Maglie bianche sulle strade bianche
Siamo un a serie di puntini bianchi che pedalano e procedono in fila indiana dentro a un paesaggio verde e azzurro. Intorno a noi ci sono solo colline tondeggianti e cielo con dentro grandi nuvole cotonose, qualche auto passa raramente per strada e ci sorpassa, restandoci lontano. La vita ha un altro ritmo qui sulle colline senesi, nessuno sembra avere fretta. La strada per oggi è asfaltata ma domani e dopodomani sarà sterrata e polverosa, non che la cosa ci dispiaccia o ci spaventi – anzi – siamo qui proprio per quello: per veder pedalare i pro sul percorso delle Strade Bianche e per partecipare alla granfondo, dopodomani. È venerdì, a guidare la fila ci sono un ex-campione del mondo e il suo più fido scudiero che procedono affiancati, tutti noi comuni mortali seguiamo tenendo l’occhio sempre attento a non farci lasciare indietro, con il colpo di pedale pronto per recuperare i metri perduti, nel caso. L’andatura è tutt’altro che impossibile, procediamo regolari. Ce la stiamo godendo. L’intenzione è quella di rimanere tutti insieme almeno fino all’inizio della salitella che dovremo affrontare, poi da lì ciascuno procederà con il proprio passo. Domani sarà il giorno dei professionisti e dopodomani quello degli amatori, oggi è il giorno della ricognizione e della gioia. Riconciliazione con il ciclismo in pantaloncini corti, è quasi primavera e per la prima volta dell’anno sento l’aria venirmi incontro sulle gambe. Bividi, ma non di freddo. È bellissimo. Finalmente. Quando arrivo in cima alla salita Paolo Bettini (è lui l’ex-campione del mondo che ci accompagna con Luca Paolini, il suo fido scudiero) non è ancora arrivato, è tornato indietro per rifare un pezzo di strada e scambiare qualche parola con chi si era attardato. Noi siamo un gruppetto di quattro o cinque persone, siamo saliti chiacchierando, c’è un bar e ci sono delle biciclette all’esterno, appoggiate al muro, è facile capire che è questo il punto in cui ci dobbiamo fermare ad aspettare gli altri. Scendiamo dalle bici e ci guardiamo in giro, qualcuno approfitta per una telefonata a casa o in ufficio, qualcun altro per un selfie o per controllare whatsapp. Io mi metto comodo su una sedia che c’è lì fuori dal bar. Si sta benissimo al sole, il muro in pietre restituisce calore. Sento un tintinnio di tazzine e di cucchiaini provenire da dentro il bar, gente che parla in spagnolo e inglese. Nel frattempo arrivano gli altri con
Bettini e Paolini, che a loro volta parcheggiano le bici a bordo strada. Bettini entra nel bar proprio mentre i ciclisti spagnoli stanno per uscire fuori. Lo vedono e lo riconoscono ma nessuno ha il coraggio di dire niente, lì per lì. Uno degli spagnoli guarda me e cerca conferma nel mio sguardo. Sì, è lui faccio capire muovendo la testa. I quattro rientrano dentro e bevono un altro caffè e scattano qualche foto con Paolo-Bettini-l’ex-campione-del-mondo e poi riconoscono anche Paolini. È una festa. Paolo posa docile e allegro, gentile. È una persona molto brillante, racconta aneddoti a raffica, uno dietro l’altro, con allegria e spontaneità. Stiamo lì un po’ e poi si riprende a pedalare in discesa.
Sabato, mattina
Oggi è il grande giorno, c’è la gara dei professionisti e delle donne. Paolo Bettini ci accompagnerà e ha pianificato i nostri spostamenti sul percorso in ogni particolare, seguiremo la gara con lui, muovendoci in auto e a piedi. Vediamo i professionisti partire a Siena e poi via in auto, ci spostiamo vicino a Radi, dove dopo l’ennesimo caffè rivediamo i corridori, questa volta, finalmente, su un tratto di strada bianca. Posteggiamo il furgone e ci mettiamo a bordo strada e qui, ancora, la scena si ripete. Quando i tifosi vedono arrivare Paolo si sparge prima un timido brusio e il darsi di gomito, il passa
parola, poi i più audaci si avvicinano per una foto o una stretta di mano, che Paolo non nega mai a nessuno. È un vero ambasciatore del ciclismo e del marchio Sportful, nel senso più nobile del termine. Nel frattempo i corridori arrivano. Sono ancora in gruppo e pedalano veloci. Il rumore che fanno le ruote sullo sterrato è impressionante. Nessuno parla, si sentono solo i tubolari sul ghiaino e i sassolini che schizzano sui raggi, tintinnando. La gente urla e applaude e fotografa, tutto accade velocissimamente. Dopo i corridori, arrivano le moto dei fotografi e poi le ammiraglie e poi posso solo immaginare chi, c’è così tanta polvere che è perfino impossibile guardare. Non so come facciano i corridori a respirare, con una polvere così. E nemmeno i fotografi in moto.
Sabato, pomeriggio incontriamo i corridori per la quarta volta, ed è la più emozionante. Siamo su un tratto in salita del settimo settore, quello di San Martino in Grania, ci siamo posizionati su una collina rialzata di qualche metro rispetto alla strada. Ci sono ancora cielo azzurro e colline verdi e strade bellissime davanti a noi, poi nient’altro. Sembra di essere in un mondo a parte. La gente aspetta tranquilla nei prati e a bordo strada. Vediamo i corridori avvicinarsi da lontano, una immensa nuvola di polvere ce li annuncia. Paolo come sempre tiene banco e ci cerca di spiegare la dinamica di corsa, Diego Rosa è in fuga da tutto il giorno e ha allungato di un centinaio di metri sui suoi compagni d’avventura, procede da solo. A questo punto sui volti si legge la fatica.
Io sono un po’ preoccupato per la granfondo di domani. Siamo a marzo, soltanto. È presto. Sarò preparato abbastanza? Come reagirò alla distanza e al percorso così duro? Quest’anno mi sono allenato solo sui rulli. Quando tutti i corridori e le ammiraglie e la scopa sono passati, risaliamo in furgone e ritorniamo a Siena. Scaliamo la salita di Santa Caterina a bordo del fugone-ammiraglia Sportful che, tutto dipinto di arancione e nero, non passa certo inosservato. Quando la gente accalcata a bordo strada in attesa dei corridori si accorge che al volante c’è propri Paolo Bettini inizia a applaudire e a urlare più forte, a fotografare con il telefonino, il passaparola e il darsi di gomito corrono ed è come vedere un’onda propagarsi davanti a noi. La gente saluta Paolo urlano e Paolo saluta e guida, gentile. Noi dietro e a fianco a lui sorridiamo, un po’ imbarazzati, non abbiamo proprio nessun merito per essere lì a godere del privilegio di essere sul percorso insieme a lui, a parte il fatto di essere giornalisti al seguito della corsa. È emozionante.
La Piazza più bella del mondo
Piazza del Campo è gremita di gente. È impressionante. Tutti sono in attesa dei corridori e gli speaker fanno la radiocronaca della gara in italiano e in inglese, è bellissimo. La gente attende eccitata i corridori e l’epilogo della gara seguendo le voci e le immagini proiettate su un maxi schermo all’ingresso della piazza. Ci sono un sacco di turisti, come è normale che sia, moltissimi sono familiari o accompagnatori degli amatori, che domani correranno la granfondo. Mancano tre chilometri all’arrivo e Vout van Aert completa il suo inseguimento impossibile su Alaphilippe e Fuglsang. Tutti immaginano che a questo punto si metterà a ruota dei due che ha appena raggiunto per rifiatare un po’ prima di affrontare la salita di Santa Caterina, poco più aventi. Ma non è ciò che van Aert ha in mente. Si sposta sulla sinistra della strada e rilancia, andando dritto per la sua, di strada. Alaphilippe e Fuglsang sono costretti ad alzarsi sui pedali ed andare a chiudere. Ma quanto è forte, van Aert? La gente è in delirio. Sul grande schermo e sui telefonini è un puntino giallo su una bici azzurra che schizza in avanti. Piazza del Campo esplode in un boato che mi fa venire la pelle d’oca sulle guance e sulla schiena. Da quanto non mi sentivo così? A questo punto vorrei avere Paolo Bettini al mio fianco e sentire un suo commento tecnico o una sua battuta di sintesi, come ha fatto per tutto il giorno, accudendomi e istruendomi. Mi trovo a bordo strada, nella
Siamo puntini bianchi che procedono in fila indiana dentro a un paesaggio fatto di colline tondeggianti e grandi nuvole cotonose.
piazza, proprio sulla linea del traguardo, a due metri. Paolo chissà dov’è a questo punto? Inghiottito dalla folla. Mi godo il resto dello spettacolo da solo, la resa di van Aert, l’allungo e il duello dei due battistrada su Santa Caterina e e poi infine la stoccata di Alaphilippe e il suo trionfo, taglia il traguardo a braccia alzate. Siena esplode. Ancora una volta sento la pelle d’oca alzarsi sulle guance e sugli avambracci. Ho una voglia di pedalare domani che è incredibile.
Domenica, tocca a me
Sto pedalando da cento chilometri, fino a qui sono andato molto più veloce di quanto avrei dovuto andare. Sono sul percorso lungo e penso che forse avrei dovuto seguire i consigli di Paolo Bettini e a Luca Paolini e accontentarmi della mediofondo, visto che oltre che essere a inizio stagione ho anche una certa età. Sarei stato con loro, se fossi partito con loro, dalla loro griglia. Invece sono partito più indietro e nonostante la
Basta una discesa e un po’ d'abbrivio e a un non-campione viene subito voglia di sfidare un campione. A Luca Paolini bastano alcune centinaia di metri per segnare la differenza.
media folle dei primi chilometri, né loro né i primi non li ho mai visti. Ovvio, vanno tutti fortissimo. Per questa ragione quindi ho optato per il lungo, per godermela e per la semplice soddisfazione di arrivare al traguardo. Ora sto godendo poco, in effetti. Ho fame e sete e ho la bocca impastata di terra senese. Ho appena passato il rifornimento senza prendere niente e quindi, senza vergogna, penso che mi fermerò ad un bar. Ne avvisto uno aperto e freno, accosto. Posteggio la bici ed entro, il barista e un avventore che mi hanno visto arrivare si prodigano per rifornirmi più in fretta possibile. «Calma – dico – tanto non vinco». Mi faccio portare due lattine di Cocacola e le trangugio al volo. La seconda aprendosi mi sfugge dalle mani e mi schizza sulla maglia inzozzandomi tutto, faccio schifo. Non che prima fossi pulito ma ora sono tutto una macchia. Sulla mia maglia bianca ora insieme alla polvere ci sono un sacco di chiazze scure. Pago, saluto, riprendo la bici e mi rimetto a pedalare. Dopo pochi minuti lo zucchero entra in circolo e mi sento di nuovo bene, brillante, ho di nuovo voglia di pedalare. La Coca-cola è magica.
Arrivo
Gli ultimi metri della salita di Santa Caterina sono proprio duri. C’è gente che cammina e a bordo strada, dietro alle transenne, tifosi accalcati che urlano e incitano i granfondisti. Sono contento di essere quasi arrivato e sono allegro, ho voglia di ridere e di scherzare. Ho un’idea: quando sarò quasi in cima alla salita, appena prima di scollinare e della curva, urlerò qualcosa, per festeggiare. Arrivo in cima e strillo: È uno sport di merdaaa! proprio come quel famoso video che tutti i cicloamatori hanno visto in rete (in ogni caso anche per chi non avesse visto il video si tratta di un messaggio universale, facilmente comprensibile, a quel punto
della giornata e della fatica tutti lo pensano ma nessuno lo dice). È un tripudio. La gente strilla e sbraita e applaude e ci incita ancora più forte di prima. E io rido. Ormai siamo arrivati. Mi godo gli ultimi metri che sono in leggera discesa e passo sotto lo striscione d’arrivo senza pedalare. Sono felice. Scendo dalla bici, la appoggio alle transenne e mi guardo intorno. Vedo altra gente felice. Mi guardo le gambe, sono luride di polvere e appiccicose per via della Coca-cola. Guardo alla maglia che prima era bianca e che ora è uno schifo. Anzi, è bellissima. È unica. La polvere si è attaccata alla mia maglietta e ne ha fatto un disegno astratto. Mi viene in mente una cosa che mi ha raccontato Paolo Bettini l’altro ieri: quando ha partecipato alle Strade Bianche indossando la maglia iridata è andato in crisi di fame ed è arrivato al traguardo con una decina di minuti di ritardo sui primi, ci teneva comunque a finire, per la sua gente. Ad attenderlo dopo il traguardo c’erano i suoi amici di Cecina che è solo a 70 chilometri e ad uno di questi, che fa il carrozziere, Paolo consegnò la bicicletta da portare a casa. Gliela diede sporca, così com’era dopo la gara. E gli disse di tenerla così, di non lavarla. Il suo amico carrozziere ha preso la bici, l’ha portata in carrozzeria e gli ha dato una mano di vernice trasparente fissante, per tenerla così sporca per sempre. «Quella polvere è la mia storia – mi ha detto Paolo - Ce l’ho ancora a casa, quella bici, non l’ho mai più usata». Per un attimo penso che forse dovrei fare la stessa cosa con la mia maglia. In fondo la storia di questi tre giorni indimenticabili è scritta nella polvere come su una pagina bianca, che è la mia maglia. Che prima era uguale a tutte le altre e adesso è diventata la mia.