AD (Italy)

Un poetico senso dell’abitare

Memorie di famiglia, arte e tradizione nello chalet di una fotografa nell’ BERNESE. OBERLAND

- MARINA PIGNATELLI

Tutto è iniziato con una foto del Pantheon. Nel 2006 la gallerista Valentina Bonomo, dopo aver visto un’originale fotografia del monumento scattata da Irene Kung, propose all’artista svizzera, che si era già cimentata con la scultura, la pittura e la grafica, di concentrar­si su questa forma espressiva. Da allora Kung ha sviluppato un nuovo percorso, con un inconfondi­bile stile poetico e onirico. Con la sua Hasselblad digitale ha cominciato ad attraversa­re il mondo, immortalan­do icone come la Grande Arche, Westminste­r Palace e l’Empire State Building, divenuti soggetti del libro

Dopo aver vissuto a Madrid e Roma, sua città adottiva, Irene è tornata a Saanenmöse­r, paesino dell’Oberland Bernese, nello chalet costruito dal padre negli anni Sessanta. 250 metri quadrati con quattro stanze da letto e cinque bagni, rivisitati dall’architetto Gottfried Hauswirth, che ha firmato le residenze più esclusive della Svizzera. In questo rifugio c’è il passato di Irene, mobili e oggetti dei genitori, alcuni provenient­i dalla casa romana, e memorie di viaggi. Nell’ingresso, arredato con mobili di artigiani locali, si è subito accolti dalle foto dell’artista, che ha fatto tesoro delle sue precedenti

ALLO SPIRITO DEL LUOGO, EVOCATO DA MOBILI E BOISERIE, RISPONDE L’ANIMO COSMOPOLIT­A DI UN’ARTISTA CON LA VALIGIA.

esperienze. «Penso le mie foto come pitture», spiega Kung. «La tecnica di stampa che oggi più utilizzo, su carta in fibra di cotone, è il Platino-Palladio, una ricerca contempora­nea che recupera la raffinatez­za del passato». Anche nella casa si coglie il gusto di coniugare suggestion­i diverse. Il living è intimo e accoglient­e. Un divano e un tappeto di Federica Tondato, con la mappa di Roma le ricordano la Città eterna. Poltroncin­e provenient­i dalla casa di Berna e una collezione di piccole sculture di famiglia, raccolte sopra il camino, sono preziose memorie. Una grande foto di un ulivo frondoso e un albero imbiancato in una light-box catturano lo sguardo. «Questo è un ulivo pugliese, l’altro l’ho fotografat­o qui nel bosco con la prima neve della stagione», racconta la padrona di casa. «Amo riportare l’albero a ciò che mi ha colpito, tolgo quello che non è essenziale per comunicare le mie emozioni a chi lo guarda». In un salottino più intimo, accanto al living, Irene ama leggere nelle lunghe serate d’inverno. Qui ha raccolto foto, opere d’arte di amici e oggetti da tutto il mondo. Una parete ad archi separa il living dalla camera da pranzo, arredata con un tavolo e sedie tipici del luogo, rallegrata da un camino scoppietta­nte. Nello studio, sopra il camino spicca una grande foto del londinese Millennium Bridge e in un angolo un’immagine dai toni dorati ritrae donne che lavano i panni, nel silenzio magico e sospeso di Orchha, in India. Fotografie di Milton Gendel e di sua moglie Monica Incisa riempiono le pareti lungo le scale che portano alla zona notte. □

 ??  ?? La città invisibile.
La città invisibile.
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 ??  ?? Il colore all’improvviso. a destra: la stanza padronale. Accanto al letto, una coppia di poltroncin­e di famiglia. Sui comodini, lampade Tolomeo di Artemide. Incisioni di Achille Perilli, Guido Strazza, Marco Caporali e Gianfranco Palmery. in alto: nella cucina, foto di Irene Kung e un piatto di Sol LeWitt. in alto a destra: nello studio le foto di Irene Kung: l’antica città di Orchha in India e Castel Sant’Angelo a Roma.
Il colore all’improvviso. a destra: la stanza padronale. Accanto al letto, una coppia di poltroncin­e di famiglia. Sui comodini, lampade Tolomeo di Artemide. Incisioni di Achille Perilli, Guido Strazza, Marco Caporali e Gianfranco Palmery. in alto: nella cucina, foto di Irene Kung e un piatto di Sol LeWitt. in alto a destra: nello studio le foto di Irene Kung: l’antica città di Orchha in India e Castel Sant’Angelo a Roma.
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