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FOOD DESIGN

In pochi anni Julien Royer è arrivato ai vertici delle maggiori classifich­e mondiali: a iniziare dal 50 Best of Asia. Col contributo determinan­te di una nonna francese.

- di FIAMMETTA FADDA

— Estetica e spirito fusion nelle creazioni gastronomi­che di JULIEN ROYER.

Per divertirvi, davanti a questo piatto, potreste fare ai vostri amici la domanda del test di Rorschach: a che cosa ti fa pensare? All’aiuola di un paesaggist­a giapponese, a una palude amazzonica fotografat­a dall’alto da Yann Arthus-Bertrand, a una installazi­one artistica a tema “la salvezza del pianeta”? Comunque sia, l’incanto prodotto da questo simil-paesaggio è grande. Tanto che procedere a demolirlo sembra una profanazio­ne. Quanto tempo c’è voluto in cucina per ottenere questo effetto da cui trapela un accenno d’incuria? D’altra parte lo chef attende il giudizio del palato perché è di cucina che stiamo parlando. Julien Royer ha la fortuna di avere a disposizio­ne il meglio di una città, Singapore, dove la fusion più totale ha diritto di chiamarsi “terroir”. Però la chiave del suo stile è racchiusa nell’insegna del ristorante: Odette, il nome di una sua amata nonna, colei che per prima gli ha insegnato il piacere della conviviali­tà intorno a un buon cibo. Poi sono arrivati gli anni di lavoro dal grande Michel Bras, a Laguiole, profeta della sacralità di ogni ingredient­e in ogni piatto unita alla tecnica impeccabil­e. Il titolo della ricetta conferma il credo minimalist­a: “Capesante pescate a mano al naturale”. Spiega lo chef: «Per fare risaltare la purezza del sapore dolce e la consistenz­a carnosa delle capesante, le nappo con una crème fraîche profumata con aneto, rafano, cipolline sottaceto. E le incornicio con una emulsione di aneto e olio all’aneto». Due ingredient­i e poco più. Sembra facile.

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IN UNA PAROLA: PERFETTE. Lo chef acquista i suoi prodotti da “fornitori boutique” ricercati a lungo. Qui la delicatezz­a delle capesante è esaltata dall’aroma di anice dell’aneto.
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