LA NATURA ANCHE DENTRO
Grandi finestre, materiali che hanno già avuto una storia e moltissimo legno (che è vivo ed eterno): così questo chalet in Engadina respira al ritmo delle stagioni
Più in basso scorre il fiume Inn, tutto intorno ci sono boschi fitti di abeti, larici e cembri, e il paesaggio incantato dell’Alta Engadina. Quello che la ristrutturazione globale di uno chalet anni ’70 a Samedan ha portato dentro casa, attraverso alcune grandi vetrate “effetto cartolina”. «Non hanno il sapore tipico della montagna, non sono in linea con lo stile locale, ma volevo che in questo progetto si riuscisse a sentire la natura anche dentro», spiega l’architetta Francesca Neri Antonello, che firma interni ed esterni. «Le vetrate ormai sono dappertutto, al mare come in montagna. Io le considero, così come sono state inserite qui, tra le finestre piccole e quadrate engadinesi, una specie di tocco di “moderna volgarità” necessario, ma ben gestito», dice con ironia.
Tutto il resto, invece, risponde a un altro bisogno, ovvero raccontare la memoria. Una memoria universale, atavica, generalizzata, attraverso l’uso programmatico di materiali di recupero. «La casa originaria è stata rasa al suolo e riedificata, ma quella nuova ha acquisito il peso di un’eredità architettonica e artigianale tanto da sembrare antica», dice Neri Antonello. Due piani e mezzo (uno a livello del giardino, con tutti gli spazi comuni, uno sottostante con le camere dei figli e una piccola spa e un soppalco con lo studio del padrone di casa), per una metratura non gigantesca ma
«QUESTO PROGETTO RISPONDE ALLA NECESSITÀ DI RACCONTARE UNA MEMORIA UNIVERSALE, ATAVICA, GENERALIZZATA, ATTRAVERSO L’USO PROGRAMMATICO DI MATERIALI DI RECUPERO» francesca neri antonello
«IL LEGNO È ETERNO, VIVE, SI MUOVE, CAMBIA, E PORTA IN UNA CASA LA MEMORIA DI ALTRI VOLUMI» estremamente confortevole. «Nel mio progetto sono stati fondamentali l’utilizzo di mani e materiali locali e la piena fiducia dei committenti, che hanno capito che alcuni costi – che ad altri sarebbero sembrati eccessivi – sono stati necessari per dare veridicità e spessore alle scelte strutturali e di arredo». È così, per esempio, per la pietra di Luserna alla base del camino e che ricopre i pavimenti, irregolare perché recuperata dallo smantellamento di vecchi tetti piemontesi, ed è così per le gigantesche travi in legno del sottotetto nello studio, capriate raccordate da una putrella centrale in ferro, ma anche per il lampadario a sospensione sul tavolo da pranzo, fatto da artigiani locali assemblando pezzi di recupero.
«Nel mio mestiere si parla tanto di sostenibilità, ma poi, all’atto pratico, è sempre più facile e spesso più conveniente fare ricorso al nuovo. Io invece vado alla ricerca di materiali che hanno già avuto una storia, per poterla trasferire in una nuova realtà come questa. Il legno è eterno, vive, si muove, cambia, e porta in una casa la memoria di altri volumi. Certo, convincere un proprietario
a spendere anche il 30% in più non è facile. Bisogna parlare lo stesso linguaggio», continua l’architetta.
In questo caso è andata bene: il legno di pavimenti, boiserie, travi e alcuni mobili su disegno di Francesca Neri Antonello
i coffee table del soggiorno, ricavati da vecchie travi è stato reperito (così come la pietra di Luserna) in magazzini specializzati nello stoccaggio di materiali di recupero perché il progetto è stato capito e appoggiato dai committenti, talmente felici del risultato che hanno deciso di trascorrere qui, in famiglia, tutto il periodo del lockdown.
«Ho inserito anche materiali contemporanei, crudi, industriali, come il cemento armato dei soffitti, tirato a lucido come uno specchio. O il ferro, che ritorna un po’ ovunque, smentendo l’idea comune che comunichi freddezza: è un metallo resistente ed estremamente adattabile, a seconda dello spessore. Per dire: l’ho usato anche come rivestimento dei pensili della cucina, una sorta di impiallacciatura metallica e leggerissima che li trasforma in forme geometriche pure, in contrasto con l’immaginario tradizionale evocato dal grande lampadario di corna di cervo realizzato ad hoc».
In ferro è anche la balaustra della scala in legno di larice che collega tutti i piani, un elemento scultoreo che è un po’ la firma dell’architetta. Ai suoi piedi una console che è l’interpretazione e la sintesi delle idee che ha portato in questo progetto: un grande cerchio di ottone brunito dall’aspetto elegantemente industriale è racchiuso tra una base e un piano in legno di abete. Ovviamente di recupero.