Parigi è una continua ispirazione per l’atelier creativo di JEAN-PAUL GOUDE.
Su una collina nascosta, a Parigi, JEAN-PAUL GOUDE immagina show, installazioni, fotografie, video. Uno spazio dove la creatività è ovunque.
IN ALTO: IL PICCOLO GIARDINO CHE UNISCE LO STUDIO DI JEAN-PAUL GOUDE ALLA SUA CASA, UNA PALAZZINA ANNI ’30 SU QUATTRO LIVELLI COSTRUITA SU UNA PICCOLA COLLINA. A DESTRA: GOUDE ALL’INTERNO DELLO STUDIO. INTORNO A LUI BOZZETTI, DISEGNI, STUDI PER INSTALLAZIONI. LO SPAZIO È STATO CREATO SUL TETTO DI UN EDIFICIO DI COSTRUZIONE RECENTE.
TTrentun donne furibonde che si affacciano dalle finestre di un palazzo, un uomo invisibile e noncurante, un grido collettivo («Égoïste! Égoïste!») che diventa subito, come diremmo oggi, virale. Era il 1990 e quello spot per Chanel entrava nella memoria collettiva. Dietro c’era stato un lavoro colossale, compresa un’intera facciata in stile Cannes, con tanto di palme davanti, ricostruita in mezzo al niente come un fondale teatrale, nella campagna non lontano da Rio de Janeiro. A firmare questo piccolo capolavoro è Jean-Paul Goude, eccezionale inventore di immagini: negli anni ’80 ha creato l’immagine di Grace Jones (all’epoca sua compagna), nel 1989 per il bicentenario della Rivoluzione francese ha coreografato la parata più visionaria
del ventesimo secolo. E, in tempi più recenti, è l’uomo che ha immortalato Kim Kardashian nella foto con lo champagne e il calice posato sul fondoschiena che ha fatto mille volte il giro del mondo – remake di un suo scatto del 1976. Il lavoro di quest’uomo in perenne effervescenza, nato nel 1940 ma con la verve e l’aspetto di un ragazzo, è stato appena protagonista di una mostra a Milano, “In Goude We Trust” sponsorizzata da Chanel (la collaborazione con la maison è ormai trentennale), che ha presentato il suo caleidoscopico mondo creativo: fotografie, video, installazioni e performance. Lo abbiamo incontrato a Parigi, nel suo studio, mentre stava lavorando all’allestimento. Una scatola piena di finestre, di colore e di idee. Posta in cima a un palazzo e affacciata sulla città. Il luogo è una sorpresa, una zona di villette e stradine dall’aria campagnola dove traffico e rumore sono cose lontane anche se, fisicamente, a pochi metri di distanza. Ci racconta la storia di questo posto?
Anni fa, alla fine degli anni ’80, ho comprato una piccola casa costruita sulla fiancata, molto ripida, della collina vicina al parco delle Buttes Chaumont. Una zona incantevole, dove ancora viviamo con mia moglie e i nostri figli. Un giorno ho visto una gru alla fine del giardino e mi sono reso conto che in fondo al pendio c’era un nuovo edificio in costruzione. Questo non solo ci avrebbe ostruito il panorama, ma avrebbe anche considere
volmente ridotto il valore della mia casetta. Così ho fatto un accordo direttamente col costruttore: avrei comprato lo spazio degli ultimi due piani del futuro edificio, e quando questo fosse arrivato al livello del mio giardino ci avrei costruito sopra uno studio per me. Così adesso mi basta attraversare il giardino per andare al lavoro. E ho ancora la mia vista sul Sacré-Coeur e la Tour Eiffel. In seguito ho aggiunto nuovi alberi e arbusti al giardino: così adesso è davvero una giungla! Cosa è Parigi per lei? Questa città non è solo una ispirazione senza fine e una fonte di fantasie piene di glamour. È la mia casa. Ci sono nato, ci sono cresciuto, ho studiato qui. L’ho lasciata solo quando mi sono trasferito a New York nei primi anni ’70, molto giovane. Da allora è passata una vita, e anche se ho passato moltissimo tempo lontano dal mio paese continuo a sentirmi assolutamente francese e parigino. Nel suo studio ci sono mobili di progettisti celebri come Le Corbusier e Mallet-Stevens. Qual è il suo rapporto col design? Per quello che mi riguarda, il design è ovunque: moda, riviste, cinema, teatro, architettura, oggetti. Anche se i primi passi della mia carriera sono stati da illustratore, arte e design sono presto diventati i miei obiettivi. E anche se non creo/realizzo artefatti decorativi, è la mia passione per il design che mi guida e permea i miei progetti, che si tratti di un film o di un’installazione. Qual è l’oggetto, qui dentro, a cui è più affezionato? Se devo proprio scegliere: direi la lampada Religieuse di Pierre Chareau. È bellissima e non me ne stancherò mai. Lei è tante cose: set designer, creatore d’immagine, regista, inventore, illustratore, grafico, scultore. In quale di queste definizioni si riconosce di più? La prego, non esageri. Altrimenti finirò per crederle e pensare di essere davvero un artista.
«Parigi non è solo una senza fine. È la ISPIRAZIONE mia casa. L’ho lasciata nei primi anni ’70 per New York, e da allora ho passato moltissimo tempo lontano. Ma continuo a sentirmi assolutamente francese e parigino».