DI MOBILI PARLIAMO DOPO
Nella loro conversazione, partita trent’anni fa attorno a un polimero, Claudio Luti e Philippe Starck seguono una regola
Claudio Luti e Philippe Starck
Soltanto una volta è stato concesso a un estraneo di intromettersi nel loro laboratorio estetico e dialettico: «L’attore che abbiamo ammesso al tavolo si chiama intelligenza artificiale», dice il presidente di Kartell, Claudio Luti. Che accompagnando quel loro consolidato sfidarsi a vicenda ha accolto l’idea di Philippe Starck di realizzare A.I., una seduta voluta dall’uomo ma interamente ingegnerizzata dal computer: «Il software ci ha restituito le matematiche necessarie e su quelle abbiamo costruito lo stampo. Ottenendo subito, senza alcun ritocco, un prototipo in tecnopolimero riciclato che rispondesse alle esigenze di funzionalità, resistenza e conformità. Un esperimento riuscito grazie al nostro dialogo. E alla fiducia che abbiamo costruito».
In trent’anni anni di sodalizio plastico e trasparente, di riunioni ostinate sull’asse Noviglio-Londra-Parigi-Cascais rinfrancate da qualche raro gin tonic e dagli stuzzichini giapponesi che Starck adora, il loro scambio è sempre stato così. Portare una visione e valutarne la traducibilità industriale. Rendere accessibile il design ma allo stesso tempo ridurre all’essenziale l’utilizzo dei materiali.
Quell’ecologia delle risorse che Philippe Starck, rispondendo dalla sua residenza portoghese vicina all’acqua, come del resto ogni sua dimora, definisce «une vraie obsession». È accaduto lo stesso con Smart Wood, la collezione presentata all’ultimo Salone del Mobile che si arricchisce ora di nuovi componenti (in queste pagine
«ANDAI DA PHILIPPE CON QUESTO MATERIALE TRASPARENTE, UTILIZZATO DALLA POLIZIA PER GLI SCUDI ANTISOMMOSSA. LUI RISPOSE: “HO CAPITO, MI PIACE, FACCIAMOCI UNA SEDIA. MA UNA SEDIA NON DISEGNATA”» claudio luti
presentiamo un pezzo in anteprima) tra cui Adam Wood, prima libreria firmata Kartell: «La sognavo leggera, dalla forma quasi di aracnide, basata sull’intelligenza strutturale calcolata al computer. Un approdo elegante della mia fissazione per l’utilizzo minimo di materiale ed energia». Continua l’architetto e designer francese: «Sono un uomo legato alla natura, e pur ritenendo le eco-plastiche il materiale del futuro avevo voglia di cimentarmi col legno. Ma l’idea di abbattere alberi mi disgustava. Tanto che vedere ancora certi mobili in massello mi pare scandaloso».
Per quarant’anni, dice, ha spinto i produttori a creare pannelli sempre più sottili, in grado di raggiungere le curvature naturali che il compensato, in linea teorica perfetto allo scopo, non può toccare. Prima è arrivato un cilindro. Poi una sfera. E infine, grazie al 3D, mobili sculturali con le medesime chance di plasmabilità garantita dalla plastica. «Non dobbiamo essere pessimisti, ma i tempi in cui viviamo sono travagliati e un po’ inquietanti», ammette Starck. «La scienza e la tecnologia possono trasformarsi in un attimo da benefattrici a malfattrici, e noi non ci fidiamo più. Nasce quindi il desiderio di un ritorno alla natura che percepisco anch’io, con la voglia che ho ultimamente di circondarmi di legno. Smart Wood risponde a questo bisogno di trovarsi circondati da presenze rassicuranti».
A sentir loro, pare che il ragionamento sul “cosa” arrivi sempre dopo la domanda sul “perché”. E l’immateriale, parola che per Starck incarna un’altra obsession, sempre prima del materiale. Fin dal loro primo incontro alla fine degli anni Ottanta, che Luti non può scordare perché volare a Parigi per incontrarlo, dopo gli anni alla guida del gruppo Versace, fu il suo primo viaggio da presidente designato di Kartell. E anche Starck rammenta perché quel giorno, dice nel suo francese estatico fino a sfiorare il misticismo, gli apparve «l’angelo salvatore». Ricorda Luti: «Mi avevano presentato De Lucchi e conoscevo Thun, ma non avevo gran dimestichezza coi designer», racconta, «capivo di numeri, quello sì, e sapevo di volerci mettere la faccia in prima persona per comprendere i processi della nuova avventura. Lui fu il mio battesimo del fuoco: quel giorno, nella dimora fuori città dove viveva con la prima moglie, ponemmo le basi per la sedia Dr. Glob». Riprende Starck: «Ho capito subito che condividevamo lo stesso vocabolario. Insieme, parliamo la lingua dei simboli e dei sentimenti. Di mobili, soltanto dopo». Come uno stilista, racconta l’architetto, «Claudio non ha mai mancato un incontro o la prova generale di una collezione. Sempre lì a confermare o negare, millimetro per millimetro e colore per colore. Ogni qualvolta gli presento un nuovo progetto mi sento come se gli portassi il regalo di Natale. E capisco se gli piace o no dal sorriso che gli si apre in viso e da una parola che dice alla fine della presentazione: SUCCESSO».
Philippe Starck capisce l’italiano perfettamente. Nonostante in molti, spiazzati dalla sua ironia sorniona, conservino in merito ancora dei dubbi. Ma soprattutto comprende e accompagna quello scambiarsi di posto continuo delle loro teste, uno sfidarsi a tris per vedere di