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SONO NATA IN CUCINA

- Di Donatella Di Pietranton­io

Sono nata in cucina, nel mezzo di un inverno gelato. La camera dei miei era esposta a nord, la finestra tutta uno spiffero. Prima di scendere in paese a chiamare la levatrice mio padre aveva spostato il tavolo da una parte e spinto il letto davanti al fuoco, unica fonte di calore nella casa colonica. Nonne e zie alimentava­no la fiamma sotto il paiolo di rame in cui bolliva l’acqua, nello stesso avrebbero poi preparato il brodo di gallina per la puerpera.

Dopo mia madre mi allattava seduta in quel grande camino abitabile, della neve intorno alla casa e del mondo io non sospettavo niente. Avevo il mio latte e stavo al caldo.

Abbiamo dormito lì fino al disgelo, i miei genitori non sapevano di essere così moderni nel destruttur­are la cucina per necessità. Sono cresciuta in quella stanza che era il luogo e il centro della nostra vita, dove veniva preparato e consumato il cibo di produzione propria. La mia famiglia era autarchica. Sulla spianatoia di legno giocavo a impastare farina e acqua, senza mai sprecarle. Certe sere mia madre leggeva il libro Cuore anche per i vicini, alla luce fioca del lume ad acetilene appeso alla pietra del camino. Nel nostro povero salotto letterario accompagna­vamo Marco nel viaggio verso le Ande, piangevamo sulle sedie impagliate disposte a cerchio dando la colpa al fumo che non c’era.

Mia madre ha preteso gli elettrodom­estici. Prima la cucina Rex che secondo mio nonno non era mai abbastanza lontana dal focolare e veniva spostata di continuo: la bombola del gas gli evocava le bombe della guerra che nemmeno aveva combattuto. E poi era contrario a quelle diavolerie moderne. Però è stato ben contento di bere l’acqua gelata quando è arrivato il frigorifer­o subito dopo la corrente elettrica. L’Indesit bianco stava lì, quasi un totem sul vecchio pavimento di mattoni dalla bellezza involontar­ia, in un ambiente privo di qualsiasi idea di arredament­o che non fosse una somma di funzioni necessarie e sufficient­i. Le donne si liberavano di gesti arcaici come accendere il fuoco a ogni cottura, salare le carni per assicurarn­e la conservazi­one. Lavare i piatti, quello no, è continuato a lungo, sarebbe stata troppa l’emancipazi­one. Molti anni dopo ho regalato io la lavastovig­lie a mia madre, ma stava già in un’altra casa e io non abitavo più con loro.

La cucina che ho voluto alla fine degli anni ’80 era il perfetto tradimento delle mie origini contadine, una rivoluzion­e. Penisola con top in granito nero, luci fredde sui piani di lavoro dalle linee essenziali, nessuna separazion­e con il living arredato da un divano minimalist­a e la chaise-longue LC4. A pranzo apparecchi­avo con tovagliett­e americane un terzo del tavolo Corbu, attenta a non graffiare il vetro. Quando i miei genitori sono venuti a cena hanno chiesto dove fosse la cucina: non l’avevano riconosciu­ta, e nemmeno il cibo, per la verità. L’arrosto di maiale alle prugne cotto nel forno ad alta tecnologia non ha convinto mio padre, ne ha mangiato solo i bordi, tenendosi lontano dalla frutta centrale. E il pecorino servito con il miele sui piatti blu, poi, non ne parliamo. A disagio sulle sedute di design mi guardavano sconcertat­i.

Ho resistito solo qualche anno in quell’appartamen­to che avevo voluto pezzo per pezzo senza sentirlo veramente mio. Ho comprato una casa nel centro storico del mio paese, l’ho ristruttur­ata conservand­one l’anima. In cucina ho recuperato gli stipi in legno che stavano lì dal ’700, il tavolo con la pietra in marmo di Carrara dalle belle venature, le nicchie e le travi nascoste sotto l’intonaco. Un artigiano locale ha aggiunto ciò che mancava seguendo con i suoi manufatti i muri un po’ storti. Vent’anni dopo è ancora questa la mia cucina, dove sento a volte le presenze invisibili delle donne che l’hanno usata molto prima di me, il fruscio dei loro lunghi abiti.

Donatella Di Pietranton­io, scrittrice e dentista, ha esordito con Mia madre è un fiume (Elliot). Con L’Arminuta (Einaudi) ha vinto il premio Campiello 2017. Borgo Sud (Einaudi, 2020) è in lizza per il premio Strega 2021.

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