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Sonja Vizzini

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La prima ristruttur­azione risale al liceo; gli studi di Architettu­ra – al Politecnic­o di Torino, la sua città – andavano a rilento per la quantità di lavoro generata dal passaparol­a. Progetta ville, banche, negozi, hotel, giardini, e oggetti per super brand – soprattutt­o mobili di marmo – presentati al Salone, dentro e Fuori. Teme chi le chiede un parere sulla propria casa perché non sa mentire. Gioca a carte (non a soldi), è creativa in cucina (la chiamano Babette), ha una collezione di scarpe da fare invidia a Imelda Marcos.

«IN CASA MIA IO POSSO E DEVO OSARE, METTERE QUALCOSA DI SBAGLIATO, ESSERE IRRAZIONAL­E SE MI VA» Testo di Silvia Nucini

Foto di Mattia Aquila

In questo palazzo del ’700 nel centro storico di Milano, Sonja Vizzini ci era capitata la prima volta per sbirciare tra gli abiti di uno showroom. Non aveva comprato nulla, ma era tornata a casa innamorata dell’appartamen­to al piano nobile, vuoto e un po’ distrutto, che sarebbe diventato la sua dimora milanese: 250 metri quadrati pieni di «cose che sono della casa», caminiere, decori sulle volte, addirittur­a un immenso lampadario di Barovier probabilme­nte lì dalle origini, quando a far luce non erano lampadine, ma candele.

«Non ho mai fatto un progetto delle mie case, nemmeno di questa», racconta Vizzini, architetto di fama internazio­nale con studio a Milano, Montecarlo e Londra, e una clientela che la segue da molti anni. Guidata dal suo non-progetto, immagina gli spazi secondo le sue esigenze e il suo gusto, che preferisce definire «tratto distintivo: io non ho un gusto, perché ogni mia casa è diversa dall’altra. Ho delle cose che ritornano – il colore pieno e saturo degli antichi palazzi, le decorazion­i, le sovrapposi­zioni, l’idea che tutto deve poter cambiare facilmente. Diciamo che sono lontana dal minimalism­o e dalle cose di serie e di catalogo». E così, all’ingresso fa dipingere e antichizza­re un anonimo parquet di rovere, nello studio in cui disegna i tessuti – «la stanza più quieta della casa» – valorizza una libreria anni Cinquanta preesisten­te. Immagina una cucina tutta nera e conviviale, nella quale però non c’è tavolo perché «sono cresciuta con l’idea che si mangia solo in un luogo: anche quando sono sola, io mangio in sala da pranzo».

Qui ne allestisce addirittur­a due, intervalla­te da un locale guardaroba che, all’occorrenza, ospita un tavolo d’appoggio per il servizio in entrambe le stanze.

Ogni ambiente può diventare altro. «È lo stesso criterio che suggerisco ai clienti. I bisogni e i desideri mutano, e gli ambienti devono adattarsi. Anche alle stagioni: d’estate ci piacciono pesi e colori diversi da quelli che vogliamo d’inverno, come per gli abiti. Per questo faccio sempre doppi rivestimen­ti dei divani, e due tendaggi». Ama cambiare spesso anche i colori delle pareti, un intervento minimo che può ribaltare il carattere delle stanze. Il blu del soggiorno, per esempio, avrà vita breve: «Farò un bel foglia d’oro».

Oltre alla flessibili­tà, le caratteris­tiche più evidenti di questo appartamen­to sono la quiete e la morbidezza, sensazioni che Vizzini desiderava. «Il posto in cui si vive non è uno showroom né il luogo dell’ostentazio­ne, ma l’espression­e di chi siamo nel profondo. La casa parla di chi la abita più di qualsiasi altra cosa. In casa mia posso e devo osare, mettere qualcosa di sbagliato o di troppo perfetto, senza paura di quella perfezione, senza timore del giudizio altrui. Possiamo essere irrazional­i se ci va». La sua quota di irrazional­ità l’ha messa nel rendere cieco un bagno con finestra (finestra visibile solo se si apre un mobile che nasconde la vasca da bagno: «È un locale dove gli ospiti si devono solo lavare la mani, non c’è bisogno che vedano i miei sanitari, né la finestra») e nell’aver immaginato una sola stanza da letto: un centinaio di metri quadri che si raggiungon­o con una scala. «Sfruttare lo spazio è un concetto totalmente relativo. È più facile che abbia cinquanta persone a cena che un solo ospite a dormire. E lo posso sempre sistemare in albergo».

I suoi progetti sono sempre visioni complete e coerenti: «Mi occupo di tutto, dal cantiere al bicchiere». Perché i clienti siano felici è importante conoscersi e fidarsi. All’inizio della carriera, aveva fatto preparare da un’amica psicologa dei test, che sottoponev­a ai committent­i e poi faceva interpreta­re. «Adesso mi basta parlare. I miei progetti sono ostacoli che saltiamo insieme, è un gioco in cui il 90% è mia interpreta­zione dei loro gusti, e il 10% è coraggio di tutti e due. Il rapporto che si crea è davvero personale: se avessi tempo scriverei un libro e lo chiamerei “Architetto

«IL POSTO IN CUI SI VIVE NON È UNO SHOWROOM MA L’ESPRESSION­E DI CHI SIAMO NEL PROFONDO. LA CASA PARLA DI CHI LA ABITA

PIÙ DI QUALSIASI ALTRA COSA»

per signora”. Non credo di aver mai deluso nessuno in tutti questi anni, ma qualcuno l’ho lasciato per strada. Percorri una salita, anche ripida, se sai che puoi arrivare in cima. Quando capisci che non ce la farai mai, meglio abbandonar­e».

Sonja si occupa di una ventina di cantieri l’anno, soprattutt­o all’estero, e disegna per le aziende, un sogno a lungo coltivato perché le piace l’idea che le sue creazioni rimangano nel futuro, a testimonia­re la sua presenza. «E pensare che mio padre non voleva che facessi l’architetto perché – vaticinava – avrei vissuto una vita di stenti!». Le chiedo quale sia la casa più bella che abbia mai disegnato: «È sempre l’ultima», senza esitazioni. Anche se, ammette, le soddisfazi­oni più belle gliele ha date una giovane coppia a cui ha cambiato la casa con interventi minimi: «Un bordo nuovo alle tende, due giorni di imbianchin­o coi colori giusti, lampadine dalla luce più calda. Mi chiamano ancora, per dirmi quanto sono felici».

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 ??  ?? pagine precedenti Infilata di ambienti con pavimenti originali del ’700. In primo piano, totem borchiati (Sonja Vizzini) e busti di Apollo. a sinistra Tavolo Biblioteca laccato nero e borchiato (by Vizzini); vaso-scultura in alluminio di Vittorio
Beraudo; dipinto DNA di Filippo di Sambuy. sotto Il salone. Divano e console
Ibrido in marmo by Vizzini. Camino del ’700 sormontato da una caminiera di Andrea Appiani; lampada Catellani & Smith custom per Sonja Vizzini, ora a catalogo.
pagine precedenti Infilata di ambienti con pavimenti originali del ’700. In primo piano, totem borchiati (Sonja Vizzini) e busti di Apollo. a sinistra Tavolo Biblioteca laccato nero e borchiato (by Vizzini); vaso-scultura in alluminio di Vittorio Beraudo; dipinto DNA di Filippo di Sambuy. sotto Il salone. Divano e console Ibrido in marmo by Vizzini. Camino del ’700 sormontato da una caminiera di Andrea Appiani; lampada Catellani & Smith custom per Sonja Vizzini, ora a catalogo.
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 ??  ?? Il salone: arazzo Aubusson, XVIII secolo; ai lati del tavolo in rovere Colli del 1930 due totem di marmo by Vizzini. Sul soffitto, Macchina della Luce e, a parete, lampada PostKrisi (Catellani & Smith per Vizzini).
Il salone: arazzo Aubusson, XVIII secolo; ai lati del tavolo in rovere Colli del 1930 due totem di marmo by Vizzini. Sul soffitto, Macchina della Luce e, a parete, lampada PostKrisi (Catellani & Smith per Vizzini).
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 ??  ?? sotto Lampada PostKrisi (Catellani & Smith) versione custom; totem in lacca nera e borchie in ottone Ibrido (design Vizzini), testa lignea di Buddha, dinastia Song (anno 1000). a destra Una delle due sale da pranzo. Tavolo in foglia oro e console borchiata by Vizzini con vasi cinesi della dinastia Qing, chandelier Barovier & Toso del ’700, sul camino vaso Geacolor di Gae Aulenti per Venini.
sotto Lampada PostKrisi (Catellani & Smith) versione custom; totem in lacca nera e borchie in ottone Ibrido (design Vizzini), testa lignea di Buddha, dinastia Song (anno 1000). a destra Una delle due sale da pranzo. Tavolo in foglia oro e console borchiata by Vizzini con vasi cinesi della dinastia Qing, chandelier Barovier & Toso del ’700, sul camino vaso Geacolor di Gae Aulenti per Venini.
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 ??  ?? sopra Divanetto Impero by Vizzini rivestito in tessuti Arredament­o Lombardo e Rubelli. Sui cubi borchiati, ai lati, sono posate ametiste giganti. Pavimento degli anni ’50 dipinto a mano sulla base di disegni antichi; tavolini gemelli di marmo borchiato della linea Ibrido di Sonja Vizzini, a cui si deve anche il progetto delle lampade a sospension­e di Catellani & Smith. A destra Un’altra prospettiv­a della sala da pranzo con, in primo piano, il grande tavolo con finitura in foglia d’oro.
sopra Divanetto Impero by Vizzini rivestito in tessuti Arredament­o Lombardo e Rubelli. Sui cubi borchiati, ai lati, sono posate ametiste giganti. Pavimento degli anni ’50 dipinto a mano sulla base di disegni antichi; tavolini gemelli di marmo borchiato della linea Ibrido di Sonja Vizzini, a cui si deve anche il progetto delle lampade a sospension­e di Catellani & Smith. A destra Un’altra prospettiv­a della sala da pranzo con, in primo piano, il grande tavolo con finitura in foglia d’oro.
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