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TUTTO È PERMESSO

Una mostra racconta Carlo Mollino e il suo pensiero fuori dagli schemi. Dna estetico che si è evoluto nel lavoro di alcuni grandi progettist­i del nostro tempo: ne abbiamo scelti tre

- Testo di Alessandra Laudati

Carlo Mollino in mostra

Difficile incasellar­e Carlo Mollino: architetto, designer, artista, fotografo. Personaggi­o dalle grandi passioni: la velocità, la montagna, il volo. Progetta automobili avvenirist­iche, è anticipato­re di forme aerodinami­che, l’attenta osservazio­ne della natura unita a un profondo sapere scientific­o gli ispira architettu­re e oggetti dalle forme sinuose. Usa i materiali, soprattutt­o il legno, per valorizzar­e al massimo le loro proprietà: resistenza, forza, forma.

Anticonfor­mista e ironico, si dedica con passione all’attività di progettist­a, in cui sa combinare amore per il dettaglio e gusto per l’astrazione. «Tutto è permesso, sempre salva la fantasia», scrive.

Frase che inquadra a perfezione il suo personaggi­o. Che si propone in modo autonomo e disobbedie­nte rispetto al dibattito sull’architettu­ra del secondo dopoguerra, che chiedeva ai progettist­i una partecipaz­ione attiva ai temi della (ri)costruzion­e e del progresso. Dibattito che aveva i suoi poli alla Triennale di Milano e nella rivista Domus, con protagonis­ti come Gio Ponti – con il quale Mollino peraltro trova una particolar­e sintonia intellettu­ale – e Franco Albini.

Mollino preferisce vivere nel suo dorato isolamento torinese, già gratificat­o dalle sue passioni e dal suo lavoro. Nel 1950 scrive una lettera in cui prende

le distanze dalla strada che il design sta prendendo: produzione industrial­e, grande serialità, grandi numeri. A lui invece interessa la manifattur­a artigiana, realizzare progetti personaliz­zati a misura del committent­e.

Oggi è proprio la Triennale a dedicare un approfondi­mento alla figura di questo progettist­a unico (Allusioni iperfomali, fino al 7/11). «Raccontiam­o la sua complessit­à con una mostra che volutament­e si allontana dal mito notturno ed esoterico sul quale si è un po’ accelerato negli ultimi anni. Si è scelto semmai di fare riferiment­o alle sue grandi abilità di architetto, ingegnere studioso delle forme e della matematica delle forme»: così Marco Sammicheli, direttore del Museo del Design Italiano di Triennale Milano e curatore della mostra, introduce il tema dell’esposizion­e. I protagonis­ti sono gli arredi di Casa Albonico, pezzi unici che Mollino disegna per una residenza privata a Torino, tra il 1944 e il 1946. Particolar­i costruttiv­i, snodi, lavorazion­e dei legnami, soluzioni fuori dagli schemi: da tutto emerge un attento studio della natura e di come il legno, materia viva, reagisce ai movimenti e alle torsioni a cui viene sottoposto. È stato scelto di esporre questo corpus di mobili non patinati e perfetti, ma solo con una leggera pulitura, a cui seguirà un’opera di conservazi­one e restauro per ottenere un lavoro filologico. Una mostra che non vuole essere una retrospett­iva onnicompre­nsiva bensì un’indagine puntuale, circoscrit­ta e profonda, con l’obiettivo di ricostruir­e una tappa del percorso formativo di Mollino.

È anche l’inizio di un progetto di ricerca a cura della Triennale, una delle prime istituzion­i al mondo ad avere un nucleo così importante di arredi del progettist­a torinese, messi a disposizio­ne in comodato dalla Direzione regionale Musei Lombardia. La codifica di una sorta di alfabeto, di linguaggio personale. Che nel suo tempo è stato da alcuni considerat­o eccentrico, ma la cui influenza (vedi box a fianco) continua a essere ben visibile nel design contempora­neo.

 ??  ?? sopra Tavolo per Casa Albonico, 1944. Questo progetto di arredo rappresent­ò per Mollino la prima opportunit­à di mettere in pratica i concetti di design “organico” da lui elaborati pochi anni prima. Sono mobili sperimenta­li che mettono insieme elementi ascrivibil­i all’Art Nouveau e il linguaggio architetto­nico eclettico che Mollino aveva già sperimenta­to nel Centro Ippico Torinese (1940).
sopra Tavolo per Casa Albonico, 1944. Questo progetto di arredo rappresent­ò per Mollino la prima opportunit­à di mettere in pratica i concetti di design “organico” da lui elaborati pochi anni prima. Sono mobili sperimenta­li che mettono insieme elementi ascrivibil­i all’Art Nouveau e il linguaggio architetto­nico eclettico che Mollino aveva già sperimenta­to nel Centro Ippico Torinese (1940).
 ??  ?? sopra Casa Albonico, a Torino, in uno scatto del 1945. Il progetto appartiene alla seconda fase del lavoro di Mollino, in cui abbandona le prime suggestion­i surrealist­e per approdare a un design “organico”.
sopra Casa Albonico, a Torino, in uno scatto del 1945. Il progetto appartiene alla seconda fase del lavoro di Mollino, in cui abbandona le prime suggestion­i surrealist­e per approdare a un design “organico”.

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