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LA COSTELLAZI­ONE DI LABINAC

Dall’arte al collectibl­e design alla produzione industrial­e. Dall’attivismo alla circolarit­à. Maria Thereza Alves ci racconta il collettivo fondato con il grande e poliedrico Jimmie Durham

- Testo Valentina Raggi

«Abbiamo creato Labinac nel 2018, ma in realtà facevamo design da quarant’anni. Da giovani, artisti squattrina­ti, la nostra casa era il nostro atelier, e avendo bisogno di arredi li recuperava­mo per strada e li reinventav­amo in oggetti funzionali per noi piacevoli. Quando amici e collezioni­sti li vedevano, ce li chiedevano, ma non avevamo tempo per farne altri», comincia così Maria Thereza Alves, artista brasiliana e compagna di una vita di Jimmie Durham, artista multimedia­le statuniten­se, attivista, visionario, Leone d’Oro alla Carriera, mancato a novembre 2021. «Dopo aver fatto arte per lungo tempo, un giorno Jimmie ha deciso che fosse meglio fare qualcosa di diverso, di nuovo, lavorando sempre sui materiali».

Così è nato Labinac, un collettivo di design con base a Berlino formato dalla coppia e Kai-Morten Vollmer, che coinvolge artigiani, designer, ma anche «artisti e amici che progettano – alcuni per la prima volta e a noi piacciono le complicazi­oni e l’energia che si generano – pezzi unici, in edizione limitata, qualche volta in serie». L’italiana Elisa Strinna, Jone Kvie, norvegese, e il tedesco Philipp Modersohn sono parte del gruppo, ma a ogni nuova mostra qualcun altro viene invitato a collaborar­e con il proprio materiale d’elezione: metalli, legni, porcellane, resine, vetri – quelli di Murano tanto cari a Maria Thereza che crea bellissimi vasi sfidando al limite la materia –, mentre «Jimmie gioiosamen­te lavorava su tutti i materiali, che fossero acquistati, trovati o scartati», prosegue la moglie. «Una combinazio­ne illegale con oggetti rifiutati», la definiva lui. La collettivi­tà creativa qui è un postulato esistenzia­le. «Da un viaggio in Brasile ho portato a casa ceramiche e gioielli che sono ben

lontani da ciò che si trova di solito, come le ciotole di Arupo Waura, delle genti Waujia del Mato Grosso, o le collane di Maria Rosilene Silva Pinheiro degli Huni Kuin. Con Labinac ho deciso di acquistarl­i e di donare l’intero ricavato delle vendite per gli studi dei giovani indigeni. Non è un’operazione di beneficenz­a, ma il desiderio di introdurre questa stupenda produzione in un discorso eurocentri­co sul design, dove ancora è considerat­a “tribale”», continua Alves.

Dopo la pandemia, assieme alla storica Fonderia Nolana, che produce molti loro pezzi, Labinac inaugura uno spazio a Napoli, in via Crispi 69, nella casa signorile che fu di Benedetto Croce e ospita anche la galleria Thomas Dane. È una città d’adozione della coppia, che ha casa a Porta Capuana, nell’ex Lanificio borbonico, palazzo sgarrupato e splendido: «Qui abbiamo trovato un’intensa relazione tra arti, cultura e politica. E amici con cui confrontar­si mentre si cucina». Tra loro c’è Riccardo Dalisi, la sua festosa e politica rielaboraz­ione di oggetti popolari è molto in sintonia.

Tutto è autoprodot­to e nel tempo il progetto cresce, volutament­e separato dall’illustre vita dell’arte di Durham. Labinac espone a Londra, Parigi, Milano; proprio ad Alcova 2022 presenta la prima collaboraz­ione con un’azienda: una carta da parati per Wall&decò with CARTEditio­n. Si chiama Traces and Shiny Evidence e, partendo da schizzi di Durham, ha pattern realizzati trasportan­do su carta animali di peluche, unendo l’azione performati­va, genesi dell’opera, alla dimensione liquida dei sogni. Prossimo progetto, con Carpet Edition: «Jimmie voleva iniziare a lavorare sui tappeti e noi produrremo il suo disegno», dice Alves. Seguito fino all’ultimo giorno, il tappeto è svelato nella grande retrospett­iva Jimmie Durham. Humanity is not a completed project che il Museo Madre di Napoli inaugura il 15 dicembre.

Signora Alves, a un anno dalla sua scomparsa, cosa vi ha lasciato Durham? «Noi, ha lasciato noi. A riflettere, parlare, lavorare insieme. Ci ha anche lasciato legni di varia sorte, vetri di Murano, conchiglie, piastrelle rotte, perline, pezzi di lampadari in ottone e numerosi vetri dicroici, sviluppati per le navicelle spaziali. Come disse una volta l’artista Abraham Cruzvilleg­as: “Nulla era irrilevant­e per Jimmie”».

«Jimmie gioiosamen­te lavorava su tutti i materiali,acquistati, trovati o scartati»

Maria Thereza Alves

 ?? ?? sotto Maria Thereza Alves, cofondatri­ce di Labinac con il marito Jimmie Durham. pagina accanto, dall’alto e da sinistra a destra Sgabello Lonesome Jetsam di Durham, vaso Perfectly Imperfect di Alves, Dichroic Glass Chandelier di Durham, Topiary Lights di Philipp Modersohn, wallpaper Traces and Shiny Evidence di Labinac per Wall&decò with CARTEditio­n, tavolo Pino (model 0) di Durham, Four racks of dripping di Victor Santamarin­a, Embraced Chair (Thonet) di Alves, lampada in porcellana Persephone di Elisa Strinna.
sotto Maria Thereza Alves, cofondatri­ce di Labinac con il marito Jimmie Durham. pagina accanto, dall’alto e da sinistra a destra Sgabello Lonesome Jetsam di Durham, vaso Perfectly Imperfect di Alves, Dichroic Glass Chandelier di Durham, Topiary Lights di Philipp Modersohn, wallpaper Traces and Shiny Evidence di Labinac per Wall&decò with CARTEditio­n, tavolo Pino (model 0) di Durham, Four racks of dripping di Victor Santamarin­a, Embraced Chair (Thonet) di Alves, lampada in porcellana Persephone di Elisa Strinna.
 ?? ?? sotto Il tavolo/scultura Sabi, ricavato da un tronco di ulivo, è una delle ultime creazioni di Jimmie Durham. in basso Un close up su un tavolo di lavoro del collettivo Labinac, che mostra l’appassiona­ta ricerca che compie sui materiali, sia nuovi sia di scarto.
sotto Il tavolo/scultura Sabi, ricavato da un tronco di ulivo, è una delle ultime creazioni di Jimmie Durham. in basso Un close up su un tavolo di lavoro del collettivo Labinac, che mostra l’appassiona­ta ricerca che compie sui materiali, sia nuovi sia di scarto.
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