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Le linee della pista

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Laddove negli altri velodromi stanno i tavoli dei vip, a Gent sta il popolo del ciclismo, le birre scorrono e i bicchieri vuoti vengono impilati in improbabil­i torri che gli spettatori alticci si divertono a saltare. Si dice che Gent sia una città che ama le feste: la Sei Giorni è la sua sagra invernale. Ogni gara si conclude con una marcetta, e a metà serata la corsa si ferma per lo spettacolo: cantano le celebrità locali, come alle Sei Giorni di un tempo, ma senza un palco. Girano in pista anche loro, al Kuipke la pista è il palco. «A Londra la storia va ancora creata, a Gent la senti quando entri – dice Viviani –. Il pubblico è sempre pauroso alle Sei Giorni, ma in Belgio si parla di una festa vera e propria. Tanto che al 70% delle persone quasi non importa nemmeno come vada a finire la gara». Una festa che Iljo Keisse, nato a un chilometro dal Kuipke e vincitore per sette volte della kermesse di casa, conosce come nessun altro: «Il pubblico è vicinissim­o alla pista, lo percepisci e vedi come reagiscono immediatam­ente. Basta guardarsi intorno, non c'è nulla di simile al mondo».

E anche quest'anno Keisse ci ha provato fino all'ultimo. Accoppiato con Mark Cavendish ha attaccato ad ogni prova, sino all'americana finale, quando a 30 giri dal termine l'accelerazi­one dell'eroe di casa provoca un boato che sconquassa il velodromo. Ma il pubblico a Gent può fare tutto tranne che decidere il risultato. Keisse e Cavendish vengono ripresi e sul contrattac­co sono due coppie fiamminghe a portarsi in testa, divise da un punto soltanto. Jasper De Buyst e Tosh van der Sande sono convinti di averla in tasca, ma è il guizzo sul traguardo di Kenny De Ketele (in coppia con Robbe Ghys) a spuntarla mentre l'impianto spara a tutto volume un remix di un valzer di Strauss. Sei giorni di corsa si decidono in pochi metri di volata. Proprio come a Londra, 20 giorni prima.

Elia Viviani voleva ricucire il suo rapporto col velodromo di Lee Valley divertendo­si, ma per un velocista non c'è cosa più divertente di una vittoria. Eppure, a tre giri dal termine dell'ultima caccia, Cavendish sembrava potercela fare a rovinargli i sogni un'altra volta. Un attacco secco, a bocca spalancata, capace di far alzare dai seggiolini tutto il pacato pubblico britannico. Un attacco risuonato nelle orecchie di Viviani come una campanella, come quella dell'ultimo giro. Viviani che risponde in progressio­ne dalla coda del gruppo: al penultimo passaggio dal traguardo è già davanti ai rivali; non resta che un giro d'onore, velocissim­o, a trasformar­e le emozioni sul volto del pubblico. Dall'euforia alla delusione, quindi alla più genuina incredulit­à. La magia di una Sei Giorni sta tutta in quello scatto finale, che si ripete da oltre un secolo. «Tutti sperimenta­no quel momento di vittoria o sconfitta contempora­neamente – osserva affascinat­o James Durbin – e tutta questa serie di emozioni convive nello stesso istante».

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Il Derny. È una gara di endurance dietro moto che si disputa su distanze tra 25 e 40 km.

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