Così ci ha cambiato la pandemia
È diventata la mimesi di svariati altrove, un incastro, una sintesi di luoghi: la palestra e il ristorante, la scuola e l’ufficio, il cinema e il parco o qualcosa che, tra tentativi di verde ed esperimenti floreali, almeno vagamente ci assomigli. La casa ha portato il fuori dentro, smontato i suoi connotati, affastellato nuovi spazi in quelli di sempre. Riflette la metamorfosi dei suoi abitanti: non è più la stessa. «È una convivenza di esigenze: studio, lavoro, divertimento. Oscilla tra una dimensione privata e una pubblica, tra bisogni d’intimità e spalancamenti, anche digitali, verso la collettività», ragiona il sociologo Vanni Codeluppi, autore del saggio Come la pandemia ci ha cambiato (Carocci editore).
Si va affermando un’etica domestica che si espande, necessariamente, nell’estetica: «La ricerca del bello è un valore onnipresente nel mondo che ci circonda. Prima a volte trascurato, lasciato in secondo piano negli ambienti di casa, adesso cruciale perché è al loro interno che si consuma la maggior parte della giornata». Quando l’orizzonte si restringe, ha senso migliorarlo: rendere più confortevole la propria «comfort bubble» per evitare che, dilatandone il presidio temporale, chiusi in quella bolla si finisca per esplodere.
La casa dondola tra esilio e nido, rifugio e prigione, nascondiglio e palcoscenico. «È il luogo principe delle relazioni: un principio, questo, sancito per decreto ministeriale». Lo sarà a lungo, anche dopo la liberazione dal coprifuoco, l’addio senza nostalgia all’ultima zona a colori. Della casa abbiamo il reale potenziale: nel diventare quello che non era mai stata, suggerisce quanto ancora potrà essere.