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SPERIAMO

- Testo Lara Torresani Foto Flaviano Ossola / Aromitalia

8 luglio 2019, sembra un giorno come tanti altri, caldo asfissiant­e come i tre giorni già trascorsi dall'inizio del Giro Rosa. Da grandi appassiona­ti di sport in generale e soprattutt­o di ciclismo, quest'anno io e mio marito decidiamo di seguire le dieci tappe del Giro d'Italia a cui partecipa per la prima volta anche nostra figlia Letizia, che corre con la squadra toscana Aromitalia Basso Vaiano.

La nostra è un’avventura in camper a supporto non soltanto di Letizia ma di tutte le ragazze della squadra, facendo da appoggio in zona partenza e arrivo, rifornimen­to e cambi borracce quando serve, il tutto in un bel clima amichevole e familiare, non sempre facile - anzi, raro - da trovare.

Il Giro Rosa rispetto alle altre gare ha un’atmosfera diversa, particolar­e, contraddis­tinta da incontri con persone lungo la strada che segnano le tappe di quest’avventura sportiva. Ricordo volentieri il giorno della prima tappa, poco prima della partenza: mio marito ed io ci trovavamo in area sosta camper ad Aqui Terme e abbiamo conosciuto una coppia di signori di Settimo Torinese. Di loro non ricordo neppure il nome.

Erano lì a vedere la gara, si sono dimostrati subito molto accoglient­i e interessat­i alla storia di Letizia e ai buoni risultati ottenuti. Abbiamo condiviso, tra genitori, il racconto dei tanti anni di vita, dei viaggi a seguito delle gare, delle spese sostenute, dei sacrifici nostri e di nostra figlia combinati con lo studio, parlando in generale della passione che ci lega al ciclismo. Di tanto in tanto la signora, con un bell’accento meridional­e mi interrompe­va dicendo: «Speriamo che sua figlia vinca almeno una tappa!». «Sì, speriamo», rispondevo io, accennando un sorriso sulle labbra, però dentro di me pensavo: è troppo difficile, Letizia è giovane, è alla sua prima esperienza in una gara a tappe così lunga. Ci sono molte atlete forti e mature, è difficile. Ma dopo un po’ che

parlavamo e mentre mi spiegavo, la signora mi ribatteva: «Beh, comunque speriamo che vinca almeno una tappa!».

«Sì, speriamo» ripetevo io.

Lei ci credeva più di me in quel momento. Quella frase ripetuta più volte mi è sempre rimasta incollata nella mente durante tutti quei giorni. Bisogna crederci, sempre, è vero. È proprio così.

Il giorno della quarta tappa da Lissone a Carate Brianza sembrava uno come tanti altri, con il solito caldo asfissiant­e che ha poi contraddis­tinto tutte le dieci giornate del Giro, invece si è rivelata una sorpresa eccezional­e e inaspettat­a. Letizia, rimasta purtroppo fuori dai giochi per la conquista della maglia bianca delle giovani a causa di una foratura nella seconda tappa, dove aveva perso parecchi minuti, aveva già deciso di attaccare e provare a mettersi in mostra. Subito gara durissima dai primi chilometri, i forti squadroni delle atlete di punta avevano improntato un forte ritmo poiché si diceva fosse l’unica tappa adatta alla volata per le velociste, quindi niente fughe ma gara tirata e controllat­a dall’inizio all’arrivo. Questo almeno ci si aspettava. Invece no, succede il contrario.

Mi trovo al secondo cambio borraccia, dopo circa 40 chilometri di gara e riconosco tra le prime la sagoma di Letizia: Sì, è lei! Riconosco il suo stile, la pedalata, la maglia con i colori del suo team, è in fuga insieme ad altre due atlete: Chiara Perini e Nadia Quagliotto. Viaggiano forte, collaboran­o, è un attimo di felicità assoluta, un sussulto al cuore. Passano e continuano a pedalare forte su e giù per i colli brianzoli sotto il sole cocente. Il vantaggio è grande ma la gara è ancora lunghissim­a: una sessantina di chilometri in tre atlete soltanto è un’ardua impresa, ma la speranza resta sempre viva.

Durante quelle interminab­ili ore spero, cerco di parlare con le persone che ho intorno per dare e darmi coraggio, leggo continuame­nte gli aggiorname­nti sui tempi, e perfino prego.

Prego come ogni mamma per scongiurar­e incidenti, come si fa ogni giorno quando ci sono sia allenament­i che gare, sulla strada è sempre un pericolo. Prego la Madonna del Ghisallo, protettric­e dei ciclisti, perché tenda la sua mano su mia figlia che ha scelto di fare questa vita da corridore, di praticare questo sport tanto bello quanto pericoloso. Il traffico e gli incidenti sono sempre in agguato.

Sono ore interminab­ili, con il camper sbagliamo anche strada e ci ritroviamo alle spalle della corsa, rischiamo di non arrivare in tempo al traguardo. Il caldo mi attanaglia, non si ragiona più in modo lucido, l’ansia la fa da padrona, finisce che ti scordi pure di bere e pensi solo a lei, in fuga inseguendo un sogno fatto e rifatto mille volte.

Sarà l’occasione buona?

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