TUTTO È PERMESSO
Una mostra racconta Carlo Mollino e il suo pensiero fuori dagli schemi. Dna estetico che si è evoluto nel lavoro di alcuni grandi progettisti del nostro tempo: ne abbiamo scelti tre
Carlo Mollino in mostra
Difficile incasellare Carlo Mollino: architetto, designer, artista, fotografo. Personaggio dalle grandi passioni: la velocità, la montagna, il volo. Progetta automobili avveniristiche, è anticipatore di forme aerodinamiche, l’attenta osservazione della natura unita a un profondo sapere scientifico gli ispira architetture e oggetti dalle forme sinuose. Usa i materiali, soprattutto il legno, per valorizzare al massimo le loro proprietà: resistenza, forza, forma.
Anticonformista e ironico, si dedica con passione all’attività di progettista, in cui sa combinare amore per il dettaglio e gusto per l’astrazione. «Tutto è permesso, sempre salva la fantasia», scrive.
Frase che inquadra a perfezione il suo personaggio. Che si propone in modo autonomo e disobbediente rispetto al dibattito sull’architettura del secondo dopoguerra, che chiedeva ai progettisti una partecipazione attiva ai temi della (ri)costruzione e del progresso. Dibattito che aveva i suoi poli alla Triennale di Milano e nella rivista Domus, con protagonisti come Gio Ponti – con il quale Mollino peraltro trova una particolare sintonia intellettuale – e Franco Albini.
Mollino preferisce vivere nel suo dorato isolamento torinese, già gratificato dalle sue passioni e dal suo lavoro. Nel 1950 scrive una lettera in cui prende
le distanze dalla strada che il design sta prendendo: produzione industriale, grande serialità, grandi numeri. A lui invece interessa la manifattura artigiana, realizzare progetti personalizzati a misura del committente.
Oggi è proprio la Triennale a dedicare un approfondimento alla figura di questo progettista unico (Allusioni iperfomali, fino al 7/11). «Raccontiamo la sua complessità con una mostra che volutamente si allontana dal mito notturno ed esoterico sul quale si è un po’ accelerato negli ultimi anni. Si è scelto semmai di fare riferimento alle sue grandi abilità di architetto, ingegnere studioso delle forme e della matematica delle forme»: così Marco Sammicheli, direttore del Museo del Design Italiano di Triennale Milano e curatore della mostra, introduce il tema dell’esposizione. I protagonisti sono gli arredi di Casa Albonico, pezzi unici che Mollino disegna per una residenza privata a Torino, tra il 1944 e il 1946. Particolari costruttivi, snodi, lavorazione dei legnami, soluzioni fuori dagli schemi: da tutto emerge un attento studio della natura e di come il legno, materia viva, reagisce ai movimenti e alle torsioni a cui viene sottoposto. È stato scelto di esporre questo corpus di mobili non patinati e perfetti, ma solo con una leggera pulitura, a cui seguirà un’opera di conservazione e restauro per ottenere un lavoro filologico. Una mostra che non vuole essere una retrospettiva onnicomprensiva bensì un’indagine puntuale, circoscritta e profonda, con l’obiettivo di ricostruire una tappa del percorso formativo di Mollino.
È anche l’inizio di un progetto di ricerca a cura della Triennale, una delle prime istituzioni al mondo ad avere un nucleo così importante di arredi del progettista torinese, messi a disposizione in comodato dalla Direzione regionale Musei Lombardia. La codifica di una sorta di alfabeto, di linguaggio personale. Che nel suo tempo è stato da alcuni considerato eccentrico, ma la cui influenza (vedi box a fianco) continua a essere ben visibile nel design contemporaneo.