Mister Di Maggio
Ha tre bici gialle, una modificata per trasportare i suoi attrezzi. Siamo andati a conoscerlo nel suo studio di Milano.
Se proprio dobbiamo spiegare bene come sono andate le cose con Luca Di Maggio, bisogna dire che ha fatto prima lui a trovare noi, che noi a trovare lui.
Ci ha scritto una email che cominciava così:
Ciao, mi chiamo Luca Di Maggio e sono un artista ciclista.
Abbiamo visto i suoi disegni ed erano bellissimi. È così che lo abbiamo conosciuto.
Anche noi i suoi disegni, senza sapere che erano i suoi, li avevamo già visti.
Poi è successo che ci siamo incontrati all’UpCycle Cafè a Milano durante una serata, abbiamo chiacchierato un po’ e proprio quella sera, davanti a una birra, ci è venuta l’idea di raccontare di lui e di mostrare sulla rivista qualcuna delle sue opere.
La copertina di questo numero è sua - un’altra idea è nata in quella stessa sera. Dopo qualche giorno siamo andati a trovarlo nel suo studio in via Melzi D’Eril a Milano, visitarlo ci ha colpiti molto. Luca ha un modo di fare semplice e naturale. Autentico. Ci ha raccontato che nella sua ricerca è interessato all'effimero, per questo dipinge su carta.
«La carta è effimera per natura - ci ha spiegato - La carta è leggera e fragile e non dura per sempre, ed è questo che mi piace». Noi eravamo un po’ preoccupati a maneggiare i suoi disegni, avevamo paura di rovinarli. «Uso spesso il supporto della carta che simboleggia la fragilità degli uomini».
Mi chiedevo perché non dipingesse su tela, invece. La tela a me sembra un materiale più consistente, più solido, più nobile anche, e in effetti lo è. «La tela è pesante» ci ha spiegato Luca. «È ingombrante. E poi è più complicata da portare in giro. Adesso, in questo periodo ho voglia di disegnare delle cose piccole sul cartoncino. Volti o paesaggi inventati». Mentre ero lì e lui ci parlava credo di aver capito che non c'è soltanto la questione del supporto su cui si dipinge, la carta c'entra e non c’entra: è questione di visione credo, di idea. Di mentalità. Di modo di vivere.
Come tutti quelli della mia generazione, come molti di noi probabilmente, sono cresciuto con l'idea che il benessere avesse a che fare con il possesso e che parte della qualità (in ogni campo) avesse a che fare con la consistenza, con il supporto, anche con la cornice e quindi, inevitabilmente, anche con il contorno. Spesso è il contorno che ci impressiona, più della sostanza e ci convince della qualità, e a volte ci inganna. Ci facciamo fregare. Il lavoro di Luca invece è essenziale, come la sua arte. Sincera.
I disegni di Luca hanno tratti semplici, essenziali. La sua arte è nitida, sincera, arriva diritta al cuore di chi pedala perche forse, da ciclista, lui riesce a cogliere alcuni momenti speciali, alcune cose essenziali che abbiamo dentro, che ci contraddistinguono e che non sappiamo nemmeno di avere. Lui queste cose sa dove andare a riprenderle. E le mette su carta in disegni di grandissimo e piccolo formato che propagano tutti lo stesso tipo di forza. Mentre lo visitavamo stava dipingendo il telaio di una Titici.
«Ho fatto disegni grandissimi, anche intere facciate di palazzi. Adesso sono attratto dai formati più piccoli, dai piccoli ritratti, sono anche più comodi da portare in giro. È difficile disegnare le cose piccole. Quando ti avvicini i dettagli contano».
«Ho fatto disegni grandissimi, anche intere facciate di palazzi. Adesso sono attratto dai formati più piccoli, dai piccoli ritratti».
La ricerca di Luca ha a che fare con il distacco dalle cose, con l'eliminazione di tutto ciò che non è strettamente necessario. Ci ha detto che cerca di possedere meno cose possibili, in effetti il suo studio è un grande spazio che sembra semivuoto ma che non è vuoto, in effetti. È pieno. C'è tutto quello che ci deve essere nella sua forma essenziale, niente di più e niente di meno. Ci sono dei bellissimi disegni alle pareti ma si capisce che la cosa più importante di tutto lo studio, la presenza più importante, è lui. Ciò che conta è quello che vede.
Dipinge uomini in posa oppure in azione, di fronte e di profilo, si vedono lineamenti, spigoli graziati e tondeggianti, corpi muscolosi. Gambe che spingono sui pedali, boxeur, pedalatori in tandem. È una pittura incisiva che scalfisce a fondo l’immaginario. «Dipingo alcuni paesaggi o vedute che mi emozionano. I lavori raffigurano le mie emozioni ed il mio vissuto.
Dipende un po’ dalla situazione in cui mi trovo in quel particolare periodo in quel luogo preciso. Non esiste un luogo specifico né studiato per i miei disegni. A Tel Aviv li trovi in strada, a New York sono sui tetti di alcuni palazzi di Brooklyn e sono stati affissi su cartelloni pubblicitari così come lo sono stati a Milano fino a due anni fa. Negli ultimi mesi sono stati creati in una stanza, per preparare le due mostre di Milano e Roma. Non mi interessa molto protestare per avere spazi dove creare, in un modo o in un altro ho sempre agito in qualsiasi situazione mi fossi trovato. Se hai dentro una forte motivazione, riesci a fare spontaneamente, tutto il resto vien da sé… e il tuo spirito è appagato.
Uso pastelli ad olio, vinilici, acrilici, spray. Mi piace mischiare ed improvvisare, cancellare e rifare»
Luca possiede tre biciclette, tutte e tre gialle. Una è una bici cargo con cui si sposta per la città e per lavorare. «Non è facile da guidare ma io ci sono abituato». Lo spazio in cui lavora è molto grande e ci sono poche cose. «Possiedo il minimo indispensabile. Così non devo preoccuparmi di cose inutili».
Praticamente un mantra. Ciascuna delle cose che vediamo in giro o che indossa è personalizzata con dei disegni o con pezzetti di stoffa e tessuto che ha scelto lui e che ha fatto applicare in punti precisi da una sarta. «È abbigliamento per andare in bici che mi piace, ma mi piace anche che le cose che indosso siano uniche, mie». In un mondo dove tutti vogliono somigliare a qualcun altro, qualcuno che vuole rassomigliare soltanto a se stesso è sempre speciale.
«Disegno biciclette e ciclisti perché rappresentano la vita: il movimento, la fatica, l’arrivo e la ripartenza».