UN’ORCHIDEA DI CEMENTO È UN’ORCHIDEA IMMORTALE
L’eden surrealista di un eccentrico inglese è un giardino pietrificato nel Messico centrale
«Edward James costruì un mondo resistente a ogni offesa: fiori, germogli rampicanti, tronchi secolari, bambù, ma trasformati dal cemento»
Nevicava, e nessuno avrebbe immaginato il gelo là dove le radici si intrecciavano ai rami e i rami carichi di fiori e frutti disperdevano il loro profumo nel cielo. Sulla foresta tropicale di Xilitla, a meno di cinquecento chilometri da Città del Messico, era caduta inspiegabilmente la neve, e quella coltre immacolata aveva compromesso la splendida collezione di diecimila orchidee di Edward James. Il quale, raggiunto a New York dalla fatale notizia, si era precipitato al capezzale dei suoi amatissimi fiori e, tenendone le corolle tra le mani, aveva giurato di vendicarli.
Sì, si sarebbe vendicato, come può vendicarsi un eccentrico, un artista minore e per questo generoso mecenate. Accanto a quel paradiso creato da Dio, e senza mancare di rispetto un dio così inesperto da permettere tale scempio meteorologico, Edward James avrebbe costruito un mondo resistente a ogni offesa: stesse forme di fiori e di germogli rampicanti, stessi tronchi secolari e umidi di muschio, stessi bambù, ma trasformati dal cemento e dalla pietra in una giungla di colonne altissime, di capitelli, di archi, di terrazzi, di scale a chiocciola infinite per raggiungere, in quella selva oscura, una scaglia di luce. E come la foresta continuava a crescere seguendo il suo corso, così quelle costruzioni avrebbero messo radici e, nutrendosi della rugiada e del vapore delle cascate, avrebbero generato l’incontro perfetto tra il giardino romantico inglese e l’eden delle civiltà precolombiane, dove tutto nasce, si spegne e risorge.
Era il 1962 e, mentre Marilyn Monroe moriva a Los Angeles, mentre a Londra usciva Love Me Do dei Beatles, e mentre a Milano entrava in scena Diabolik, Edward James univa le forze universali della bellezza, dell’amore, della morte e dava inizio a uno dei cantieri più folli e felicemente costosi del Novecento. Non una nuova Bomarzo, qui non ci sono mostri, ma
Las Pozas, le piscine, incantevole parco di trentadue ettari, oggi conservato e aperto al pubblico dalla Fundación Pedro y Elena Hernández.
A Xilitla, cittadina nello Stato di San Luis Potosí, nel Messico centrale, Edward James era giunto nel primo dopoguerra. E anche allora un fenomeno misterioso aveva deciso il suo destino. Stava nuotando nelle acque turchesi di una piscina naturale all’ombra degli alberi quando una nuvola di farfalle aveva avvolto il corpo lucente del suo compagno, Plutarco Gastélum, giovane impiegato del telegrafo di Cuernavaca, fisico hollywoodiano e sguardo di brumosa intensità latina. Edward aveva accolto la profezia di quel battito d’ali e aveva capito che il paesaggio di fronte ai suoi occhi era il regno fatato dove vivere libero, senza censure, senza giudizi, come i «fratelli» surrealisti gli avevano suggerito qualche anno prima.
In realtà James, nato nel 1907 in una delle più spettacolari dimore inglesi, West Dean House nel Sussex, aveva desiderato fin dall’infanzia una vita fuori dalle regole, anche le più radicate nell’animo britannico come la puntualità, e anche le più inutili come il divieto di alzarsi prima delle otto e trenta e correre in giardino fino al mare. «Dovevo stare a letto per forza», avrebbe poi raccontato, «e allora trasformavo coperte e lenzuola in una flotta di vascelli fantasma e città galleggianti, e iniziavo a volare».
L’importante era immaginarsi lontano. Lontano da una madre glaciale, e leggenda vuole che un giorno Madam avesse detto alla nanny di voler portare a messa uno dei figli, e alla domanda «Quale dei bambini?» la signora avesse risposto «Quello che sta meglio con il mio vestito blu». E ancora, lontano dall’aplomb velenoso dell’aristocrazia, che malignava sorseggiando il tè circa l’origine del piccolo Edward e gli attribuiva come padre
Edoardo VII, che in realtà era suo nonno, essendo la madre l’erede illegittima. E lontano infine dalla bizzarria vellutata e sterile di Eton e Oxford, a cui Edward ventenne, amico di Evelyn Waugh e con ambizioni poetiche, giungeva guidando la sua Rolls-Royce o a bordo di un aereo privato.
Sembra che a Edward James, nato eccentrico – «e dire che avrei voluto comportarmi come chiunque altro» –, l’Inghilterra non basti più. In soccorso è giunta la vecchia e tollerante Europa, prima nelle vesti di Tilly Losch, ballerina austriaca che Edward sposa nel 1931, e poi seguendo la gioiosa danza macabra dei surrealisti. Ma se Tilly lo tradisce e chiede il divorzio accusando il marito di omosessualità – e James, di nuovo al di là di ogni convenzione, dichiara in aula di essere bisessuale e quindi perfettamente in grado di soddisfare la moglie – gli amici del gruppo di André Breton restano fedeli. In cambio di tale lealtà maschile e vagamente misogina, Edward sostiene la rivista Minotaure e acquista molte opere di Salvador Dalí – produrrà il Telefono Aragosta e il Divano Labbra di Mae West – e di René Magritte, che invita a Londra nel 1937.
Durante il soggiorno al 35 di Wimpole Street l’artista belga realizza due magnifici ritratti del padrone di casa, The Pleasure Principle, dove la testa di Edward irradia luce come un sole, e Not To Be Reproduced, e quel che vediamo è James davanti a uno specchio, ma lo specchio non restituisce il volto bensì di nuovo la schiena. Sulla mensola del camino, tra i due riflessi identici, appare un libro, Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe, scritto esattamente un secolo prima, nel 1837, e dipinto nella versione tradotta da Charles Baudelaire.
Come Gordon Pym anche Edward s’imbarca e attraversa l’Atlantico per visitare la New York World’s Fair nel 1939.
Altro viaggio fino a Beverly Hills, e James entra nella cerchia del misticismo hollywoodiano di Gerald Heard, medita, mangia verdure, passeggia, guarda altrove fino a quando, annoiato come solo un miliardario che a cinque anni eredita le fortune del padre e a dieci quelle dello zio morto durante una caccia all’elefante, accetta l’invito della cugina Bridget Bate Tichenor, modella di Man Ray e amata da Anaïs Nin, poi pittrice mondanissima, e raggiunge il Messico. E qui, indossando il primo pezzo di una ricca collezione di poncho, si unisce alla comunità che gravita intorno a quel salotto di aspirazioni artistiche, cosmologiche e primitive, e sono personalità come Leonora Carrington, ex amante di Max Ernst, Remedios Varo e Alice Rahon.
Molte chiacchiere, forse troppe, e in quel concerto di voci e vanità irrompe improvvisamente il silenzio della foresta. Edward si congeda, il tempo di innamorarsi di Plutarco, acquistare due sacchi a pelo e immergersi nella natura primordiale. «Ci sono foglie così grandi che sarebbero piaciute a Rousseau», scrive alla cugina. Ci sono soprattutto gli animali, uccelli e serpenti, meravigliosi «perché non parlano». E c’è il sogno di un primo rifugio nella giungla di Xilitla, una casa e una piscina a forma di occhio, dove Edward nuota nella pupilla e nel bianco danzano le carpe. Anni felici. Poi la nevicata e i due amanti diventano architetti, sotto la loro guida quaranta operai e, a disposizione, un budget da cinque milioni di dollari, quasi cinquanta al valore odierno. Nasce Las Pozas e anche i più blasé nei salotti artistici internazionali devono ricredersi: allora è vero, il surrealismo esiste.
Edward James muore nel 1984. Sebbene fosse stato un poeta dimenticabile, aveva scritto un verso meraviglioso: So far, so glad. Così lontano da casa, così felice di costruirne un’altra.