JUST RIDE SARDE GNA
Una serata fresca di novembre, una di quelle lente, pigre, scure come la birra che stiamo bevendo io e il mio amico Franz al pub all’Oca qui vicino casa, a Riva del Garda. Chiacchiere sulla vita, cosa va e cosa non va.
Ci piace filosofeggiare e confrontarci, specialmente sullo sport. Spizzicando due tartine e due olive arriviamo a parlare di ciclismo. Racconto come era andata la stagione, quello che avrei fatto la successiva, i miei sogni e obiettivi per il futuro.
Alla fine sospiro, come di stanchezza. Franz mi chiede cosa avessi ed io, come non aspettassi altro, butto fuori tutto quello che mi gira per la testa da un po’. Confesso una certa stanchezza, racconto di come a volte vorrei di più e di come a volte vorrei fosse diverso. Adoro il ciclismo in tutto, nel bene e nel male, ma a volte provo una certa frustrazione nel vedere tutto così uguale e ripetitivo. Voglio di più, ricordo di aver detto a Franz. Bevo l’ultimo sorso della mia Kilkenny e mi viene un’idea. Appoggio il bicchiere al tavolo, ordino un terzo giro e dico: Voglio fare un viaggio in bici. Lui mi guarda e intuisco che ha già capito tutto. Just Ride era appena nato.
L’idea è uscita cosi, per evadere dalla routine, dalla noia ed è evoluta con la voglia di avventura, di scoprire un modo di vivere, di viaggiare e di allenarsi, senza programmare troppo la rotta, senza farsi troppi pensieri, senza numeri che indicano velocità, watt, TSS, VAM, senza nessuna sigla o teoria su come migliorare, dimagrire, senza orari di partenza o di arrivo, senza record da battere, senza niente. Solo andare.
Just Ride non vuole dire eliminare la gara o l’allenamento per sostituirlo con qualcos’altro, ma piuttosto connettere, o meglio, riconnettersi con una sensazione che credevo di aver messo da parte.
Il ciclismo di oggi è fatto di obblighi, di routine, di obbiettivi, di traguardi nudi e crudi da raggiungere, di watt, di record, di numeri, estremizzato verso una gestione scientifica che non lascia più niente al caso. Nulla viene più fatto senza fare calcoli, senza considerare le cifre dopo le virgole. La cosa buffa è che tutto questo io lo amo. Amo il mio sport, amo come sono arrivato fin qui, amo come mi spinge a fare e ad impegnarmi per ottenere. Amo la grinta che mi tira fuori la caparbietà e la dedizione che metto in strada, questo ciclismo mi ha insegnato l’educazione, il rispetto, la voglia di vivere. Mi ha dato amicizia, amore, famiglia, mi ha dato anche tanti pugni allo stomaco, certo, tante delusioni. Ma anche tante tante gioie. E non mi basta.
Just Ride è un viaggio alla scoperta di me stesso, è un’avventura che mi fa sentire vivo! Mi fa conoscere gente, mi fa esplorare posti meravigliosi, mi fa mangiare, bere, mi tiene in forma e mi rende felice! Felice!
Questa per me è la terza edizione e ho scelto la Sardegna. Il perché è molto semplice: voglio isolarmi, viaggiare lontano e un’isola calza a pennello con l’idea di isolamento. Ero stato in Sardegna qualche anno fa quando correvo con la Liquigas per i ritiri di dicembre, ma si sa, nei ritiri si pensa ad allenarsi e non a godersi il panorama. Si pedala spesso sulle solite strade comode e sicure, e via di chilometri su chilometri.
Questa volta la Sardegna sarebbe diventata per me terreno d’ avventura, esplorazione pura. Non sapevo cosa aspettarmi ed ero curioso come un bambino. Non avevo pianificato le tappe, solo qualche check point. Ero libero di andare e di fare quello che volevo.
TENETE A MENTE ITACA
Partiamo. Raggiungiamo Livorno e dopo una notte di navigazione sbarchiamo ad Olbia carichi come non mai. Ritrovo fissato al classico bar del porto per il primo briefing. Poi pronti, attenti e via.
«Bevo l'ultimo sorso della mia Kilkenny e mi viene un'idea. Appoggio il bicchiere al tavolo, ordino un terzo giro e dico: Voglio fare un viaggio in bici».
PRIMA TAPPA
Il faro di Capo Testa
È come essere dentro a un film, a una vacanza da sogno. Strade semideserte, spiagge solo per me. Ho il morale alle stelle e le gambe vanno da sole, non mi sembra nemmeno di essere in bici. Sono nel mio mondo, totalmente immerso nei paesaggi. Facciamo un piccolo pit-stop con birra Ichnusa, frittura mista di pesce e altre sfiziosità. Tre di tutto e via, si riparte: direzione Santa Teresa di Gallura. Su e giù, mare, colline leggere e arrivo a Capo Testa, appena dopo Santa Teresa.
A sinistra ho il mare illuminato d’oro con il sole pronto a tramontare, nuvole grigie e tanto vento. Non resisto: mi fermo subito dopo il ponte e cerco accesso alla spiaggia. Mi butto a mare, l’acqua è gelida, ma è così liberatorio. Faccio due bracciate ed esco. Uno tizio in spiaggia mi dice che a un chilometro c’è un faro molto figo da vedere. Parto.
A un certo punto trovo un parco, un cancello e continuo sul sentiero. C’è un faro vecchissimo su delle rocce lisce e levigate tanto da sembrare finte. Il tramonto davanti a me si alterna a nuvole cariche di pioggia. Il vento viene dal mare con una forza incredibile. Sono sconvolto dalla bellezza di quello che sto vedendo. La mia bici mi ha portato fin lì, la voglia di andare un po’ più in là e di fermarmi ogni tanto a curiosare mi sta dando quello che cercavo. Semplicemente pedalando».
SECONDA TAPPA
Scorta di Pecorino
«Parte con un’alba che nemmeno a Narnia o nella savana di Re Simba s’era mai vista. Mi sveglio e mi svesto subito da bici, conosco i miei polli.
Thilo, Alice e Franz sono pronti a catturare l’attimo nei loro apparecchi fotografici ed io sono già pronto ad andare. Mi aspetta una tappa lunghissima. Destinazione Bosa, a circa 190 chilometri. La sera prima avevo tracciato una rotta, ero gasatissimo. Volevo assolutamente vedere sia la costa nord, scendere nell’entroterra e poi sbucare a Bosa, nota cittadina portuale carina e coccolosa. L’obiettivo, prima di tutto, era di comprare e mangiare qualcosa di tipico sardo».
Dopo un breve riscaldamento per uscire da Santa Teresa, percorro la strada principale SP 90 che costeggia la costa nord. Se il giorno prima ho visto il classico paesaggio quasi stereotipato sardo, quel giorno la mia testa è totalmente confusa. Non so più dove mi trovo: sto percorrendo una strada in Sardegna con il mare alla mia destra ma mi sembra di essere in California!
A volte mi sembra di essere negli Stati Uniti e a volte in Australia. Mi fermo in alcune piazzole a sgranarmi gli occhi perché penso di aver bevuto troppa Ichnusa. Scogliere altissime a strapiombo su rocce di granito di ogni forma. Il mare le ha modellate con tutte quelle forme a punta, quasi da far paura. Una meraviglia. Da lontano si vedono onde alte qualche metro infrangersi su spiagge e massi».
In lontananza scorgo una casa. È in mezzo ad un campo e sembra abbandonata. Nemmeno una pecora, una persona, un’automobile, niente. Mi avvicino e leggo a caratteri cubitali formaggio. Bomba! Il piazzale davanti alla casa è spazioso, mi fermo ad una decina di metri dalla porta per vedere meglio. Esce un omone dallo sguardo cupo, con dei classici vestiti da pastore. Lo guardo e lui mi fa cenno di entrare, nel frattempo arrivano anche i ragazzi. La casa ospita un piccolo negozietto Formaggi sardi da Mario. Burbero Mario, ma estremamente cordiale e simpatico, amichevole. Ci racconta un po’ della sua storia e della sua vita, io gli racconto la mia. Facciamo scorta di formaggi e di pecorino da riportare a casa, saluto Mario e proseguo. Mario nei nostri cuori.
Dopo una valanga di chilometri arrivo a Bosa. Troviamo un b&b, ci riposiamo un po’, editiamo il materiale prodotto e io prenoto la cena. Quella è stata la sera della famosa fregola di mare: una goduria, e dormo come un sasso. Adoro quelle serate, fatte di risate, di confronto, di programmi, di obiettivi, di voglia di vivere, di voglia di fare. Fatte di emozioni, di post, di discussioni e di viaggi. Condividere tutto questo con un gruppo di amici così non ha prezzo e pensare che tutto questo lo vedono anche centinaia di persone su internet è ancora meglio!
TERZA TAPPA
Il video al contrario e spiagge Putzuidu e Guspini
La mattina della terza tappa mi sveglio prestissimo, tipo alle 6, ho voglia di una classica colazione all’italiana: cornetto e cappuccino. Sveglio Franz e andiamo insieme, facciamo due passi lungo il fiume e arriviamo al bar. Non pariamo molto, ci assaporiamo la brezza mattutina, l’alba e soprattutto il cornetto e cappuccino caldo del bar del paese. Dopo un paio di sorsi la caffeina fa il suo effetto e mi viene in mente un vecchio progetto che volevamo realizzare con Franz: un video reverse. Franz, ma facciamo o no quel video all’indietro? Immagina che figata in bici, spiaggia, sole, onde. Però io voglio camminare in avanti. Qui esplode un brain-storming di idee tale che subito andiamo in hotel a svegliare tutti e a buttare giù questa cosa. Oltre alla rotta abbiamo pianificato il video al rovescio, e non è stato facile. Andate a vederlo sul mio profilo e provate a rifarlo, se siete capaci!
Ad ogni modo quella tappa è stata un toccasana. Inizio collinare vista mare e poi montagna. Prima di iniziare a salire incontro due persone, un papà con sua figlia che pedalano. Mi riconoscono e cominciamo a chiacchierare: stupendi
«Era come essere dentro a un film: strade semideserte, spiagge solo per me. Avevo il morale altissimo e le gambe andavano da sole, non mi sembrava nemmeno di essere in bici».