Il fascino della in una colta MEMORIA interpretazione gastronomica di Yoji Tokuyoshi.
Ingredienti italiani e cultura giapponese si mescolano in questa creazione che si rifà all’ANTICA ARTE DEL GYOTAKU nell’interpretazione di un cuoco di grande spessore culturale.
La bella notizia è che questa opera di food design è edibile: ed è buonissima. Si tratta di una triglia farcita con gamberi, capesante, finocchietto, buccia di limone e arancia, cotta in padella e coperta con uno strato di pane grattugiato annerito con carbone vegetale. Un piatto che qualsiasi cuoco di media bravura è in grado di eseguire onorevolmente. Ma Yoji Tokuyoshi, nel suo ristorante a Milano, pratica l’arte della “contaminazione”, vocabolo brutto ma necessario per definire il suo stile di cucina che applica la memoria, la sensibilità e le tradizioni di un Paese agli ingredienti, alle ricette e alla cucina di un altro Paese, lontanissimo e diversissimo. In questo caso l’Italia da un lato e il Giappone dall’altro. Dal menu: Tajarin e katsuobushi: tonno essiccato, burro e salvia; Bresaola di Wagyu e verdura marinata; Sashimi di seppia e lardo di Cinta Senese. E questo: il piatto, tra tutti il più esemplare, è l’interpretazione gastronomica del gyotaku, in origine il modo in cui i pescatori celebravano il ricordo di una pesca eccezionale imprimendo la forma del pesce colorato con inchiostro su un foglio di carta di riso. Gli ultimi autentici gyotaku, prima che diventassero una forma d’arte e passassero dal rigore del bianco e nero al colore, risalgono al periodo Edo, circa 300 anni fa. Tokuyoshi stesso racconta di averne visto uno nella casa del nonno a ricordo della cattura di un’enorme orata. Qui l’impronta della testa del pesce, realizzata con un tampone inumidito con acqua al carbone vegetale, accentua l’effetto surreale della creazione.