L’IMPERFETTA BELLEZZA
A Lugano un architetto d’interni evidenzia i segni del tempo nella sua residenza
Una villa storica a Lugano e un progetto che non cancella ma evidenzia i segni del tempo
Da queste parti la chiamano «castello», perché del castello romantico ha la sembianza esterna: facciate ornate di stucchi e punteggiate di finestre con le gelosie verdi, una torre, un orologio. Queste parti sono la zona della Collina d’Oro, sopra il lago di Lugano, e il castello è casa Camuzzi, costruita, su un terreno di sua proprietà, dalla famiglia bergamasca Camuzzi, che fece la sua fortuna (dentro e fuori metafora) alla corte degli zar, ornando di gessi e stucchi le regge e i palazzi di San Pietroburgo.
Il Canton Ticino di metà Ottocento era regione quasi al cento per cento di contadini. Chissà come avranno preso gli abitanti di Montagnola la profusione di ghirigori e il grande parco esotico di quella dimora da signori, gli stessi che, con alterne fortune, l’hanno abitata fino alla fine degli anni ʼ80. Liberi di creare una casa a loro immagine e somiglianza, in mancanza di un archetipo architettonico locale, i Camuzzi – a partire dal capostipite Agostino – hanno investito le loro ricchezze in un palazzo di rappresentanza, facendo di ogni stanza un «prototipo», un luogo di ricerca. Della professione, che era ciò
di cui andavano fieri e per cui erano famosi: «Il castello era signorile negli esterni ma tutto sommato semplice negli interni, e gli esperimenti dei Camuzzi si concentravano soprattutto nella decorazione», racconta Francesca Neri Antonello – una laurea in Interior Architecture negli Usa e una vita nomade tra America ed Europa: «In sala c’è un gigantesco camino di gesso con una cornice lussuosa e classica alla quale sono però stati aggiunti elementi “bassi”, domestici, come un gatto e una pentola». Un po’ artigiani eccellenti, un po’ parvenu, i Camuzzi hanno anche il merito di aver messo a dimora nel parco affacciato sul lago ogni genere di pianta rara, nell’apparente disordine voluto dal gusto dell’epoca per i giardini all’inglese.
Palme cinesi, camelie, glicini, un enorme faggio che, sradicato dalla tempesta Vaia, ha liberato dalla sua ombra imponente la limonaia, riportandola alla luce, anche se parecchio danneggiata. «Il verde è protetto, così io dalle mie finestre vedo solo scorci del lago, ma va bene così, i luoghi e la loro eredità vanno rispettati. Non ho bisogno della vista-cartolina che molti miei clienti mi chiedono», dice Francesca Neri.
A mano a mano che i Camuzzi perdevano la ricchezza delle origini, la casa si trasformava: si aggiungevano camini nelle stanze che venivano messe in aftto («Solo nel mio appartamento ne ho otto, perfino in una camera armadio»), si imbiancavano con la calce gli affreschi alla maniera francese, poi riaforati grazie a un attento restauro. Francesca Neri, innamorata del castello, non solo ne ha curato la ristrutturazione: ne ha anche comprato due piani, facendone la casa di famiglia. Ma cinque persone e un cane hanno bisogno di una distribuzione diversa degli spazi rispetto a quella originaria. E allora, senza buttare giù muri, anzi, aggiungendo separazioni con pareti di cartongesso, Francesca ha ridisegnato il layout.
Con mano leggera, per non cancellare le tracce del passato, ma visibile, per sottolineare gli interventi attuali.
«Sono convinta che prima o poi, come le balle, quello che hai tentato di nascondere salti fuori. Così ho messo tutto in evidenza: le pareti posticce, i muri portanti, gli archi, i caloriferi con i tubi a vista… E ho fatto scelte emotive, non sempre funzionali: le stanze dei figli, che allora erano ancora piccoli, vicine alla mia, un bagno per ogni abitante, una cucina, come si dice, da vivere, l’unica stanza per cui ho disegnato gli arredi, gli armadietti in microcemento. La magnifica ghiacciaia la utilizziamo come cantina, il passavivande è diventato una libreria, così come una vecchia vasca da bagno inutilizzata. Più che un progetto, è stato un adattamento: una casa storica ha accolto il nostro stile di vita, riempiendosi dei nostri mobili e delle nostre cose. Questa casa è imperfetta e l’imperfezione è stata la chiave del successo del mio intervento, se così si può chiamare: non ho voluto impianti di domotica, non c’è aria condizionata, non ci sono neppure i doppi vetri. La brezza del lago così come gli spifferi, entrano dagli infissi originali, il fresco
arriva da una sorgente che sgorga in cima alla collina e scorre per tutta la lunghezza del terreno, e che credo sia l’origine dell’energia che emana da questa casa».
Chissà, forse è per questo che Hermann Hesse l’ha scelta per viverci fino alla morte, affittando dai Camuzzi tre stanze per scrivere e disegnare. Che non possono passare inosservate. L’atelier, con la grande vetrata e un elegante balconcino in ferro battuto, è proprio sopra il portale d’ingresso, sovrastato da una finestrella romboidale in cui si trovava lo studio dello scrittore. La collezione dei suoi dipinti è ancora qui, nell’appartamento di un’altra famiglia, che con la casa ha comprato anche i quadri, legandoli per sempre al luogo in cui sono nati.