Poltroncina pieghevole Santiago di Maisons du Monde, con struttura in ferro nero e seduta in cuoio impunturato. Costa 180 €.
Supermodella, fotografa, imprenditrice, Helena Christensen ama ritirarsi in un romantico cottage tra le CATSKILL MOUNTAINS, 100 miglia a nord di Manhattan.
Come top model, anzi, supermodel, Helena Christensen, danese di origine, ha un passato di gloria: è stata Miss Danimarca nel 1986, ha fatto parte della rosa delle predilette di Versace ed è stata una delle Victoria’s Secret Angels. Forse però non tutti sanno che nel 1999 ha fondato la rivista americana Nylon – oggi pubblicata solo online – che ha interpretato diversi film, che è fotografa professionista, appassionata di design, ambientalista convinta e amante della bellezza. Proprio per questo si è scelta come buen retiro un cottage immerso in un paradisiaco paesaggio di boschi percorso da un tumultuoso torrente e affacciato su uno degli scenari più affascinanti d’America: le Catskill Mountains, nello Stato di New York. La casa a due piani, introdotta da una veranda e rivestita di assicelle tinte di azzurro, un “cappotto” tipico delle dimore nell’Est degli States, occhieggia tra alberi secolari e prati punteggiati di fiori di campo. «Mi è indispensabile rifugiarmi ogni tanto nel verde», rivela Helena Christensen, «e soprattutto stare vicino all’acqua: questo luogo, con il torrente che lo attraversa e il fiume poco sotto dove vado a nuotare ogni giorno, è veramente perfetto per me! Mi fa sentire purificata, una cosa sola con la natura primigenia».
L’amore per la vita selvaggia non significa però che Helena non sia una ragazza di città: in realtà adora la vita frenetica e zeppa di impegni che conduce a New York, dove risiede stabilmente e lavora come fotografa, designer (con la stilista Camilla Staerk: insieme hanno inventato di tutto, dagli occhiali da sole a un’elegante casa prefabbricata per Revolution Precrafted Properties) e creative director di un’azienda profumiera fondata con Elizabeth Gaynes, ma questo buen retiro le è indispensabile come l’aria che respira. Tanto più che le amiche e colleghe Staerk e Gaynes sono ospiti fisse quassù, soprattutto in estate: per fare passeggiate, nuotare nel fiume, guardare vecchi film, cucinare convivialmente cibi genuini... attività perfette da svolgere in un cottage che ha saputo conservare tutto il suo fascino sobrio originario degli anni ’20, a dispetto dei massicci interventi di restauro.
Per i lavori, per “aprire” i locali un po’ angusti della villa, conservandone però filologicamente gli elementi architettonici d’epoca salienti, la Christensen ha arruolato una squadra di carpentieri e falegnami locali e subito gli interni hanno guadagnato spazio, acquisendo nel contempo una dimensione di elegante, ariosa rusticità, enfatizzata da arredi, oggetti curiosi, dipinti e reperti tessili scovati presso gli antiquari del posto. Qualche candela accesa qua e là e altri tocchi nordici come le pelli di pecora alludono all’infanzia della Christensen. «In Danimarca nasci con un imprinting che ti rimane addosso per sempre», dice, «la casa dei miei genitori profumava deliziosamente di cera fusa e di torte al forno...».
Ma la vita “normale” continua e spesso irrompe anche in questa oasi di pace, magari attraverso i social come Instagram, arrivano messaggi, inviti, comunicazioni di lavoro. È soprattutto il lavoro di fotografa a tenere impegnata Helena Christensen, scaraventandola in ogni parte del mondo e ritmando il suo tempo con appassionata sregolatezza: una “scalata” sulla cima del Burj Khalifa di Dubai quando era ancora in costruzione, una corsa in jeep a documentare una galoppata dello sceicco Mohammed, uno shooting in Rwanda... «Ho bisogno di questo rifugio proprio per neutralizzare certi effetti nocivi del mio lavoro, che peraltro adoro. Gli interni qui sono organizzati come un porto sicuro, pieno di angoli accoglienti dove posso sedermi a pensare». Ci sono due stanze da letto annidate nella mansarda, più altre due nel fienile recuperato. E la camera padronale pare un luogo fatato con le finestre incorniciate dall’edera, gli abiti vintage e il grande letto sommerso di cuscini.
Al piano inferiore, al contrario, l’atmosfera è meno rarefatta, decisamente più satura, scaldata da una palette di toni terrosi, bruni, materici. «Ogni fotografo intrattiene un rapporto d’amore con la luce», afferma, «ma per me ciò non significa abusarne. Al contrario! Amo la penombra, le luci attenuate, i toni crepuscolari. Qui ho scelto persino nuance scure, il semibuio. Il modo in cui la luce cade e si smorza in queste stanze, mutandone l’atmosfera, ha per me qualcosa di pacificante. Indispensabile. È proprio questa quiete degli occhi e della mente che cerco quando vengo qui, allontanandomi dai frenetici ritmi della metropoli e della mia attività».