaio del 1894, volendo estendere anche all’Italia la tendenza delle grandi capitali europee: alberghi sontuosi per accogliere la prima ondata di viaggiatori e l’alta società locale. La progettò l’architetto romano Giulio Podesti e venne affrescata da Mario Spinetti, con otto scene di vita rurale e mitologiche nello stile Preraffaellita che andava tanto di moda all’epoca. Al centro del soffitto affrescato, volte dorate creano una griglia di diamanti con ghirlande e motivi floreali che incorniciano il tromp-l’oeil con scorci di cielo, dando l’illusione di un’apertura verso l’esterno. Sei mesi è stato il tempo necessario perché Pierre-Yves Rochon, incaricato del restauro milionario di quello che da vent’anni è il St. Regis Rome, restituisse il Salone Ritz (così chiamato in onore del fondatore) agli ospiti. «Il restauro è un’operazione completamente diversa da un progetto ex novo, perché devi lavorare con una condizione preesistente. A maggior ragione nel caso di uno spazio come la Ballroom, protetto dalle Belle Arti, dove il mio intervento si è limitato all’illuminazione e ai tessuti», spiega l’interior designer.
Nei suoi quasi 125 anni di vita l’hotel ha accolto capi di Stato, intellettuali, imprenditori e star e ha subito, soprattutto nella
lobby, rimaneggiamenti che ne hanno offuscato l’allure. «Quando ho visto l’hotel per la prima volta ho pensato: c’è qualcosa di sbagliato nel layout», racconta Rochon. L’impressione era che l’hotel fosse scuro, buio, polveroso ma che allo stesso tempo il suo vero lusso fosse lo spazio. «La prima cosa con cui entri in contatto in un hotel è l’entrata. E la prima cosa che mi chiedo io, come architetto e come cliente, è dove sia la reception, poi dov’è la lobby e come faccio a salire alle camere», spiega Rochon. Conservato l’ingresso, il designer ha però eliminato la doppia porta e il corridoio che conducevano alla lounge, «una barriera per chi vuole andarsi a prendere un tè o un caffè», ripristinando le eleganti vecchie porte. «Nella lobby, dopo un intervento degli anni ’80, esistevano diversi livelli per cenare, fare colazione o prendere un drink, una condizione faticosa per chi ci deve lavorare e che non fa spaziare la vista di chi ci trascorre del tempo. Ho provato a tornare al passato, quando la lobby era in realtà un cortile». Oggi è diventata una sorta di grandiosa piazza dove la gente si incontra, si guarda intorno, osserva gli altri, perché una parte importante del progetto è la circolazione delle persone. Qui, illuminato da un gigantesco lampadario in vetro soffiato di Murano, lo spazio è delimitato da colonne, arcate e complicate modanature artigianali. Il Lounge & Bar, che si apre alla sua sinistra, è uno spazio conviviale che mette gli ospiti in comunicazione con la biblioteca blu zaffiro, con lampadari in cristallo Impero, specchi veneziani e camino rivestito in marmo nero.
Marmo, bronzo e travertino sono i materiali scelti dal designer per l’interior, e rimandano tutti alla tradizione dell’alto artigianato italiano. La palette cromatica è prevalentemente un omaggio alla classicità romana. Nero, oro, argento, terracotta, rosso pompeiano, ma anche blu con un tocco di giallo, «che non è freddo e non è neanche romano, ma quando lo vedi rimanda subito all’internazionalità che era nelle intenzioni di César Ritz», ovvero all’allure degli hotel di Parigi e di Londra di inizio ‘900 e che, con rinnovato glamour, è anche la cifra del “nuovo” St. Regis. 138 le guest room, riarredate con pezzi e lampade custom mutuati dallo stile originario del grand hotel al punto che l’illusione che siano
sempre stati lì è totale. 23 le suite, nelle quali l’intervento di Rochon è stato minimo, perché si è preferito preservare il molto che era già presente: «Quando abbiamo cominciato a reimmaginare il St. Regis abbiamo preso come punto di riferimento il palazzo originario in tutta la sua classicità, aggiungendo però un tocco di leggerezza contemporanea attraverso materiali e luci». Omaggio alla tradizione è la Royal Suite, con ingresso diplomatico dedicato dal momento che il piano nobile del palazzo era riservato alle visite di monarchi, capi di Stato e celebrità: 300 metri quadrati divisi tra soggiorno con pianoforte a coda del XVIII secolo, sala da pranzo (con cucina e cantina private), camera da letto principale, una camera da letto minore, due armadi guardaroba e una sala da bagno con vasca Jacuzzi. Gli arredi in stile Luigi XVI e piemontese sono quelli originali, tutti restaurati.
Discorso a parte merita la suite Bottega Veneta, presente nell’albergo dal 2007 e oggi ripensata (ma senza cambiarne il layout, per non disorientare gli ospiti fidelizzati) grazie agli arredi della Home Collection del brand. «Il St. Regis, così come è diventato dopo il nostro intervento, è bello e comodo. E se un cliente ci vuole tornare quello è il mio successo di progettista», dice Rochon.