Francesco Santoro
Nel deserto dell’Arizona,nel 1937,Frank Lloyd Wright fondava la sua Utopia,che oggi muore. Una casa/scuola di architettura e di vita.Rivoluzionaria,ma con un nome antichissimo
Forse è l’anno di nascita, il 1968, che ha reso l’architetto palermitano sensibile alle utopie. Cosa che alla fine degli anni ’80 lo ha spinto a Taliesin, la scuola di pensiero e di vita fondata da Frank Lloyd Wright. Ha vissuto poi in Spagna (dove ha lavorato con Enric Miralles), a Rotterdam, a Rio de Janeiro. Oggi è di nuovo in Sicilia, dove si occupa di edifici e di paesaggio.
D’un tratto,durante la passeggiata,l’anziano architetto si fermò e capì di aver trovato il posto giusto.Acquistò per pochi dollari l’altopiano con vista sulla splendida ma aridissima Paradise Valley. Sotto fu poi trovata una falda d’acqua:il maestro l’aveva «sentita»
In un pomeriggio assolato nell’inverno del 1937 un gruppo di uomini camminava alle pendici dei monti McDowell, in Arizona. Uno era anziano, gli altri lo seguivano come un maestro. Lui era Frank Lloyd Wright, architetto, urbanista e pensatore di fama mondiale. E in quel deserto era alla ricerca di un luogo dove stabilire la sede invernale di Taliesin, la scuola che aveva fondato cinque anni prima nel Wisconsin.
Taliesin, nome di un bardo del VI secolo, in gallese arcaico significa «fronte radiosa»; fronte di un essere umano, ma anche di una montagna, come il balcone naturale sulla valle del Mississippi che Wright aveva scelto come posizione panoramica della prima scuola. Ora cercava una location altrettanto speciale nella terra remota e selvaggia di cui si era innamorato quando era stato chiamato a progettare un albergo per la capitale dell’Arizona, Phoenix. E quel pomeriggio, durante la passeggiata, a un certo punto l’architetto ormai settantenne si fermò, contemplò le montagne e capì di aver trovato il posto giusto. Acquistò il terreno a 8,65 dollari l’ettaro. La posizione, un altopiano affacciato sulla Paradise Valley, era magnifica. Lì sotto fu poi trovata una falda d’acqua, elemento indispensabile per vivere in un luogo tanto arido: si dice che Wright l’avesse «sentita».
I lavori iniziarono subito. L’architetto e i discepoli vivevano in tende, come in un accampamento, mentre i primi edifici prendevano forma. Le linee architettoniche erano ispirate dal paesaggio e pensate come una sua continuazione, un completamento in armonia. La luce era un elemento chiave: come tetto la sala da disegno aveva una copertura in tela traslucida, la sala da pranzo si affacciava a sud per poter godere del maggior irraggiamento possibile. Si lavorava a mano, tutti insieme, senza macchinari e utilizzando il più possibile i materiali che il luogo offriva in abbondanza: rocce, pietra e sabbia.
Gli spazi all’aria aperta erano fondamentali. Rispetto a Taliesin nel Wisconsin, più simile a una fattoria, la struttura nel deserto dell’Arizona abbracciava completamente lo spazio esterno, che ne diventava parte. Era una delle prime opere di paesaggismo architettonico. I giardini, le terrazze, le piscine – non solo decorative ma con la funzione di rinfrescare l’aria – erano spazi nei quali si viveva alla stessa maniera che all’interno, costituivano un tessuto connettivo per i vari elementi costruiti. Si lavorava senza un vero progetto, a parte quello che era nella mente di Wright: erano frequenti i cambi d’idea sul posto, talvolta soluzioni a problemi inattesi. Il maestro girava, ispezionava
Agli studenti diTaliesin veniva chiesto di portare con sé poche cose. Tra queste, una cassetta di attrezzi e uno smoking
in continuazione, molto spesso con qualche attrezzo in mano, seguito dagli apprendisti che mettevano immediatamente in pratica le sue idee. Nasceva un approccio all’architettura radicale. E un modo nuovo di insegnare, che poi è quello che ha dato a Taliesin – e in particolar modo Taliesin West – un posto speciale nella storia dell’architettura.
Primato e fama che il campus avrebbe mantenuto per decenni. «Appena arrivato mi sono ritrovato sui tetti a fare lavori di carpenteria: il primo mese bisogna lavorare con le mani», ricorda l’architetto Francesco Santoro, che a Taliesin ha passato un anno e mezzo, dal 1989 al 1990, quando il maestro e anche la molto più giovane terza moglie Olgivanna erano morti da un pezzo. «Arrivavo dalla Facoltà di Architettura di Palermo, a quell’epoca non c’erano ancora i computer, l’insegnamento era teorico. E poi disegnavamo. A Taliesin, invece, ti mettevano subito in mano martello, sega, cemento. Bisognava capire come usare i materiali. È uno degli insegnamenti che mi ha lasciato un segno più profondo». Era il learning by doing teorizzato da Wright. Ed era la scuola stessa, con la sua struttura (architettonica ma anche sociale), a insegnare. «Nella lista delle cose necessarie per la vita al campus c’erano anche una cassetta di attrezzi. E uno smoking», prosegue Santoro. «Mi portai tutto dall’Italia, attrezzi compresi. Lo smoking era richiesto per tutte le occasioni formali, comprese le serate di apertura al pubblico che avevano luogo ogni due settimane e durante le quali tutti noi apprendisti facevamo musica. Era un tipo di interazione che la scuola incoraggiava noi ragazzi a creare e a portare avanti. E la musica era importantissima: per Wright, capirla era fondamentale. Per lui, che aveva studiato pianoforte, anche l’architettura era fatta di partiture».
A Taliesin tutti facevano tutto: oltre allo studio (musica compresa: «Ci alzavamo alle 6.30 e alle 7:30 cantavamo») si preparava il cibo, si apparecchiavano i tavoli, si puliva, si effettuavano le riparazioni necessarie, si faceva da guida ai turisti in visita. La cucina era al cuore dell’edificio. Non c’era distinzione tra ambienti privati e scuola: perché Taliesin era una fellowship, una comunità. Frank e Olgivanna avevano uno spazio per loro ma era poca cosa, ai margini di un piccolo giardino. Tutto era in comune. Tra l’altro l’idea di una scuola/comunità era anche di lei, personaggio importante nell’evoluzione del pensiero filosofico del marito; fu Olgivanna a presentargli il mistico George Gurdjieff, di cui era stata allieva. Come spiega Santoro: «Era un momento particolare, le stesse cose le faceva anche Johannes
Per gli studenti, vivere qui era fare parte di una comunità dove ogni compito era condiviso. Dalla cucina alla musica
La filosofia didattica di Wright era in tre parole: learning by doing, imparare facendo. Una lezione che ha formato generazioni di progettisti
Itten alla Bauhaus. Era il periodo storico in cui si scopriva il corpo, in cui nascevano il pensiero di Steiner e della Montessori».
Col passare degli anni la fellowship si accresce, da Taliesin passano nomi destinati a diventare famosi. Tra gli italiani (pochi) ci sono anche Paolo Soleri, che sempre in Arizona fonderà la città-utopia di Arcosanti, e Bruno Morassutti. Cresce anche la fama di struttura un po’ settaria, volutamente staccata dal mondo. «Talvolta sentivo che mi mancava la realtà: pensavo di essere in America ma in realtà c’ero soltanto le poche volte che andavamo in città a fare acquisti», ammette Santoro. «Raccontavamo che vivevamo in casette rudimentali nel deserto e alla gente pareva incredibile che ci fossero persone disposte a fare quella vita. Ma a noi piaceva: il deserto, il rifugio col camino, le stelle. Per me è stato un battesimo, l’inizio di un percorso nomade che mi ha portato in Spagna, in Olanda, a San Francisco, in Brasile dove ho passato sette anni. Il principio di una storia d’amore con l’architettura che dura ancora».
La scuola però sentiva il bisogno di aprirsi. Già alla morte di Olgivanna, nel 1985, l’ufficio della direzione, cuore operativo della scuola, era stato spostato nella stanza dei due fondatori: un primo gesto simbolico. Poi, con gli anni, gli archivi – il cuore della comunità – iniziano ad aprirsi al pubblico con mostre curate dal loro capo, Bruce Brooks Pfeiffer. Proprio da lui sono stati donati, qualche anno fa, alla Columbia University e al MoMA, e hanno così lasciato l’Arizona per New York, da cui Wright si sentiva lontano: la scelta di costruirci il Guggenheim a forma di spirale era una critica a una città tutta basata sull’angolo retto. L’opposto di quella società organica e sapiente che era al centro del suo pensiero: perché Wright temeva che l’opinione pubblica americana, da lui spesso definita mobocracy (il potere delle masse), non avesse gli strumenti culturali e neppure la voglia di dare forma alla propria cultura, al proprio governo.
Mentre il gruppo dei fellows originali diventava sempre più esiguo, Taliesin cambiava. Forse troppo, rinnegando alcuni insegnamenti del suo fondatore. È di poche settimane fa l’annuncio che la Frank Lloyd Wright Foundation ha deciso di chiudere le due sedi della scuola, una risoluzione sofferta che ha suscitato scalpore e proteste. Forse era rimasta troppo a lungo chiusa in sé stessa, forse la società è andata troppo avanti. Viene in mente il motto dei Lloyd-Jones, la famiglia della madre di Wright: Truth against the world, la verità contro il mondo. Il coraggio di credere, a dispetto di tutto. Il saper sentire l’acqua nel deserto. Il saper costruire un’utopia bellissima.