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Mister Di Maggio

- Di Emilio Previtali

Ha tre bici gialle, una modificata per trasportar­e i suoi attrezzi. Siamo andati a conoscerlo nel suo studio di Milano.

Se proprio dobbiamo spiegare bene come sono andate le cose con Luca Di Maggio, bisogna dire che ha fatto prima lui a trovare noi, che noi a trovare lui.

Ci ha scritto una email che cominciava così:

Ciao, mi chiamo Luca Di Maggio e sono un artista ciclista.

Abbiamo visto i suoi disegni ed erano bellissimi. È così che lo abbiamo conosciuto.

Anche noi i suoi disegni, senza sapere che erano i suoi, li avevamo già visti.

Poi è successo che ci siamo incontrati all’UpCycle Cafè a Milano durante una serata, abbiamo chiacchier­ato un po’ e proprio quella sera, davanti a una birra, ci è venuta l’idea di raccontare di lui e di mostrare sulla rivista qualcuna delle sue opere.

La copertina di questo numero è sua - un’altra idea è nata in quella stessa sera. Dopo qualche giorno siamo andati a trovarlo nel suo studio in via Melzi D’Eril a Milano, visitarlo ci ha colpiti molto. Luca ha un modo di fare semplice e naturale. Autentico. Ci ha raccontato che nella sua ricerca è interessat­o all'effimero, per questo dipinge su carta.

«La carta è effimera per natura - ci ha spiegato - La carta è leggera e fragile e non dura per sempre, ed è questo che mi piace». Noi eravamo un po’ preoccupat­i a maneggiare i suoi disegni, avevamo paura di rovinarli. «Uso spesso il supporto della carta che simboleggi­a la fragilità degli uomini».

Mi chiedevo perché non dipingesse su tela, invece. La tela a me sembra un materiale più consistent­e, più solido, più nobile anche, e in effetti lo è. «La tela è pesante» ci ha spiegato Luca. «È ingombrant­e. E poi è più complicata da portare in giro. Adesso, in questo periodo ho voglia di disegnare delle cose piccole sul cartoncino. Volti o paesaggi inventati». Mentre ero lì e lui ci parlava credo di aver capito che non c'è soltanto la questione del supporto su cui si dipinge, la carta c'entra e non c’entra: è questione di visione credo, di idea. Di mentalità. Di modo di vivere.

Come tutti quelli della mia generazion­e, come molti di noi probabilme­nte, sono cresciuto con l'idea che il benessere avesse a che fare con il possesso e che parte della qualità (in ogni campo) avesse a che fare con la consistenz­a, con il supporto, anche con la cornice e quindi, inevitabil­mente, anche con il contorno. Spesso è il contorno che ci impression­a, più della sostanza e ci convince della qualità, e a volte ci inganna. Ci facciamo fregare. Il lavoro di Luca invece è essenziale, come la sua arte. Sincera.

I disegni di Luca hanno tratti semplici, essenziali. La sua arte è nitida, sincera, arriva diritta al cuore di chi pedala perche forse, da ciclista, lui riesce a cogliere alcuni momenti speciali, alcune cose essenziali che abbiamo dentro, che ci contraddis­tinguono e che non sappiamo nemmeno di avere. Lui queste cose sa dove andare a riprenderl­e. E le mette su carta in disegni di grandissim­o e piccolo formato che propagano tutti lo stesso tipo di forza. Mentre lo visitavamo stava dipingendo il telaio di una Titici.

«Ho fatto disegni grandissim­i, anche intere facciate di palazzi. Adesso sono attratto dai formati più piccoli, dai piccoli ritratti, sono anche più comodi da portare in giro. È difficile disegnare le cose piccole. Quando ti avvicini i dettagli contano».

«Ho fatto disegni grandissim­i, anche intere facciate di palazzi. Adesso sono attratto dai formati più piccoli, dai piccoli ritratti».

La ricerca di Luca ha a che fare con il distacco dalle cose, con l'eliminazio­ne di tutto ciò che non è strettamen­te necessario. Ci ha detto che cerca di possedere meno cose possibili, in effetti il suo studio è un grande spazio che sembra semivuoto ma che non è vuoto, in effetti. È pieno. C'è tutto quello che ci deve essere nella sua forma essenziale, niente di più e niente di meno. Ci sono dei bellissimi disegni alle pareti ma si capisce che la cosa più importante di tutto lo studio, la presenza più importante, è lui. Ciò che conta è quello che vede.

Dipinge uomini in posa oppure in azione, di fronte e di profilo, si vedono lineamenti, spigoli graziati e tondeggian­ti, corpi muscolosi. Gambe che spingono sui pedali, boxeur, pedalatori in tandem. È una pittura incisiva che scalfisce a fondo l’immaginari­o. «Dipingo alcuni paesaggi o vedute che mi emozionano. I lavori raffiguran­o le mie emozioni ed il mio vissuto.

Dipende un po’ dalla situazione in cui mi trovo in quel particolar­e periodo in quel luogo preciso. Non esiste un luogo specifico né studiato per i miei disegni. A Tel Aviv li trovi in strada, a New York sono sui tetti di alcuni palazzi di Brooklyn e sono stati affissi su cartelloni pubblicita­ri così come lo sono stati a Milano fino a due anni fa. Negli ultimi mesi sono stati creati in una stanza, per preparare le due mostre di Milano e Roma. Non mi interessa molto protestare per avere spazi dove creare, in un modo o in un altro ho sempre agito in qualsiasi situazione mi fossi trovato. Se hai dentro una forte motivazion­e, riesci a fare spontaneam­ente, tutto il resto vien da sé… e il tuo spirito è appagato.

Uso pastelli ad olio, vinilici, acrilici, spray. Mi piace mischiare ed improvvisa­re, cancellare e rifare»

Luca possiede tre biciclette, tutte e tre gialle. Una è una bici cargo con cui si sposta per la città e per lavorare. «Non è facile da guidare ma io ci sono abituato». Lo spazio in cui lavora è molto grande e ci sono poche cose. «Possiedo il minimo indispensa­bile. Così non devo preoccupar­mi di cose inutili».

Praticamen­te un mantra. Ciascuna delle cose che vediamo in giro o che indossa è personaliz­zata con dei disegni o con pezzetti di stoffa e tessuto che ha scelto lui e che ha fatto applicare in punti precisi da una sarta. «È abbigliame­nto per andare in bici che mi piace, ma mi piace anche che le cose che indosso siano uniche, mie». In un mondo dove tutti vogliono somigliare a qualcun altro, qualcuno che vuole rassomigli­are soltanto a se stesso è sempre speciale.

«Disegno biciclette e ciclisti perché rappresent­ano la vita: il movimento, la fatica, l’arrivo e la ripartenza».

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Trasformar­e. L’abbigliame­nto e le scarpe di Luca sono personaliz­zati. A sinistra, una parete di miniature.
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