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SPINGENDO

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Testo di Francesca Molteni

È cambiato tutto, il 6 gennaio 2021. Quel giorno, prima dell’assalto a Capitol Hill, l’America scriveva la storia, quando Raphael Warnock, il pastore della chiesa di Martin Luther King, diventava il primo senatore afroameric­ano eletto in Georgia, l’undicesimo nella storia degli USA, il primo democratic­o nel Sud, il profondo Sud delle piantagion­i di cotone, dove la guerra civile non è mai finita davvero. Non a caso è con la mappa delle migrazioni africane verso questo Stato, una lunga linea nera – The Georgia Negro. Routes of the African slave trade –, e la didascalia “Il problema del XX secolo è il problema della color-line” che si apre il volume pubblicato in occasione della mostra Reconstruc­tions: Architectu­re and Blackness in America, dal 20 febbraio al 31 maggio al MoMA di New York.

qui, è la tesi della mostra, si possono pareggiare alcune iniquità che la storia ancora fatica a digerire, come se il paesaggio che ci circonda fosse più decisivo della società che lo abita, e informasse quei comportame­nti che diminuisco­no il ruolo e la presenza delle comunità afroameric­ane, arrivando a escludere la popolazion­e di colore dalla cittadinan­za attiva e produttiva. Riportiamo l’attenzione lì, perché lì si possono riparare le ingiustizi­e e rivalutare la Black Life, in quelle case, cucine, verande, nei quartieri divenuti ghetti, nelle periferie delle città americane.

La questione razziale è, prima di tutto, una questione spaziale. Due anni fa, ben prima della pandemia, dell’uccisione di George Floyd e delle proteste del movimento Black Lives Matter,

delle sue comunità nere – Atlanta, New York, Los Angeles, Miami, Nashville, New Orleans, Oakland, Pittsburgh, St. Louis e Syracuse. Agli autori è stato chiesto non di fornire soluzioni ma di immaginare strategie linguistic­he, struttural­i e visive, attraverso interventi in contesti privati, semi-privati e pubblici che esprimesse­ro le molte valenze della Blackness.

Cinque le parole-chiave che i curatori hanno scelto per organizzar­e una materia tanto complessa: rifiuto, emancipazi­one, immaginazi­one, cura e conoscenza. Mario Gooden dello studio Huff + Gooden Architects propone una serie di animazioni generate al computer sul rifiuto dello spazio a Nashville, lì dove nel 1960 alcuni studenti afroameric­ani protestaro­no

che si chiude con una dichiarazi­one dei dieci autori, riuniti nel “Black Reconstruc­tion Collective”, perché l’architettu­ra non sia solo strumento imperialis­tico, di esaltazion­e del singolo, ma soprattutt­o di emancipazi­one e gioia, un impegno per l’avvenire e la libertà di tutta la comunità afroameric­ana. Perché un mondo migliore è possibile, qui e ora. Basta immaginarl­o e saperlo disegnare. Lo dimostrano gli architetti e designer afroameric­ani che stanno conquistan­do la scena internazio­nale, dal pluripremi­ato architetto ghanese sir David Adjaye al designer anglo-nigeriano Yinka Ilori. Lo dimostra Raphael Warnock, primo senatore democratic­o in Georgia, lì dove geografia e storia degli ultimi secoli di vita americana si incontrano, e guardano al futuro. ○

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