A rincorrere il sole
272 km, dall’Adriatico al Tirreno, prima che il sole tramonti.
Dall’Adriatico al Tirreno, in giornata. Prima che il sole tramonti. Una sfida di 272 chilometri e l’idea che in fondo, era esattamente quello che cercavamo.
Un po’ moderni Icaro pronti a volare verso il sole e un po’ guerrieri d’acciaio e carbonio che rincorreranno un sogno. Ci sentiamo così mentre alle quattro della mattina, con il cielo ancora buio e le ultime stelle che si stanno spegnendo, usciamo dall’albergo per iniziare una giornata che definire lunga sembra poco. L’atmosfera è di quelle da frivola eccitazione: sai che stai entrando in una cosa grande, dove non avrai picchi di emozione, perché ogni secondo che vivrai sarà ciò che aspettavi da tempo. Esattamente da 63 giorni, tanti quanti ne sono passati dal giorno in cui Paolo, l’organizzatore, ti ha mandato una mail con su scritto: Hei Carlo, ti abbiamo iscritto alla Enervit Chase the Sun. Ci vediamo. A presto!
Per scrupolo ritorno sul sito a rivedere per l’ennesima volta il tracciato, una linea rossa orizzontale che taglia in due l’Italia, un tratto di penna che inizia a Cesenatico e finisce a Tirrenia, un solco di 272 chilometri e 3.300 metri da superare tutti in questa giornata che, per inciso, è il 23 giugno, ovvero due giorni dopo il solstizio d’estate. Già, il solstizio, il primo giorno d’estate, la giornata di luce più lunga dell’anno.
E in queste ore della notte, qui a fianco del porto di Cesenatico, anche i rumori hanno un suono particolare, sembrano attutiti, quasi ammortizzati, come se anche loro stessero ancora dormendo come quelli dietro alle tapparelle abbassate e alle persiane chiuse. Io e Antonio ci mettiamo in coda al gruppo di 180 partecipanti a questa cosa che va sotto il nome Chase the Sun e i cui confini, nella nostra mente, si devono ancora definire.
Alle 5 del mattino, mentre l’alba prende a spallate la notte, Paolo abbassa con un gesto solenne il braccio teso verso il cielo, dando così il via alla seconda edizione di questo evento che - non smette mai di ripeterlo - It’s a ride, not a race. Lo dice in inglese non tanto perché sia più figo, ma perché quello che stiamo vivendo adesso è la versione italiana di Chase the Sun, la corsa da Burnham a Minster, nel sud dell’Inghilterra, di circa 200 miglia. Nessuna classifica ci aspetta dall’altra parte dell’Italia, solo un berrettino con sopra scritto Finisher, e tanto ci basta.
Il gruppo esce ordinatamente da Cesenatico, sono chilometri piatti, calmi, con la campagna che
271 chilometri dall’Adriatico al Tirreno, 271 chilometri e 3300 metri di dislivello, la data di quest’anno è il 22 giugno 2019.
ancora riposa. In fondo al campo il rumore di un trattore e la nuvola di polvere che solleva dalla terra. Più avanti una signora alza la saracinesca del suo bar. Un ragazzo si ferma sull’orlo del marciapiede e ci vede scorrere via.
Man mano che pedaliamo il gruppo si assottiglia e hai voglia a dire It’s a ride, not a race, perché davanti menano da paura, e in fondo lo sapevamo: all’uomo a cavallo di una bici è difficile impedire di guerreggiare. Noi, invece, che facciamo del peace & love il nostro motto, pedaliamo lentamente e quando è il caso appoggiamo la bici al muretto per un selfie da mandare a chi a casa tra poco si sveglierà.
Dopo un paio di ore di pedalate sfioriamo un castello sulla sinistra, lo riconosco, è la Rocca di Meldola, e so che qui la strada svolta a destra: per la prima volta nella giornata aziono il deragliatore davanti. Si passa alla moltiplica da salita. In una decina di chilometri con muri impegnativi, corti ma cattivi, la strada ci porta a Predappio. Mi ritrovo a pedalare con un paio di ragazze inglesi, faccio il cicerone ricordando che cosa rappresenta questo paesino per la storia italiana del secolo scorso e in attesa di avviare un confronto storico culturale la piccola londinese mi racconta di aver scoperto per caso l’esistenza di Chase the Sun, e quando ha capito che il percorso l’avrebbe portata in Toscana, non ha resistito e ha contagiato anche l’amica. Forse devo migliorare il mio inglese, con discrezione allungo sul viale alberato.
La discesa ce la godiamo: entriamo nel Parco delle Foreste Casentinesi. Sono muri di ossigeno per le
nostre gambe e il paese di Premilcuore, il cui nome mi commuove sempre, ci dice che mancano 200 chilometri al Mar Tirreno. Prima però ci aspetta il Valico Tre Faggi: sono quindici chilometri che salgono lentamente, costanti, senza strappi al motore. E quel gran genio del mio amico, l’Antonio, il cacciavite lo ha lasciato a casa, ma non ha dimenticato il cellulare che usa magistralmente per foto, selfie, scatti e pure video.
Enervit Chase the Sun è un percorso da scoprire, e non solo stradale. Alle nostre spalle lasciamo la terra del Sangiovese e la salita ai Tre Faggi è lenta ma mai svogliata, è delicata ma mai banale, è un’ultima spinta sulla cima dove si apre la finestra del Chianti. È l’incontro di due vini, due culture, due terre, oserei persino dire di due razze.
Dai veloci, giù in discesa che ci aspetta il Bar Cavallino. È il primo checkpoint. Fame da mezzodì. Un timbro sul tesserino a cui segue un panino con la finocchiona da mangiare sulle sedie scolorite con il gomito appoggiato sul tavolino Algida. Ci sarebbe stata anche una birretta, ma siamo solo al chilometro 94: fai il bravo Brena mi dico. Rientro per bere un caffè: il bar non ha mai fatturato cosi tanto come oggi, è un vero assalto al bancone. Fuori ciclisti che partono, ciclisti che arrivano. L’ultimo sorso alla tazzina e via verso Rufina, Pontassieve e Bagno a Ripoli. Il traffico aumenta, e poco dopo pedaliamo a fianco dell’Arno: Firenze è davanti a noi.
Ride significa pedalata solitaria da fare in gruppo: l’unico che conosci della partita sei tu, gli altri li incontri durante il viaggio. Sono gruppi che si formano in modo naturale, un po’ come il movimento sincrono di certi fenomeni in fisica. Così io e Antonio ci ritroviamo a pedalare con Luca, Giovanni e Gianluca. Resteremo insieme fino a Tirrenia, aspettandoci in cima alle salite, rallentando nelle discese. Come amici di vecchia data, alla stregua di affiliati a una confraternita dalle regole non scritte. Sul pavé fiorentino resistiamo alla tentazione di attraversare il Ponte Vecchio. Cinesi, russi, giapponesi, sudamericani, francesi, un muro di turisti da tutto il pianeta. Alcuni ci guardano senza proferir parola, altri impugnano un bastone teleferico che produce autoscatti a manetta. Un signore
dall’accento veneto che indossa un consunto cappello di paglia mi chiede cosa stiamo facendo: No’ si va' a il mare. Da lontano ci segue con lo sguardo lungo il Parco delle Cascine: chissà forse anche lui vorrebbe venire con noi.
La Toscana è una cartolina ambulante, il sole adesso è esattamente a mezzogiorno, nel punto più alto della sua traiettoria. Sudiamo, beviamo, mangiamo, abbassiamo le zip delle magliette. La media è intorno ai 22 km/h, ma i calcoli qui contano poco. La salita di Carmignano sentenzia una certa sofferenza alle gambe e il consueto dolore alla schiena, che negli anni è diventato un mio amico. Quando arriviamo al Pinone, un ristorante dove le tagliatelle al cinghiale valgono il viaggio, faccio il timbro del terzo punto di controllo. Rinuncio al piatto che ha reso nota la locanda, e propendo per una piadina dalla forma rotonda: mai mangiato un sandwich così buono!
In cinque ripartiamo per gli ultimi 100 chilometri, ovviamente i più difficili. I boschi intorno a noi sono ricchi di olmi e platani, dalla vista di Cerreto Guidi i cipressi disegnano i profili delle colline sullo sfondo. Antonio li fotografa tutti, o quasi. È una tappa di avvicinamento al vero moloch della Chase the Sun: il Monte Serra. Un valico di 640 metri di quota che ognuno di noi cinque conquista in solitudine, lasciando sull’asfalto pensieri e sudore. Nessuno raccoglierà i primi, il sole si prenderà le gocce della nostra fatica.
In cima un ristorante rastrella uno ad uno il quintetto. Qualcuno tenta il conteggio delle lattine di Coca consumate fino lì: serve un pallottoliere. Iniziamo la discesa ma al primo tornante uno stop generale: il mare è là in fondo, sembra di toccarlo con un dito, ma chi di noi pensa ormai è fatta
Ride significa pedalata solitaria da fare in gruppo: l’unico che conosci della partita sei tu, gli altri li incontri durante il viaggio.
commette un grosso errore. Sono gli ultimi 40 chilometri, dieci di discesa e trenta di pianura controvento. Una sofferenza interrotta solo dal transito in piazza dei Miracoli: Pisa non tradisce mai. E qui tentiamo la versione ciclistica di Amici Miei: pedaliamo in mezzo a turisti di ogni specie in posa fotografica con la classica posizione delle braccia e mani protese a sorreggere la torre, e noi a dare high five sui loro palmi aperti. E via a scappare.
Pedaliamo a fianco dell’acquedotto mediceo (funzionante fino alla Seconda Guerra Mondiale) e sentiamo profumo di mare: le nostre dieci gambe sembrano andare ancora più forte. Io a dir la verità avrei un crampo, ma faccio finta di niente. Gli ultimi chilometri sono tra le pinete di Tirrenia e le case di villeggianti in Versilia. Sbuchiamo sul litorale e sul display leggo esattamente 272 chilometri, come una promessa mantenuta. Quattordici ore e qualche minuto, stop. Il sole è lì che guarda noi che ci abbracciamo, e poi ci osserva mentre ci tuffiamo in mare, con i nostri pantaloncini da ciclisti, le nostre gambe stanche, i nostri sorrisi e le strette di mano che ne seguono. Le urla di gioia in attesa del tramonto, quelle è difficile descriverle.