AD (Italy)

VIVERE CON ARTE

Senza minimalism­i, anzi, con un MIX di arredi vintage e opere contempora­nee, la casa di una collezioni­sta a Berlino è in equilibrio tra comfort e bellezza.

- testo di fotografie di ELENA DALLORSO — KASIA GATKOWSKA

Arredi vintage e opere contempora­nee convivono in perfetto equilibrio in un interno di BERLINO.

Vivere con l’arte richiede una costante ATTITUDINE AL CAMBIAMENT­O. Ogni volta che una nuova opera viene installata in casa, anche l’ecosistema della stanza deve essere ripensato e riorganizz­ato.

AAll’inizio del XX secolo, quando fu edificata la maggior parte delle belle residenze alto-borghesi che si vedono ancora oggi, Charlotten­burg non era un quartiere della grande Berlino, ma una città a parte, orgogliosa dei propri primati e poco incline all’“annessione”: nel 1905, anno della costruzion­e della casa in cui si trova l’appartamen­to della storica e collezioni­sta d’arte Marta Gnyp e duecentesi­mo anniversar­io della fondazione della città, si dotò anche di un municipio che gareggiava in imponenza con quello di Berlino.

I soffitti altissimi (4,5 metri), i grandi spazi (350 metri quadrati) e le ampie finestre, tipici dell’architettu­ra di questo quartiere di Berlino Ovest, hanno conquistat­o Marta Gnyp, che quattro anni fa, dopo aver vissuto a lungo in Olanda, era in cerca di una casa per sé, il suo compagno e le sue opere d’arte: dipinti, sculture, installazi­oni, fotografie di autori contempora­nei di tutto il mondo che sono presenti in ogni stanza, incluse le tre sale da bagno. «Questo appartamen­to è luminoso, ampio, e non ha soltanto molte finestre,ma anche molte pareti. Appena l’ho visto ho capito che era il posto giusto per giocare. Arredare una casa piena d’arte necessita lunghe riflession­i, e un atteggiame­nto diverso nei confronti dell’arte stessa rispetto a quando la sia ammira in un museo o in una galleria», dice Gnyp. «Una casa è un posto in cui si vive, dove ci si deve sentire a proprio agio. In poche parole, qui bisogna considerar­e l’arte con meno soggezione e più partecipaz­ione».

L’appartamen­to è come diviso in due zone: in quella di rappresent­anza i soffitti sono più alti e le finestre danno sulla strada, vivace a tutte le ore. Qui ci sono quattro grandi stanze. Nella zona più intima si trovano due camere, il guardaroba, i bagni e la cucina, in assoluto la stanza più frequentat­a e amata della casa, con il suo grande tavolo da pranzo in legno e le sedie di Ecart. Un ampio salone mette in comunicazi­one le due zone, annullando di fatto la separazion­e originale.

L’involucro è neutro di bianchi, grigi chiari e verde Farrow & Ball («Ammetto che la tentazione cromatica l’ho avuta, ma molte delle opere esposte sono già piene di colore, quindi ho desistito», confessa la collezioni­sta), e qui hanno preso posto, spesso dialogando con mobili vintage, libri, ceramiche e tappeti (tutti Rug Star) i grandi oli di Rose Wylie e Zachary Armstrong, le stampe su lino, carta e alluminio di Petra Cortright, i dipinti a bassorilie­vo di Gina Beavers, le sculture di Raul de Nieves, le foto di Rineke Dijkstra o le opere del ghanese Serge Attukwei Clottey, realizzate con bidoni e copertoni abbandonat­i.

«Le opere d’arte reclamano il loro spazio», racconta Gnyp, «Ma non devono mai prendere il sopravvent­o sul comfort dell’abitare. In casa sono presenti autori contempora­nei che amo e che posso dire di aver visto nascere e crescere. Mi circondo di opere che non solo mi piacciono, ma che hanno anche qualcosa da dirmi». Vivere con l’arte richiede una costante attitudine al cambiament­o. Ogni volta che una nuova opera viene installata in casa, anche l’ecosistema della stanza deve essere ripensato e riorganizz­ato. Marta Gnyp compra costanteme­nte nuovi pezzi, che sostituisc­ono a rotazione quelli esposti, che vengono in parte venduti, ma prevalente­mente custoditi in un magazzino in attesa di una seconda vita sulle pareti di casa. «L’importante per me è la relazione tra gli oggetti, soprattutt­o quelli d’arte. Tutti parlano delle stesse cose, sebbene con linguaggi differenti: la bellezza, le nostre ossessioni. Ma per avere un senso devono potermi raccontare delle storie, stimolarmi a pormi delle domande e a cercare risposte. Altrimenti si tratta solo di begli oggetti, e di una casa squisitame­nte decorata».

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CRYSTAL PINK LIP DI GINA BEAVERS (2017). TAPPETO DI RUG STAR. A DESTRA: SUL COFFEE TABLE DANESE ANNI ’60, UNTITLED DI DAVID JABLONOWSK­I. SOPRA, GREEN RHOMBE DI WOJCIECH FANGOR (1958).
A SINISTRA: NEL LIVING, DIVANO VINTAGE E TAVOLINO DANESE. LAMPADARIO DI MURANO. SULLA PARETE IN FONDO CRYSTAL PINK LIP DI GINA BEAVERS (2017). TAPPETO DI RUG STAR. A DESTRA: SUL COFFEE TABLE DANESE ANNI ’60, UNTITLED DI DAVID JABLONOWSK­I. SOPRA, GREEN RHOMBE DI WOJCIECH FANGOR (1958).
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IN QUESTA PAGINA: SCULTURA DI RAÚL DE NIEVES E DIPINTO DI ELIZA DOUGLAS. IN FONDO, UN’OPERA DI ZACHARY ARMSTRONG. PAGINA SEGUENTE: SOPRA IL DIVANO BIELEFELDE­R WERKSTÄTTE­N, KOREAN CHILDREN SINGING DI ROSE WYLIE (2013). POLTRONCIN­E ANNI ’20.
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 ??  ?? IN QUESTA PAGINA: INTORNO AL TAVOLO VINTAGE, SEDIE DI ECART PIÙ UNA CINESE DI INIZIO ’900. LAMPADA ANNI ’70, VASI BITOSSI. ALLA PARETE, SAY SOMETHING! DI GORAN TOMCIC. IN ALTO, TRANCE TABLE DI URI TZAIG (2011) E FACTORIES DI FARAH ATASSI (2013). LAMPADARIO AUSTRIACO ANNI ’30 E, A DESTRA, UN LAVORO DI MYRIAM MECHITA. PAGINA SEGUENTE: IN CUCINA, UNTITLED DI DOUGLAS GORDON (2001), LAMPADA SPLÜGEN BRÄU DEI FRATELLI CASTIGLION­I (FLOS). CUCINA LA CORNUE.
IN QUESTA PAGINA: INTORNO AL TAVOLO VINTAGE, SEDIE DI ECART PIÙ UNA CINESE DI INIZIO ’900. LAMPADA ANNI ’70, VASI BITOSSI. ALLA PARETE, SAY SOMETHING! DI GORAN TOMCIC. IN ALTO, TRANCE TABLE DI URI TZAIG (2011) E FACTORIES DI FARAH ATASSI (2013). LAMPADARIO AUSTRIACO ANNI ’30 E, A DESTRA, UN LAVORO DI MYRIAM MECHITA. PAGINA SEGUENTE: IN CUCINA, UNTITLED DI DOUGLAS GORDON (2001), LAMPADA SPLÜGEN BRÄU DEI FRATELLI CASTIGLION­I (FLOS). CUCINA LA CORNUE.
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