SOGNANDO IL FUTURO — Nel 1939 la NEW YORK WORLD’S FAIR ipotizzava il nostro futuro.
Nel 1939 la New York l’avveniristica WORLD’S FAIR documentò il mondo di 40 anni dopo: c’erano robot, supernavi, minitreni, TV a colori, computer...
Era d’aprile 80 anni fa. Mentre in Europa i nazisti lustravano i cannoni per un probabile conflitto “finis mundi”, a New York, nel Queens, si inaugurava la World’s Fair che aveva come titolo un ottimistico “The World of Tomorrow”. Fortemente voluta da Grover Whalen, il suo carismatico deus ex machina, la manifestazione metteva in scena un domani prossimo venturo pensato come attraverso la fantascienza e popolato da ritrovati tecnologici senza paragoni e da uomini, anzi superuomini (Batman e Superman nacquero in quell’anno), che usando quegli strumenti avrebbero reso più buono, più bello, più giusto il mondo. La struttura della fiera a raggiera ma, insieme, simile a quella anulare dell’atomo, al tempo in via di definizione, era stata pensata per essere metafora dell’“individualismo comunitario” caro ai Padri Fondatori americani. Il nucleo centrale, ideato dall’industrial designer Henry Dreyfuss, era occupato dalla Pherisphere, oltre 60 m di diametro, in parte circondata da una aerea passerella, e dal Trylon, un pinnacolo rastremato alto 215 metri, in cui s’arrampicava una rampa elicoidale. L’interno del globo battezzato Democracity era caratterizzato da un anello pedonabile sospeso a 10 metri di altezza che si affacciava sul modello della città ideale del futuro i cui dettagli erano proiettati in multivisione sulla cupola. Gli altri padiglioni costituivano una spettacolare antologia architettonica che spaziava dal Funzionalismo allo Streamline, dall’Organicismo al Monumentalismo totalitario o burocratico. Ad allestirli, su progetto degli architetti di grido, erano stati i maggiori gruppi industriali americani (stupendo “Futurama” di General Motors progettato da Norman Bel Geddes) e dalle nazioni partecipanti, oltre 60, Urss presente, la Germania assente per motivi politico-razzisti. C’era anche quello italiano, che esponeva formidabili campioni del nostro patrimonio artistico e archeologico: disegnato da Michele Busiri Vici mascherava l’obbligatorio monumentalismo di regime con forme eleganti dai motivi e dalle proporzioni auliche. A testimoniare l’avvenire c’erano Elektro-MotoMan, il robot parlante e fumante di Westinghouse, la Tv a colori, le supernavi, i treni aerodinamici, le meraviglie dell’energia elettrica, della meccanica, delle auto, delle comunicazioni, della fisica (Einstein tenne una lezione) e della chimica. A visitare la fiera furono in 57 milioni (44 paganti): ciò che utopizzava era un futuro ipertecnologico di massa ma con l’individuo libero al centro. La guerra l’avrebbe spazzato via.