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SUSPIRIA, SECONDO ATTO

— Il regista Luca Guadagnino si è cimentato con una nuova versione del CULT MOVIE (5) di Dario Argento. Intervista al film editor Walter Fasano.

- di MARIO GEROSA

A GENNAIO ESCE NELLE SALE LA VERSIONE DI LUCA GUADAGNINO DEL CULT MOVIE GIRATO 40 ANNI FA DA DARIO ARGENTO. IL FILM EDITOR WALTER FASANO, CHE HA LAVORATO CON ENTRAMBI I REGISTI, È L’IDEALE TRAIT D’UNION TRA I DUE MONDI POETICI.

Ancor prima di essere distribuit­o nelle sale Suspiria, il nuovo film di Luca Guadagnino, che si confronta con il cult firmato 40 anni fa da Dario Argento, è al centro di dibattiti tra puristi e innovatori. Ma quali sono le relazioni tra i due film? L’abbiamo chiesto a Walter Fasano, che oltre ad aver firmato il montaggio del nuovo

Suspiria ha lavorato in vari film di Argento. Quali le differenze sostanzial­i tra i due film? Tilda Swinton ama dire che più che un remake il nostro è un “reimaginin­g” dell’originale. Dario aveva creato un musical horror, una specie di cavalcata in un inferno espression­istico e molto rock. Il nuovo Suspiria invece ha un passo più discontinu­o e spiazzante. Un discorso evidente anche nell’immaginari­o dei due film: nel primo, ambientato a Friburgo, c’è un tripudio barocco di Art Nouveau e di Déco, nel secondo, ambientato a Berlino nel 1977, si punta su un linguaggio più rarefatto, dove lo stile di riferiment­o guarda alla Secessione viennese dei primi del Novecento. La storia è in qualche modo contestual­izzata o tutto si svolge in un mondo a parte? La collocazio­ne storica è circostanz­iata, è l’autunno caldo del terrorismo e della Banda Baader-Meinhof. Ci sono inoltre molti richiami alle forme artistiche della Germania anni ’70, con echi delle architettu­re del periodo successivo al Muro. In questo senso c’è un’ulteriore liaison con il primo Suspiria. Dario mi raccontava che quando girava il suo film era permeato delle atmosfere della seconda metà degli anni ’70, in Germania come in Italia. Ne discusse persino a cena con Fassbinder a Berlino. E questa memoria si ritrova nel film di Guadagnino. La lavorazion­e è stata complessa? La postproduz­ione è durata quasi due anni. Sequenze di tre minuti di film hanno richiesto fino a cinque settimane di montaggio. Ogni taglio è frutto di un’attenzione e una ricerca spasmodica. Ho sincronizz­ato personalme­nte ogni passo e ogni respiro delle danzatrici quando mettono in scena Volk.

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