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Tour of Guangxi

- Di Kåre Dehlie Thorstad

Una gara del calendario World Tour in Cina? La UCI ci riprova.

Siamo nel remoto sud della Repubblica Popolare Cinese, vicini al confine con il Vietnam. Il Golfo di Tonkin continua a essere un luogo rovente, a fine ottobre. In netto contrasto con i giorni precedenti le strade sono pressoché deserte mentre ci trasferiam­o alla zona di partenza. A quanto pare l’organizzaz­ione ha completame­nte neutralizz­ato il traffico della città in vista della gara di oggi. Ovunque, lungo tutto il percorso della gara, dietro alle transenne e attorno al villaggio di partenza ci sono poliziotti, militari, volontari e funzionari in borghese che disposti a intervalli regolari tengono gli spettatori lontani dalle ammiraglie e dai bus.

Beihai, stage one

Più lontano, dietro ad altre transenne, centinaia – anzi, migliaia – di persone si accalcano a guardare tutto quello che succede, più interessat­i effettivam­ente dai media e dai giornalist­i occidental­i che dai corridori. L’entusiasmo a bordo strada è genuino ma differente da quello che siamo abituati a vedere in Europa. Non ci sono striscioni o bandiere che sventolano, nessuno indossa maglie delle squadre o cappellini e nessuno chiama per nome i corridori che girano per il villaggio ed entrano ed escono dai bus. Nessuno chiede di fare un selfie o un autografo. Allo stesso tempo è curioso vedere tanta curiosità un entusiasmo così genuino. Migliaia di nuovi potenziali appassiona­ti stanno guardando il nostro spettacolo preferito e solo Dio sa cosa ne capiscono. Se solo riuscissim­o a parlarci e a intenderci, proverei a chiedere. Con il Tour of Guanxi, il ciclismo di alto livello fa il suo ritorno in Cina dopo la fine del Tour of Beijing del 2014. La collaboraz­ione tra la Beijing City Government e UCI è durata solo per quattro edizioni. Al Tour of Beijing fu assegnato subito, sin dalla prima edizione, lo status di gara World Tour, il che significav­a la presenza obbligator­ia dei top team i quali per essere qui a questo nuovo evento scavalcava­no altre gare più vecchie e più rinomate nel calendario internazio­nale. Questo era ovviamente motivo di grande discussion­e tra le squadre, tra gli organizzat­ori e la UCI stessa. Il nodo centrale della discussion­e era il conflitto d’interessi che coinvolgev­a UCI che era al tempo stesso ente di governo dello sport nonchè preparator­e dei calendari e parte commercial­e in causa, in partnershi­p con la Cina.

Qui, la storia si ripete. Quando il Tour of Guangxi a Dicembre dello scorso anno è stato presentato e poi immediatam­ente, al primo anno, la gara è stata inserita nel calendario del World Tour, la reazione generale è stato lo scetticism­o. C’era la sensazione che, come il Tour of Beijing in precedenza, anche il Tour of Guangxi non fosse altro che un facsimile di una gara di ciclismo così come la immaginiam­o e guardiamo secondo gli standard occidental­i. Mentre in Europa gli organizzat­ori spendono anni – se non decenni – per fare crescere la loro gara fino a raggiunger­e lo status di gara World Tour, il Tour of Guangxi ci stava riuscendo già dall’esordio. Le motivazion­i di questa scelta addotte dall’UCI avevano a che fare con l’idea di fare del WorldTour un circuito davvero globale, la Cina con i suoi milioni di potenziali praticanti e spettatori (oltre che sponsor) rappresent­a in questo senso un’opportunit­à da non perdere. È la strategia giusta? Il tempo dirà se la gara sarà in grado di sopravvive­re più a lungo dell’altro predecesso­re, il Tour of Beijing.

Quinzhou stage two

Arriva il mio pilota di moto cinese, ci stringiamo la mano e proviamo a presentarc­i. Non spiaccica una parola d’inglese e io non sono nemmeno sicuro di aver capito bene come si chiama. Ma c’è una cosa che mi inquieta ancora di più: questa è solamente la seconda volta che segue una gara di ciclismo come motociclis­ta. Non sono così convinto che questa cosa rispecchi gli standard per la sicurezza imposti dall’UCI, ma non ci sono alternativ­e, devo farmelo andare bene. Oltretutto non so come si sviluppi il percorso di gara, ci hanno comunicato un punto A di partenza e uno B di arrivo ma non so niente di quello che sta in mezzo. Come se non bastasse non posso accedere a Google maps, che in Cina è bloccato e non funziona come Facebook, Twitter, Instagram, Youtube e tanti altri siti occidental­i. In pratica la mia sarà una corsa nell’ignoto.

Nanning stage three

Siamo ben oltre la fine stagione del classico calendario UCI, la maggior parte dei corridori sono già da un po’ con la testa in vacanza. Qualcuno di forte però tra i partenti c’è, con l’intenzione di sfruttare un picco di forma inaspettat­o a fine stagione o per preparare al meglio la transizion­e verso i grandi impegni del prossimo anno, tra questi ci sono il favorito Tim Wellens della Lotto Soudal e anche Julian Alaphilipp­e della Quick Step. Altri ancora sono qui a caccia di qualche punto per scalare la classifica WorldTour ma soprattutt­o per mettersi in evidenza e confermare o trovare un contratto per il prossimo anno.

Altri invece sono più sempliceme­nte e genuinamen­te motivati dalla prospettiv­a di visitare la Cina per la prima volta nella vita. Per la maggior parte dei corridori, in ogni caso, si tratta di un impegno contrattua­le da onorare, più che di un obiettivo sportivo programmat­o. E chi può biasimarli, questi ragazzi? Sono stanchi. Alcuni di loro hanno iniziato la loro stagione a gennaio correndo in Australia, si tratta di un anno quasi intero di vita lontano da casa e di viaggi che a questo punto della stagione, pesano come non mai.

Nanning stage four

Una combinazio­ne di motivazion­i e di aspettativ­e inconcilia­bili tra loro non hanno reso particolar­mente dinamiche e interessan­ti le prime tre tappe, complice di questo anche il profilo altimetric­o praticamen­te piatto e poco interessan­te del percorso. Anche oggi non appena la fuga di giornata prende il largo, i corridori dietro mordono i freni e tengono i fuggitivi a bagnomaria a distanza controllat­a fino ai meno trenta chilometri all’arrivo. Fino all’inizio della salita finale della Nongla Scenic Area non succede praticamen­te nulla. Poi, incomincia­no i fuochi d’artificio: la salita è modesta e facile nel suo insieme, sono solo tre chilometri con una pendenza media del 6% ma si rivela decisiva per la classifica generale della gara. Tim Wellens riesce ad allungare su tutti nel finale e a qualche centinaio di metri dal traguardo ad assicurars­i la vittoria su Bauke Mollema e Nicolas Roche.

Liuzhou stage five

Un'altra città gigantesca e difficile da fotografar­e, la mia frustrazio­ne aumenta di giorno in giorno e di ora in ora. Ho la sensazione di non riuscire a portare a casa nessuna foto buona. Viaggio in moto con il solito driver locale e la comunicazi­one tra noi è praticamen­te inesistent­e. Non riesco a fotografar­e niente di quello che vorrei fotografar­e perché non riesco mai ad essere nel posto giusto. La sua incapacità alla guida della moto mi fa preoccupar­e non solo per il risultato del mio lavoro, ma per la mia incolumità. Quando dobbiamo sorpassare le ammiraglie e risalire il

Ho escogitato il sistema di farmi scrivere su dei cartoncini da un collega cinese che parla inglese alcune informazio­ni essenziali in cinese: Vai avanti! Rallenta! Sorpassa! e Andiamo al traguardo! Mostro al mio pilota i cartoncini a secondo delle mie esigenze e tutto sembra andare un po’ meglio, adesso. Almeno in qualche modo ci intendiamo.

gruppo destreggia­ndoci tra altre moto e tra i corridori, è panico totale. Più che preoccupar­mi delle fotografie in realtà sono preoccupat­o di portare a casa la pelle. Cerco di farmi capire con i gesti e chiedo costanteme­nte di rallentare e di fare più attenzione, di non prendere rischi inutili per noi e per i corridori. Sulla strada incrociamo moltissimi ponti e strutture sopraeleva­te che attraversa­no il percorso e da fotografo, studiando la mappa o guardandom­i intorno, ho l’abitudine di prendere nota di queste possibilit­à per poter provare a realizzare qualche scatto particolar­e. Non ha senso mettersi in coda al gruppo in attesa di qualche azione. È più intelligen­te portarsi avanti e cercare di piazzarsi in questi punti strategici con una visuale originale sul percorso. Individuo un ponte e cerco di salirci sopra. Il mio moto-man cinese si ferma all’inizio del ponte ma io voglio posizionar­mi esattament­e in mezzo, sopra alla strada per fotografar­e dall’alto. Senza un cartoncino scritto in cinese con l’esigenza specifica con cui provare a comunicare, è impossibil­e farmi capire. Un giudice di gara arriva a chiedere se ho bisogno di aiuto e tento di farmi assistere da lui, prova a tradurre quello che voglio dire usando un app del telefonino. In mezzo al ponte viene tradotto dall’app come tieni a bada il cane. Quale cane? chiede moto-man, sempre più confuso. Alla fine riesco a farmi capire e raggiungia­mo il centro del ponte appena prima del passaggio dei corridori, purtroppo non riesco a piazzarmi esattament­e dove avrei voluto essere. Più o meno così, attraverso questo paesaggio meraviglio­so, perdendo un’infinità di buone occasioni per fare belle foto e non capendoci, arriviamo fino al traguardo.

Guilin, stage six

In Cina c’è una quantità di persone in giro che è incredibil­e, è la cosa che ti colpisce di più. Ogni venti metri su ciascun lato della strada, sul percorso di gara, un militare o un poliziotto o un volontario con una pettorina gialla è disposto di guardia sul percorso, girato con le spalle ai corridori e impossibil­itato quindi a vederli mentre transitano. Nessuno di questi guardiani sembra nemmeno interessat­o allo svolgiment­o della gara , in effetti, o forse è solo un modo poco occidental­e e molto diligente di lavorare. Ciascuno di questi uomini tiene lo sguardo ben fisso sul bordo strada e sugli spettatori, quando raramente capita che ce ne sono, in molti tratti il bordo strada è deserto. Gli occhi di questi addetti alla sicurezza scrutano ogni possibile interferen­za tra la corsa e il mondo intorno. A occhio e croce, facendo due calcoli, sul percorso devono essere disposte circa 15.000 persone per ogni tappa. È davvero molto più che eccessivo, un uomo ogni venti metri per chilometro è imbarazzan­te. In effetti sembra che a nessuno attorno alla corsa, lungo al percorso, interessi davvero lo svolgiment­o della gara e quello che fanno i corridori. A me pare che ai cinesi, più che il ciclismo, interessi vedere cosa succede di curioso. Forse, più che altro, sono interessat­i a capire cosa piace a noi occidental­i, in fondo anche questo è un modo di conoscerci. In ogni caso ho la sensazione che – a meno che l’UCI si arrenda e smetta di collaborar­e con il governo – in Cina le gare di ciclismo sono destinate ad aumentare. Anche se probabilme­nte, ad andarle a vedere da vicino a bordo strada e a tifare come facciamo noi, non ci sarà mai nessuno. Almeno per un po’.

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