L’ISPETTRICE
Due sono le stanze del mio cuore: bagno e cucina. Da piccola avrei potuto fare a meno di soggiorno e stanza da letto, di ripostigli e guardaroba, ma mai di queste due. La cucina ha poi in qualche modo plasmato la mia esistenza, il bagno avrebbe potuto farlo. Già perché sin da bambina alla inevitabile domanda: «Cosa vuoi fare da grande?», io rispondevo sicura: «La cuoca o l’ispettrice dei bagni». Mia madre non si capacitava: «Cosa vuol dire l’ispettrice dei bagni? Che lavoro è? Vuoi controllare le tazze del gabinetto?!». No, non era questo, io pensavo che controllando i bagni avrei scoperto la vita segreta di chi li frequentava ed essendo una bambina assai curiosa l’idea mi affascinava.
Fatto sta che da sempre, pur non avendone fatto una professione, io controllo i bagni, ovunque, che si tratti di case private, di alberghi, treni, ristoranti, stazioni, uffici pubblici. Non mi limito ad osservare, apro cassetti, annuso profumi, controllo armadietti, creme, medicine. Ma come prima cosa controllo la vasca da bagno. Che è obbligatorio che ci sia, sono pronta infatti a rompere amicizie se ne scopro la mancanza. Per me il mondo si divide in due: chi ama la vasca e chi la doccia. Sono una sfegatata sostenitrice della prima, tranne che in piena estate. Per me la vasca è sinonimo di famiglia, quando i miei figli erano piccoli non ci si riuniva nel lettone ma nella vasca da bagno, e il bagno insieme era un rituale sacro, il momento in cui raccontavamo storie, avventure, i piccoli e grandi problemi della vita quotidiana. In vasca si prendevano decisioni importanti, si litigava e si faceva pace. E la passione per bagni e vasche l’hanno ereditata anche i miei figli che adesso si immergono con i miei nipoti. Ancora ricordiamo con affetto la vasca di un albergo a Las Vegas, durante un memorabile viaggio con i miei figli bambini: un’enorme, lussuosa e pacchianissima vasca ovale in finto marmo, con tanto di idromassaggio e specchi sul soffitto che ne riflettevano l’immagine. Il suo richiamo era irresistibile e ci immergemmo tutti con gioia. Non essendo però ancora pratici di idromassaggi (erano i primi anni ’80), versammo in acqua tutte le boccette di bagno schiuma in dotazione dell’albergo e la stanza si trasformò presto in un soffice, bianco tappeto profumato. Noi eravamo entusiasti, i proprietari dell’albergo molto meno e così fummo cacciati dal nostro privato paradiso terrestre, una ferita ancora non rimarginata.
A confortarmi nella mia predilezione per le vasche a scapito delle docce ci si è messo poi anche il cinema. Che mi ha spiegato che chi fa la doccia va di fretta, non si gode la vita, non si prende una pausa, e la cosa ha trovato conferma anche nella vita reale: negli Stati Uniti dove ho vissuto a lungo i bagni hanno quasi tutti la doccia, raramente la vasca, tranne i ricchi e famosi e sono certa più per status symbol che per reale necessità. Gli americani non hanno tempo per oziare tra schiume e saponi. Nella doccia poi avvengono fatti incresciosi, credo non sia un caso che uno dei film che mi hanno più segnata sia stato Psycho e la terribile scena dell’accoltellamento intravisto attraverso la tendina della doccia. Al contrario nella vasca si sguazza, si canta, si gioca, si dorme addirittura (a me è capitato più volte), si ascolta musica. E tante sono le immagini di gente famosa felice in bagno, John e Yoko, Marilyn meravigliosa che sorride tra la schiuma, Picasso che allegro si insapona, Charlot che tutto vestito dorme tranquillo nell’acqua. E quella più famosa di tutte, Julia Roberts in Pretty Woman che gorgheggia ridendo nella gigantesca vasca idromassaggio del Beverly Wilshire Hotel.
La stanza da bagno dunque è un piccolo universo a parte che merita di essere studiato, vissuto, capito e amato. E chissà che io non abbia ancora tempo per dedicarmi a una vocazione troppo a lungo repressa diventando la prima ispettrice di bagni della Repubblica Italiana.