Irrazionale se mi va,
Una villa urbana dei primi anni ’20, in Lombardia, è tornata a raccontare il passato che ha vissuto. Grazie a un intervento che ha saputo riscoprire e valorizzare i bellissimi segni lasciati dal tempo
«ABBIAMO SCAVATO LA STORIA DELL’EDIFICIO, LE EVOLUZIONI CHE AVEVA VISSUTO, E CHE IN QUALCHE MODO TRATTENEVANO LA VITA E IL GUSTO DI COLORO CHE VI AVEVANO ABITATO»
Letterario. Così Diego Cisi e Stefano Gorni Silvestrini, fondatori nel 1997 dello studio Archiplan, aggettivano il loro metodo di progettazione. «Che si tratti di un lavoro ex novo o di un’opera di ristrutturazione, in ogni intervento cerchiamo di individuare delle questioni e dei temi in grado di rendere il progetto una narrazione, indipendentemente dai risultati formali». Anche in questo caso, una villa urbana dei primi anni ’20 alle porte di una cittadina lombarda? «Più che mai qui. I nostri committenti, due professionisti ricercatori del bello,
così si descrivono loro, hanno sposato con entusiasmo le nostre idee e ci hanno trasmesso una grande energia. Non volevano una sequenza di stanze ospedaliere algide e asettiche, come spesso si vede oggi in tema di ristrutturazioni, ma una casa che avesse qualcosa da raccontare. E a questo l’edificio si prestava egregiamente. Così ne abbiamo scavato la storia, ne abbiamo ascoltato gli insegnamenti prestando particolare attenzione alle evoluzioni che nel tempo aveva vissuto, e che in qualche maniera trattenevano la vita e il gusto di coloro che vi avevano abitato. Alla fine si è deciso di toccare il meno possibile della stuttura originaria e di fare emergere la contemporaneità attraverso un impiego molto misurato di nuovi elementi architettonici e d’arredo».
In questa prospettiva il recupero attuato da Cisi e Gorni Silvestrini ha lasciato inalterato il fabbricato dal punto di vista strutturale e planimetrico, con la zona giorno e la zona notte distribuite su due piani. Unica variazione, la trasformazione del vecchio laboratorio in un luminoso ambiente pranzo-cucina caratterizzato da ampie vetrate industrial style e incentrato su un grande tavolo di cinque metri e mezzo di lunghezza che guadagna in personalità inglobando anche un pilastro preesistente. Disegnato da Archiplan in legno laccato, è il luogo su cui si preparano i cibi e si
consumano i pasti, ma anche dove il figlio dei committenti, Pietro, fa i compiti scolastici, e dove, in un grande vaso tondo, vive Babù-Franco, il suo amato pesciolino. In più è stato aggiunto un camino e aumentata la trasparenza e la visibilità della finestra mediante la sostituzione di due fasce in vetro stampato con altrettante di vetro liscio. «In questa maniera», osservano gli architetti, «si è recuperata la centralità della cucina nella vita domestica, rinnovando una radicata tradizione dell’abitare italiano». Anche l’involucro ha subito cambiamenti minimi. Le finiture interne ed esterne sono state mantenute, i pavimenti esistenti sono stati ripuliti rendendo ben leggibili i motivi decorativi geometrici e colorati delle cementine originarie. Nel soggiorno come nei corridoi, nelle camere come nei bagni un paziente lavoro di spazzolatura ha messo in vista le stratificazioni pittoriche delle pareti, che ora rivelano tessiture inaspettate e colori indefiniti, quasi sensuali.
L’arredamento è come centellinato, rarefatto, interagisce con misura con la storicità della scena creando effetti vagamente metafisici. Pochi ed essenziali i pezzi che lo compongono e che costituiscono la cifra contemporanea del décor. Nella sala-cucina, oltre al tavolone, è protagonista l’aereo lampadario realizzato su disegno: una sottile asta di legno sospesa al soffitto che regge una serie di punti luce. La lampada Arco di Piergiacomo e Achille Castiglioni (Flos) caratterizza invece il soggiorno dialogando con un camino e una sedia anni ’60 già presenti nella casa. Nello studiolo spiccano la classica lounge chair con relativo poggiapiedi di Charles e Ray Eames (oggi prodotta da Vitra) e la libreria Assemblage di Seletti. Sempre degli Eames è la sedia a dondolo RAR che dà un tocco in più alla camera da letto padronale, la cui pièce de résistance sono le pareti: qui, dopo la spazzolatura, sono riemersi tutti i decori che si erano stratificati nel corso dei cent’anni di vita dell’edificio. E sono stati lasciati così com’erano, sovrapposti e strappati, creando un motivo decorativo che sembra un intervento d’artista. Nei bagni sono vasca, lavabi (su disegno dello studio), rubinetteria e specchi a conferire all’ambiente una specie di anacronistica attualità.
Dappertutto, insomma, Cisi e Gorni Silvestrini giocano con i segni del tempo. È la loro filosofia progettuale. Spiegano: «Sono dettagli che, a nostro avviso, costituiscono un patrimonio che miriamo a salvaguardare in tutti i nostri interventi di recupero e di ristrutturazione. L’azione del tempo conferisce ai materiali e, in generale, ai manufatti delle imperfezioni che rappresentano per noi una sorta di ornamento spontaneo, intrinseco. Come diceva Bruno Munari: “La perfezione è stupida”. Il nostro approccio progettuale ha una forte componente per così dire femminile, non sfoggiamo certezze virili in nome di una omogeneità stilistica. Ogni lavoro nasce dall’osservazione, si adatta alle storie che l’edificio cela e
tenta di dare loro una lettura contemporanea senza violentarle. Ricerchiamo la bellezza negli opposti, nella capacità che hanno elementi differenti di generare tra di loro una liaison».
Visitandola, e soprattutto vivendola, si avverte come questa casa sappia tenere insieme presente e passato con armonia, «in una forma che non lascia prevalere le ragioni dell’uno a scapito dell’altro, ma che mantiene tutti gli elementi insieme nella loro diversità. Una forma plurale, ambigua, non assoluta e in costante divenire. Un modo per dar conto della complessità delle cose. Il nostro modo».