LA FABBRICA DELL’ILLUSIONE
Come finestre aperte su mondi fantastici: un romanzo in uscita celebra l’antica arte del trompe-l’oeil
con quello che è più vicino, presente intorno a noi, cioè gli alberi. Poi le pietre e i marmi: Carrara, Grande antico, Labrador, Henriette Blonde, Fiore di pesco, Griotte d’Italia... Infine soffitti e cieli, i più difficili, pieni di spiritualità come sono. Il trompe-l’oeil è da molti considerato una pratica ancillare rispetto alla pittura. Perché?
Viene giudicato una sorta di mestiere, contrapposto all’arte, quella “vera”. Credo che sia perché il trompe-l’oeil mette in crisi la nozione di genio e quella di autore. Al massimo è visto come un’arte minore, che consiste solo nel riprodurre, nel ricreare. Ma questo trascura tutta la sensibilità e l’interpretazione che sono necessarie per perseguirla. Copiare non è necessariamente inferiore a creare.
Volevo accendere finalmente un riflettore su questi pittori spesso considerati dei meri esecutori tecnici, quando essi invece possiedono letteralmente le chiavi dell’illusione, il potere di recuperare ciò che è andato perduto, di rifare ciò che è stato distrutto, di riportare in vita ciò che è stato dimenticato. Volevo che la mia eroina, nel suo percorso, si liberasse di tutte queste distinzioni ontologiche, di questa ossessione su chi sia un “vero” pittore: lo dice chiaramente, “io non voglio essere una pittrice, io voglio dipingere, basta questo!”. Il lavoro dei pittori di trompe-l’oeil li assorbe in modo totale, quasi come una missione religiosa, un’astensione dal mondo.
Sì, perché quel lavoro ha logiche stringenti. Hanno una scadenza entro la quale consegnare, una disciplina a cui obbedire. La relazione col proprio corpo è fondamentale: devono affrontare la fatica, gli odori delle sostanze, i dolori fisici e i sacrifici. E infine restare abbastanza innocenti da provare meraviglia. Per me, sono come grandi atleti.