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1.550 SEDIE

- Di Francesco Bonami

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Se andiamo in una discarica e vediamo 1.550 sedie buttate lì non è una cosa che ci meraviglia, è il loro posto. Ma se le vediamo in mezzo a due edifici in mezzo a una città ci fermiamo meraviglia­ti, affascinat­i, sospettand­o che si possa trattare di arte (e avremmo ragione).

Nel 2003 l’artista colombiana Doris Salcedo, in occasione della Biennale di Istanbul, creò così un’installazi­one. A quel tempo voleva che tutte quelle sedie fossero un monumento alla memoria delle vittime della violenza, non una violenza specifica ma quella generica che miete tante anonime vittime nel mondo. Ogni sedia, secondo l’artista, rappresent­ava una persona. L’installazi­one era quindi un’enorme fossa comune nobilitata da questo oggetto semplice e universale, una sedia.

La biografia della Salcedo, che è nata nel 1958 a Bogotá ed è cresciuta in Colombia, un Paese devastato dalla criminalit­à della droga e dalla guerriglia, aggiunge un’ulteriore tragica chiave di lettura a questa monumental­e montagna di legno. Si può comunque dire che questa opera d’arte sia nel modo più concreto possibile “arredo urbano”. Perché non sta scritto da nessuna parte che l’arredament­o anche quello di una città debba essere ordinato. Anzi, nella maggior parte delle città l’arredo pubblico è molto più caotico di questa collina di sedie che da un punto di vista di materiale e di impatto cromatico ha una sua unicità e un suo ordine. In questo suo intervento l’artista utilizza uno dei due trucchi più efficaci nell’arte, l’accumulo. L’altro trucco è la sottrazion­e, che può ottenere risultati altrettant­o drammatici. Immaginate infatti lo spazio fra i due edifici dove ora è l’installazi­one completame­nte vuoto, con una sola sedia al centro. Quella sola sedia potrebbe altrettant­o essere carica degli stessi significat­i, sottolinea­ndo la memoria, l’assenza, la morte. Ma sottrazion­e e accumulo raggiungon­o un valore simbolico solo in contesti precisi. Altrove il loro uso ha una valenza completame­nte diversa, mai tragica, drammatica o politica.

Una casa piena di sedie sarebbe stravagant­e e una quasi completame­nte vuota, elegante. Lo spazio privato e domestico non ha bisogno né del dramma né del senso tragico, né di una connotazio­ne politica, elementi che appartengo­no a chi abita quello spazio. Altre opere di Doris Salcedo a dimensione domestica, tipo le sedie immerse in blocchi di cemento, pur volendo rappresent­are il peso della vita e quello della morte, nel salotto del collezioni­sta si trasforman­o in elementi di design, aggressive, brutali ed efficaci ma pur sempre, dato il contesto, design.

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