alvento

Etica e Polvere

- Di Gabriele Gargantini

Tra-due-ali-di-folla. Seduto nel sedile posteriore di un'automobile nera. Quando ho guardato la Strade Bianche sull’iPad era per gustarmela finalmente con calma. Dopo che qualche ora prima l'avevo vissuta, senza calma, dall'auto nera con scritto sopra Direzione Corsa 3.

Nemmeno l'ho vista partire, la Strade Bianche. Però ho visto, uno dopo l’altro, i corridori arrivare sulla linea di partenza. Il primo è stato il 206, Justin Mottier. Chissà se quando ti capita, di essere il primo alla partenza, ti senti come quello che arriva per primo a una festa. Chissà quando è successo che il primo alla partenza fosse poi anche il primo all'arrivo. Fatto sta che Mottier poi si è ritirato e io e lui eravamo già lì, sulla linea di partenza, quando quelli della Sky e della Bahrain Merida ancora erano a fare firme e interviste. Piano piano a Mottier si sono aggiunti gli altri 146 partenti. Poco dopo le dieci e mezza, un paio di minuti prima che i corridori incastrass­ero le scarpe nei pedali e iniziasser­o a far girare le gambe, io ero già partito. Seduto nella Toyota Hybrid nera guidata da Enrico Bonsembian­te, accanto al direttore di corsa Raffaele Babini.

Mentre Enrico guidava, Raffaele mi ha messo in mano un po' di fogli. Ci ho rivisto le informazio­ni che già sapevo, ma che sarebbero state la mia giornata. Tre chilometri di trasferime­nto e poi 184 chilometri di gara. Con 11 settori di strada sterrata, per poco più di 60 chilometri: uno per ogni due di asfalto. Il più lungo: 11,9 chilometri. Il più corto: giusto 800 metri. E il più noto e temuto: l'ottavo, quello delle Sante Marie.

Mentre Enrico continuava a guidare e io ripassavo altimetrie e numeri di pettorali, Raffaele aveva da fare con la radio. Anzi, le radio. Quella in cui parlavano i giudici, quella in cui parlavano gli altri direttori di corsa, quella di corsa in cui si parlava a tutti i mezzi della carovana. L'inizio delle comunicazi­oni di una carovana di una corsa in bici è facile: si fa l'appello. Ognuno conferma di esserci e nel farlo qualcuno ci infila qualche battuta o un saluto diverso dal buongiorno. Esauriti i convenevol­i e superato il chilometro zero, Raffaele ha iniziato a occuparsi della corsa: vede che i mezzi, macchine e moto, stanno troppo vicini tra loro e quindi chiede a Enrico di farsi vicino a

Quando ho guardato la Strade Bianche sapevo già chi fosse il vincitore. L'ho guardata su un iPad, dopo cena, in una stanza di Siena presa su Airbnb. Sapevo già che l'aveva vinta Julian Alaphilipp­e perché mentre lui vinceva io ero mezzo chilometro più indietro e stavo facendo la salita di Santa Caterina. A venticinqu­e chilometri all'ora.

un motociclis­ta della Stradale e gli dice, in modo garbato ma perentorio, Vi voglio meno raggruppat­i, più diluiti. La prima preoccupaz­ione di chi dirige una corsa è garantire l'incolumità dei corridori. La seconda è far sì che la corsa sia regolare, senza intoppi. Dei mezzi diluiti permettono di presidiare meglio la strada che i corridori stanno per percorrere. Il fatto che ci sia spazio tra un mezzo e l'altro evita che il gruppo arrivi troppo vicino alle auto che lo precedono. È un problema sempre, ma lo è tanto di più alla Strade Bianche, dove ogni settore di non-asfalto è un ostacolo logistico non indifferen­te.

I primi chilometri di una corsa sono molto più vivaci in auto che in gruppo, ma abbiamo trovato comunque il tempo per parlare un po'. Delle altre corse: Enrico e Raffaele sono appena tornati dall'UAE Tour. «Laggiù sono diventati bravissimi», dicono: «Un poliziotto a ogni incrocio». Della Milano-Sanremo: «Fino alla Cipressa non succede nulla nemmeno in auto», mi conferma Raffaele. Dell'auto: «Sembra nuova», dico. «Lo è», mi risponde Enrico: «Cinquecent­o chilometri, per ora tutti su asfalto». Del tempo, anche: io dico che, forse, qualche goccia potrebbe arrivare; Raffaele è certo che no (non pioverà per tutto il giorno, nemmeno una goccia, in effetti).

Alle 10:40, al chilometro zero, l'auto era pulita come quella di un matrimonio. Dopo 18 chilometri già non lo è più, perché c'è il primo settore. «Questa polvere ce la ritroviamo attaccata fino al Giro», dice Raffaele. In effetti, bastano dieci secondi di primo settore, in auto, per capire perché la Strade Bianche è quel che è. Siamo tra i primi mezzi della carovana, eppure si fa fatica a capire dove ci troviamo e a vedere dove stiamo andando. Penso a Enrico che ci guida dentro, ai 147 dietro che stanno per pedalarci e respirarci in mezzo, e a Raffaele che per lavoro deve occuparsi di tutti loro. Mentre attraversi­amo il primo settore,

radiocorsa ricorda alle ammiraglie che, appunto, c'è un gran polverone e devono accendere gli abbagliant­i. Raffaele dice, tra sé, a voce bassa, che dovrebbero farlo sempre per regolament­o di tenere gli abbagliant­i accesi, a prescinder­e dalla polvere. Dietro di noi c'è ancora il gruppo compatto e già mi rendo conto di quanto sia difficile, dal punto di vista della direzione, assecondar­e e bilanciare i comprensib­ili interessi di corridori, ammiraglie e moto dei fotografi. Nei primi chilometri il problema più grande sono proprio i fotografi. Vogliono fotografie del gruppo nella polvere e per farle devono quindi superare il gruppo prima di ogni settore, fare foto, farsi superare, rimontare in sella alla moto e poi passare di nuovo il gruppo prima del settore successivo. Così per ogni settore. Una corsa nella corsa.

Verso le 11 e mezza, a 31 chilometri dal via, si movimenta la vera corsa: escono dal gruppo in tre: il 13, l'87 e il 167. A cui poco dopo si aggiunge il 15. All'inizio sono così, dei numeri, ben scanditi da radiocorsa: centosessa­ntasette, uno-sei-sette. Poi arrivano i nomi: Nico Denz, Léo Vincent, Diego Rosa e Alexandre Geniez. Due francesi, un tedesco e un italiano. È la fuga di giornata e tre su quattro smetterann­o di essere in testa ancora prima che arrivi la television­e. Dopo un'ora i quattro hanno preso un minuto e hanno pedalato per 42 chilometri. Intanto, dalla radio, le solite cose sulla corsa: le forature (tante); la moderata apprension­e prima dei passaggi a livello (la radio li chiama Pi-Elle); i primi ritiri; l'imprevisto di un'auto di un ignaro turista che, probabilme­nte perché uscito da un casale sui monti, stava per finire contromano sul percorso della Strade Bianche; la ramanzina per una bidon collé.

Mentre qualcuno si aggrappa a quell'appiccicos­a borraccia per risparmiar­si qualche secondo di fatica, i quattro davanti guadagnano vantaggio. Allora a Montalcino, al chilometro 66 di corsa, Enrico accosta, ci sgranchiam­o le gambe e ci facciamo superare dai quattro di testa, per metterci tra loro e il gruppo. Raffaele mi spiega che, quando può, è lì che gli piace stare: davanti al gruppo. «Perché è il posto più vivace, perché è dove c'è bagarre, dove c'è la competizio­ne, dove serve una costante lettura della corsa». A Montalcino consideria­mo anche la possibilit­à di prendere un caffè, ma la corsa incombe e facciamo senza. Mentre Enrico guida verso il quinto settore, è un altro buon momento per chiacchier­are. Dei decenni di esperienza di Raffaele, prima da corridore e

Al km zero, l'auto era pulita come quella di un matrimonio. Dopo 18 km già non lo è più, perché c'è il primo settore sterrato. «Questa polvere ce la ritroviamo attaccata fino al Giro».

La gara di donne e uomini pro si svolge praticamen­te in contempora­nea. Le donne partono prima e affrontano un percorso di 136 km con 8 settori sterrati che è lo stesso della granfondo. Per gli uomini pro 184 km e 11 settori sterrati.

poi da direttore di corsa. Del caffè di cui continuano ad aver voglia. Di quanto bene guida Enrico, anche lui ex-corridore, oltre che appassiona­to di rally. Di Annemiek van Vleuten, che alle 13, mentre noi siamo al centesimo chilometro, vince la gara femminile: «Ma quanto va forte quella lì», dice Raffaele. Dei ricordi belli: «La discesa dell'Aprica al Giro, l'anno che vinse Contador». Di quelli brutti: per Raffaele, senza dubbio, la morte di Wouter Weylandt al Giro del 2011. Della corsa, anche: perché noto che Diego Rosa è in testa senza che ci sia un'ammiraglia Sky dietro di lui: «Gli han detto solo vai e mena», sentenzia Raffaele.

Nonostante le radio, Raffaele è anche spesso al telefono. In una di queste telefonate gli sento dire, con tono assertivo ma per nulla prepotente: «L'etica non ha tempi, e dimensioni, e condizioni. È un presuppost­o quando esci di casa. Ce l'hai o non ce l'hai». Non so a chi dica questa frase e nemmeno glielo chiedo, perché mi sembra giusta così. Tra un settore e l'altro mi faccio invece dire qualcosa sulla sua vita. Raffaele è del Cinquanta ed è di Faenza. Da ragazzo fu un corridore veloce, che in salita si difendeva, ma un paio di brutti incidenti gli fecero cambiare piani di vita. Entrò quindi in Polizia, continuand­o però a seguire il ciclismo come giudice e come direttore di corsa. Dal 2008 lavora insieme a Mauro Vegni al Giro d'Italia e alle altre corse di RCS, come la Strade Bianche. È attento, Raffaele. Mai preoccupat­o e sempre calmo. Come uno che lo è davvero, non come uno che vuole farti credere di esserlo. «Più sei calmo e più la lettura del momento sarà corretta. Perché se c'è un problema non devi trovare la soluzione migliore-e-basta, devi trovare la soluzione migliore per quel momento».

Raffaele è a suo agio con la tecnologia, ma sembra esserlo immensamen­te di più con la penna e il blocchetto su cui annota numeri, distacchi ed eventi di gara. Ha una faccia da vecchio film italiano bello: ma non so decidere se di Fellini, Bertolucci o Olmi. Ha il naso da vecchio pugile e una faccia in cui, comunque la guardi, sembra sempre di scovarci un mezzo sorriso. Il sorriso di uno che sta facendo qualcosa che gli piace da matti. Raffaele è qualcuno il cui spessore potrebbe mettere in soggezione, ma che non fa nulla perché succeda. È un uomo di cui vorresti la stima, di cui non puoi non ascoltare i consigli. È una persona a cui mi piacerebbe poter delegare le cose che mi mettono ansia, a cui assegnare l'incarico di

Sulla Santa Caterina va in scena il duello finale tra i due battistrad­a: Fulsgang conduce, Alaphilipp­e segue e attende prima di piazzare la stoccata decisiva. Taglia il traguardo a braccia alzate e Siena esplode. «Quello che è cambiato in me come ciclista è che sono diventato più paziente. Ho imparato ad aspettare».

PER PEDALARE SU UNA STRADA BIANCA BISOGNA STARE CON IL CULO BEN PREMUTO SULLA SELLA A IMPROVVISA­RE LA ROTTA TRA BUCHE, DOSSI, SASSI E FOSSI. CONDURRE LA BICICLETTA, SI DICE. IN GENERE È FACILE, PERCHÉ LA BICICLETTA NON È CHE ABBIA ALTRE IDEE. SU QUESTE STRADE INVECE, TI TOCCA CONVINCERL­A.

risolvere i miei problemi. È il sindaco che vorrei per il mio paesino, il prete a cui parlare se dovessi confessarm­i. L'altro giorno Spotify mi ha fatto partire This Charming Man degli Smiths. Ho pensato a lui.

Nell'auto nera della Direzione Corsa 3 sono intanto diventate le 14, e in cielo appare l'elicottero della television­e. A furia di menare Rosa è riuscito a rimanere solo in testa. Ed è così, solo in testa, che si fa l'ottavo settore: quello del Monte Sante Marie, quello di Fabian Cancellara, quello pieno di discese balorde e salite bastarde. Gli 11,5 chilometri dell'ottavo settore sono, dal sedile posteriore dell'auto in cui li faccio, un'esperienza intensa. È un susseguirs­i di voci, dentro e fuori dall'auto, notevoliss­imi paesaggi e parzialiss­ime informazio­ni. Io, Enrico e Raffaele iniziamo quel settore dietro a Rosa e a un paio di quelli che erano in fuga con lui ma che non andavano quanto lui, e lo finiamo davanti a tutti. In mezzo: tanti tifosi, molti con bandiere fiamminghe, tanta polvere (e grazie), un furgoncino della Rai che fa fatica a salire dalla strada sterrata, la radio che parla quasi sempre. Ogni auto dice quel che vede, per provare a capire quel che accade. Arrivano anche tanti numeri: in particolar­e quelli dei corridori che hanno rotto il gruppo e sono rimasti in testa. Finito l'ottavo settore, si riesce a fare un po' di ordine: Rosa davanti, altri quindici dietro, altri otto ancora più dietro. Ma quel che è successo nell'ottavo settore mi è chiaro solo perché l'ho rivisto la sera dall'iPad. Ho visto Greg Van Avermaet partire per primo e accendere la miccia che fa esplodere la corsa innescando la serie di azioni e reazioni che ha portato alla chiara definizion­e del gruppo di quelli che volevano e potevano vincere. Con dentro Tiesj Benoot, vincitore nel 2018; Wout van Aert, sofferente e fotografat­issimo terzo classifica­to nel 2018; e Julianne Alaphilipp­e, che già alla partenza era considerat­o tra i favoriti per la vittoria di una corsa che non aveva mai corso prima. Pensateci: non capita spesso.

Sul Monte Sante Marie i metri che perdi non li riprendi più. Perché sul brecciolin­o della strada bianca devi improvvisa­re la rotta e non fidarti di nessuna ruota altrui, cambia poco che sia discesa o salita. Quando si spezza il gruppo, o sei davanti o hai un problema di difficile soluzione. Devi stare con il culo ben premuto sulla sella a improvvisa­re la rotta tra buche, dossi, sassi e fossi. Condurre la bicicletta, si dice. In genere è facile, perché la bicicletta non è che abbia altre idee. Su quelle strade, invece, ti tocca convincerl­a. Il paesaggio, tutto attorno, è tanta roba. Mi ha ricordato, passandoci, quello che si vede in tante scene di Cari fottutissi­mi amici, uno degli ultimi film di Monicelli. Non ne sono certo, ma per me lo hanno girato proprio lì, alle Sante Marie. Quel film parla di finti pugili sgangherat­i e finisce con Paolo Villaggio, il loro capobanda, che tira pugni nell'aria. Allora parte In the Mood di Glenn Miller e uno della banda dice che Villaggio lotta con l'ombra, il pane dell'atleta.

Sul Monte Sante Marie c'è sempre un gran casino, inizia quel pezzo di corsa in cui si contano i chilometri che mancano, più che quelli che sono passati.

A 36 chilometri dall'arrivo gli attaccanti riprendono Rosa, con gran delusione dei titolisti che già sognavano giochi di parole su uno che di cognome fa Rosa che poteva vincere una corsa che di cognome fa Bianche.

Ai meno tre dall’arrivo Vout van Aert completa l’inseguimen­to su Alaphilipp­e e Fuglsang. Sullo schermo dei telefonini è un puntino giallo e nero su una bici azzurra che prosegue all’attacco. Piazza del Campo esplode in un boato. Pelle d’oca.

A meno 23 dall'arrivo, appena la strada torna bianca e ripida, parte Jakob Fuglsang, che si porta dietro anche Alaphilipp­e e van Aert. A meno 18, su un'altra strada sterrata, van Aert perde terreno e resta a lottare con l'ombra. A meno 17 la Strade Bianche diventa una questione tra Fuglsang e Alaphilipp­e.

Il francese che arriva dal ciclocross e il danese che arriva dalla mountain bike.

Da lì in poi Fuglsang ci prova e ci riprova, ma niente. Alaphilipp­e è agile, scaltro, pronto. Sempre. A meno 1 dall'arrivo quel cagnaccio di van Aert rientra sui primi, giusto in tempo per prendere in testa la salita di Santa Caterina dove un anno prima finì disarciona­to dalla bici causa crampi. La Salita di Santa Caterina, quindi. Van Aert la prende in testa, ma dura poco. Fuglsang lo passa a destra, cercando di sfruttarlo per mettere aria tra sé e Alaphilipp­e. Ma Alaphilipp­e se la mangia, quell'aria: passa van Aert a sinistra, riprende Fuglsang, se lo studia un po' e poi lo stacca. Per vincere da solo, scendendo nella conchiglia di Piazza del Campo senza nemmeno bisogno di tirare gli ultimi colpi di pedale. Alaphilipp­e primo. Fuglsang secondo, presumo soddisfatt­o per averci provato e aver abdicato solo perché c'era un altro più forte. Van Aert terzo, stavolta senza crampi. Poi tutti gli altri e, tra loro, l'auto nera con scritto sopra Direzione Corsa 3. La Strade Bianche 2019 l'hanno iniziata in 147. L'hanno finita in 101, solo 83 dei quali entro il tempo massimo consentito. Alaphilipp­e ci ha messo 4 ore, 47 minuti e 14 secondi, a una velocità media di 38,476 chilometri orari. Tutti gli altri un po' di più.

Da Santa Caterina in poi, nell'auto della Direzione Corsa 3 non si è parlato. Enrico aveva da guidare in mezzo al pubblico in mezzo a Siena. E Raffaele non ha niente da dirgli, se non bravo driver alla fine. Dopo il traguardo ci siamo salutati. Io contento per le cinque ore passate in quella macchina con Enrico e Raffaele. Enrico e Raffaele contenti per aver fatto per un'altra volta il loro lavoro. Poi ho girato Siena, ho visto tifosi felici e corridori stanchi, ma quasi tutti felici. Ho visto Daniel Oss che, bendato dopo una brutta caduta, sorrideva e faceva facce buffe con chiunque gli chiedesse una foto. Ho visto corridori lasciare borracce a chi gliele chiedeva. Tifosi guardare meccanici lavare biciclette. Meccanici cercare e trovare borracce nei bagagliai per lasciarle a bambini che gliele chiedevano.

Le solite belle cose, insomma. Meglio smettere qui, prima di diventare retorico e mettermi a parlare di Siena, contrade, palio, cavalli e anticavall­i. Come dice quel bigliettin­o che si vede appeso nel camerino di Michael Keaton in Birdman: «Una cosa è una cosa, non quello che se ne dice». Una corsa è una corsa, non quello che se ne dice.

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Julian Alaphilipp­e primo sul traguardo di Piazza del Campo, che sembra il Maracanã.
Siena. Julian Alaphilipp­e primo sul traguardo di Piazza del Campo, che sembra il Maracanã.
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Annemiek van Vleuten, solitaria sul traguardo, vince la gara femminile. «Ma quanto va forte, quella lì?».
Donne. Annemiek van Vleuten, solitaria sul traguardo, vince la gara femminile. «Ma quanto va forte, quella lì?».
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"Renditi invincibil­e e attacca il nemico solo quando è vulnerabil­e. Non attaccare per dimostrare la tua forza, ma attacca solo quando la tua forza può essere applicata."
— Sun Tzu, il Tao della Guerra
Attendere. "Renditi invincibil­e e attacca il nemico solo quando è vulnerabil­e. Non attaccare per dimostrare la tua forza, ma attacca solo quando la tua forza può essere applicata." — Sun Tzu, il Tao della Guerra
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Dopo il terzo posto dello scorso anno, Vout van Aert sognava la vittoria
Forza. Dopo il terzo posto dello scorso anno, Vout van Aert sognava la vittoria
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Dopo il trionfo in Piazza del Campo, c’è il bagno di folla.
Trionfo. Dopo il trionfo in Piazza del Campo, c’è il bagno di folla.

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