ZONA ROSSA
Ariete, piemontese, classe 1946. Oberto Gili pensa che basti questo a raccontare la sua visione della vita. «Ho avuto un’infanzia bellissima nella provincia italiana del dopoguerra», racconta. «A scuola mi divertivo ma non sono mai stato il primo della classe. Finalmente all’università ho definitivamente capito che la strada che si prevedeva avrei percorso non sarebbe stata quella che mi avrebbe reso felice. Torino era una città estremamente noiosa. La noia e una folgorazione guardando Blow up di Antonioni mi hanno spinto a partire per Londra, la città dove la fotografia era una fonte di reddito, non solo un hobby, ed essere un fotografo era un vero mestiere. Nel primo anno, in cui ho lavorato come assistente per Michael Joseph, ammetto di essere stato maggiormente apprezzato per i miei cappuccini che per i miei scatti».
«Quando rientrai in Italia», continua, «avevo 23 anni e nessuna idea di cosa fare del mio futuro. Mi proposero di viaggiare tra le principali città del mondo per fotografare le case più stravaganti da raccogliere in un libro. Il salario era nullo ma le spese erano coperte, quindi accettai. Il libro uscì alcuni anni dopo (Underground interiors; decorating for alternate life styles, 1972, Ed. Quadrangle Books/New York Times). Lo scatto che ho scelto di raccontarvi fa parte di questa raccolta di abitazioni incredibili, anche se per qualche motivo non venne incluso nella rosa di interni scelti per la pubblicazione».
Ma allora perché lo ritiene così speciale? «Se sei cresciuto tra Bra e Torino in un ambiente borghese che si nutriva di apparenza, fotografare la casa dell’artista Duggie Fields a Londra è qualcosa che ti segna per sempre. Non c’era un vero salotto, non c’era uno studio o una divisione degli spazi nel senso convenzionale, ma c’erano invece centinaia di oggetti appoggiati o appesi ovunque e la luce era davvero rossa. Viverci mi parve una follia ma ha reso quel servizio indimenticabile! Una casa è come una storia d’amore, se sei innamorato è stupendo, altrimenti può essere un incubo».