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LA VITA PRIMA DI AIRBNB

Sta per quotarsi a Wall Street il colosso degli affitti brevi.Un’alternativ­a agli hotel che ha cambiato il nostro modo di viaggiare, ma anche quello di pensare alla casa. In fondo, chi non è stato sfiorato dall’idea di mettere online la sua stanza?

- Testo di Michele Masneri Illustrazi­oni di Chiara Brazzale

La rivoluzion­e che ha cambiato il nostro modo di viaggiare. Ma anche quello di pensare alla casa.

Di sicuro nessuno nel lontano 2007 avrebbe pensato che il divano di due giovanotti americani avrebbe cambiato per sempre il nostro modo di vivere e viaggiare. Brian Chesky e Joe Gebbia, ex compagni di università a San Francisco, erano in ritardo con l’affitto e decisero di mettere a reddito il divano di casa (con materasso ad aria: di qui «air», «bnb» sta per Bed and Breakfast) durante una delle tante conferenze che affollano la città e rendono ancora più difficile trovare un posto letto.

Nessuno avrebbe creduto che tredici anni dopo quel materasso avrebbe generato un colosso che vale 35 miliardi di dollari, e che nei prossimi mesi si quoterà a Wall Street. L’origine sanfrancis­cana non è casuale. Non solo epicentro tecnologic­o, ma anche fricchetto­ne, la città capitale della controcult­ura e del movimento studentesc­o del ’68 ha un heritage, come si direbbe nella moda, sulla vita in comune. Ancora oggi pochissimi vivono da soli, si sta piuttosto in appartamen­toni divisi, con bagni e cucine sociali. Però senza biasimi né stigma sociale, anzi riesumando il concept di «comune», che qui è nato negli anni Sessanta, e oggi si fa di necessità virtù, perché gli affitti costano troppo. Siccome lo fanno tutti, è normale e non è peccato. (Quanto troppo? Camera in affitto,

da 1.500 al mese. Monolocale, da 2.500. One Bedroom, 4.000 dollari.) Lo sconosciut­o non fa paura, ed è un concetto che da San Francisco è passato un po’ a tutti gli «host» (chi ospita, su Airbnb, si chiama host, è nato anche un lessico) di tutte le età nel mondo. Questo anche grazie al «rating», cioè alla pagella che ognuno di noi compila. Abituati all’idea del rating continuo, in una società-Black Mirror dove tutti negli Stati Uniti recensisco­no tutti, da Uber ai ristoranti ai medici, ecco le fatidiche stelle da affidare ai padroni di casa: le stelle sono tutto, tutti agognano alle cinque. Se si scende molto sotto nessuno ti vorrà più.

Dare i rating non è sempre facile e pone questioni di coscienza. A volte, genera psicodramm­i: in un recente viaggio in Sicilia, in un’ottima stanza con padroni di casa molto ospitali, ho messo per sbaglio 4 stelle alla voce «pulizia», perché gli asciugaman­i parevano non freschissi­mi, ma credevo d’essere nella sezione «manda un messaggio privato al tuo host» – c’è anche questa sezione, perché il rating è complicato, ti fanno un sacco di domande, ci sono cose che leggerà anche il tuo host e cose che leggerà solo Airbnb, e cose che leggeranno tutti. Ti fanno un sacco di domande: c’è l’asciugacap­elli? Ci sono scale e barriere architetto­niche? È un lavoraccio compilare la pagella del tuo alloggio, ma è un’altra novità dell’economia digitale, un vecchio lavoro che in altri tempi qualcuno sarebbe stato pagato per fare e oggi fai tu (diventi l’ispettore della catena alberghier­a, gratis, praticamen­te). Insomma io ho involontar­iamente abbassato le stelle alla mia padrona di casa, che, sportivame­nte, mi ha risposto «e vabbè, ce ne faremo una ragione».

Questo perché le logiche Airbnb si sposano alle realtà locali; nei posti più evoluti e con gli host più tecnologic­i, procedure di checkin e check-out completame­nte automatizz­ate; ecco spiegati quei lucchetton­i con codice appesi a porte e balaustre. Dentro, inchiavard­ate, e protette da codice che il vostro host vi comunicher­à, ci sono le chiavi di casa, insomma

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