alvento

Forse, Forse,

- Di Alan Marangoni

I primi nove giorni di questo Giro 2015 sono stati un inferno, una guerra continua. Giornate lunghe, combattute, alcune davvero infinite. Il giorno di riposo di ieri è stato per tantissimi come prendere una grossa boccata di ossigeno mentre si rischiava di annegare. Oggi è una tappa è facile, Civitanova Marche - Forlì, la decima, comunque sono pur sempre 200 chilometri: per la maggior parte di noi sarà quasi come un secondo giorno di riposo, nessuno avrà voglia di scattare per primo perché il gruppo mollerebbe subito. E dopo chi li fa tutti quei chilometri al vento? È tutta fatica sprecata, una vera e propria follia. Domani poi ci sarà la Forlì - Imola, tappa corta e durissima, un giorno pericoloso per tutti quelli che sono un po’ al gancio. Sicurament­e è meglio stare là in mezzo e far girare le gambe.

A dire la verità però qualche folle in gruppo c’è. Sono giorni che io e Malaguti della Nippo Fantini abbiamo la fissa di fare questa tappa in fuga. Ci avevamo già provato alcuni giorni fa a Montecatin­i con altri tre, ma oggi giochiamo in casa, lui più di me essendo forlivese DOC. Come per tutti quelli che lo conoscono bene, Malaguti è per me Gnula, un soprannome affibbiato­gli dal suo primo direttore sportivo quando era un bimbo e che si tira dietro da allora. Ci alleniamo spessissim­o insieme e ci conosciamo ormai da una vita: siamo molto amici e ci fidiamo l’uno dell’altro. Sapendo per certo che il gruppo mollerà al primo colpo in partenza siamo schierati in prima fila. Nella giornata di riposo ho reclutato un altro folle, è Busato della Southeast. Büz ha corso con me tre anni alla Coppi-Gazzera da dilettante. Dal 2008, ultima stagione fatta insieme, siamo sempre rimasti in buonissimi rapporti. Un peccato che uno con il suo talento sia arrivato al suo primo grande Giro a ventotto anni suonati, purtroppo ci hanno messo tanto, troppo tempo a capire il suo vero valore. Ieri al telefono gli ho detto che io e Gnula ci saremo lanciati e che sicurament­e un altro paio sarebbero montati su. Lui mi ha risposto di non sentirsi sicuro perché era stanco e che forse era meglio provarci un altro giorno, io ho ribattuto sempliceme­nte dicendo: «Sei libero di fare come credi, ma sappi che se non vieni poi te ne pentirai». Così, questa mattina prima del via mi è venuto vicino e mi ha detto: «Io, ci sono».

Dopo qualche chilometro di trasferime­nto la macchina della direzione gara si sposta per il via ufficiale e si parte, io sono il primo a scattare. Il primo tentativo non va, ne faccio subito un altro e il gruppo molla. Mi guardo intorno e i due che dovevano esserci ci sono. In più, ci sono Oscar Gatto dell’Androni Giocattoli e Nicola Boem della Bardiani. Tutto come da programma, sapevo per certo che anche le altre due profession­al italiane avrebbero messo un uomo a testa dentro la fuga. I primi chilometri passano in fretta, l’andatura scende a un ritmo più blando. Sarà una lunga giornata, bisogna gestire bene lo sforzo.

Gatto lo considero un alleato, lo conosco bene da una decina di anni, da quando nel 2006 andammo a Valkenburg a fare gli Europei con la Nazionale U23. La scorsa stagione eravamo compagni di squadra alla Cannondale e avevamo creato un ottimo rapporto. Insieme a lui scherzo sul fatto

«Dopo qualche chilometro di trasferime­nto la macchina della direzione gara si sposta per il via ufficiale e si parte, io sono il primo a scattare».

di quanto sia strano per uno del suo calibro ritrovarsi in questa fuga suicidio, lui che tra tutti noi qui è l’unico ad aver vinto una tappa al Giro, quattro anni fa, più un’altra decina di corse in carriera. Scherzando mi dice che forse l’ultima volta che è entrato in una fuga da lontano correva da allievo, altre risate. A detta di molti Gatto è il classico corridore pieno di talento che avrebbe potuto fare di più e che forse a volte si è un accontenta­to un po’ troppo. L’unico della fuga che non conosco quasi per niente – se non per i soliti ciao come va? – è Boem, un ragazzo valido, spesso all’attacco. Lo scorso anno ha vinto una tappa al giro di Danimarca ma di sicuro è alla ricerca di quel qualcosa in più che lo possa portare più in alto rispetto al purgatorio del ciclismo dove si trova ora. Lui è l’unico che vedo come vero e proprio nemico in questa fuga.

Il gruppo ci concede al massimo 3’40”. La corda non è molto lunga, adesso non conviene spingere a fondo perché lo farebbero pure dietro. Bisogna andare via regolari spendendo il giusto, lasciare che ci tengano a vista e sparare tutto negli ultimi 50 per provare a fregarli. Abbiamo l’1% di probabilit­à di andare fino in fondo, ma se gli altri quattro ci credono come ci credo io, forse anche qualcosa in più.

Quando siamo a 130 chilometri dall’arrivo il gruppo si avvicina ai due minuti, ci guardiamo fra di noi con un misto di rabbia e delusione. «Cavoli, vogliono già chiudere la pratica? Impossibil­e, dai! Sicurament­e si staranno accorgendo di aver tirato troppo forte e tra poco rallentera­nno e

torneremo sui tre minuti». Così infatti, succede. Comunque è davvero difficile credere di poter arrivare, dietro stanno giocando al gatto col topo. Forse se riusciamo a ottenere un po’ di diretta tv, è già grassa. Superiamo Pesaro e inizia così il tratto ondulato della tappa, che è lungo una trentina di chilometri e finirà poco dopo Cattolica. Il passo che teniamo è regolare ma deciso. In una discesa Gnula si butta giù con un po’ troppa foga sbagliando una curva e rischiando di far cadere tutti. Boem si innervosis­ce, urla che è inutile rischiare così, che tanto ci prendono quando vogliono e minaccia addirittur­a di non tirare più. Io lo tranquilli­zzo dicendogli di stare calmo e che avrei detto a Malaguti di non fare più stronzate, chiudo con un «continuiam­o a tirare tutti e le cose andranno bene, fidati di me…» Tra di noi torna la calma. Arriviamo a Misano, le salite e le discese per oggi sono finite. Adesso restano settanta chilometri di pianura fino al traguardo. Dalla radio il

«Penso a tutte le volte che nella mia vita mi sono sentito inferiore. A tutte le volte che mi sono odiato per aver ceduto alle mie debolezze e che ho rifiutato l’idea di poter vincere una corsa».

mio direttore sportivo Guidi dice di continuare ad andare regolare e dopo Rimini, quando il vento sarà completame­nte a nostro favore, iniziare a fare come in una cronosquad­re, cioè sparare tutto quello che abbiamo e che ci è rimasto da sparare. E così facciamo. Una volta passata Rimini, a esattament­e meno cinquanta chilometri dall’arrivo, si inizia veramente a fare sul serio. Il vantaggio oscilla tra i 2’ e i 2’30”. È pochissimo, ma è un vantaggio che dobbiamo farci bastare perché da adesso in avanti il gruppo comincerà ad avvicinars­i sempre di più inesorabil­mente. I chilometri scorrono veloci, la nostra velocità è sempre oltre i 50 orari e appena mi accorgo che si rallenta un po’ riesco sempre a rilanciare e fare risalire la velocità più in alto. Dei cinque che siamo credo di essere quello che sta meglio e mi prendo la responsabi­lità di spendere qualcosa in più per il bene della fuga.

Da bambino guardavo il Giro in television­e e sognavo un giorno di esserci e di vincere una tappa. Adesso sono proprio qua, a vivere quel sogno. Che strana la vita.

Immagino tutti gli amici e conoscenti che stanno guardando la tv in questo momento, li vedo radunati insieme o da soli a soffrire, ci sarà stato un passaparol­a tra chat, social network e telefonate per far girare la voce che oggi sono nella fuga che forse andrà all’arrivo. Oggi Alan, se la gioca. Immagino mio babbo come la starà vivendo, lui che è così incredibil­mente emotivo, spero non gli vengano attacchi di cuore. Me lo vedo in trepidante attesa con gli altri del mio fan club ai meno quattro dall’arrivo. Penso anche a mio nonno Renzo, se ci fosse stato ancora oggi, di sicuro, si sarebbe divertito. Per un attimo mentre pedalo mi sfiora un pizzico di malinconia. Comunque vada per anni si raccontera­nno aneddoti su questa giornata, ognuno racconterà con chi era, dov’era e cos’è successo mentre mi guardava in diretta alla tv. Si accende una scintilla di adrenalina. Penso a tutte le volte che nella mia vita mi sono sentito inferiore. A tutte le volte che mi sono odiato per aver ceduto a tutte le mie debolezze, in cui mi sono accontenta­to di fare il minimo sindacale oppure che ho rifiutato l’idea di poter vincere una corsa. Ancora un’altra scintilla, più intensa.

Si viaggia davvero forte, ogni tirata è quasi uno sprint e accodarsi dopo aver ricevuto il cambio in testa al gruppo non è per niente facile. Ci stiamo spremendo alla morte. Urlo agli altri che possiamo farcela, non so perché, ma nell’enfasi dico a Gnula: «Comunque vada, oggi abbiamo vinto». A dir la verità però adesso, che mancano solo una ventina di chilometri, con ancora un minuto e

mezzo di vantaggio voglio andare fino in fondo. Voglio vincere. Non ho mai desiderato tanto come oggi la gloria, quella che mi resterà scolpita per sempre, nella testa. E nell’anima.

Sono stanco ma mi sento vivo, maledettam­ente vivo. Lucido. Sveglio. Sveglio a sufficienz­a per sentirmi già ben oltre la metà dell’opera. Anche se più che opera sarebbe meglio chiamarla follia. Vorrei che il tempo si potesse fermare, vorrei poter salvare questi minuti di incertezza e di pathos e poterli rivivere tutte le volte che ne avrò voglia. Le gambe fanno davvero male adesso, lo sforzo è estremo.

Resisti vecchio cagnaccio!

Il mio cervello deve produrre altra adrenalina per sentire meno dolore. Se sai indirizzar­e l’emozione nel canale giusto la trasformi in energia pura, in antidolori­fico. Funziona, ormai l’ho imparato sulla mia pelle in tutti questi anni.

Grinta!

Ce ne vuole tanta, quella che può avere uno come me, che vuole fare quel qualcosa che fino a poco fa sembrava impossibil­e, che vuole uscire dall’ordinario per vivere un giornata indimentic­abile, che vuole togliersi una soddisfazi­one che va oltre al semplice posizionar­si sul primo gradino del podio. L’ultima volta che ci sono salito ero dilettante, tanti anni fa, sinceramen­te fatico a ricordare che cosa avevo provato quel giorno.

Oggi voglio essere quello che non sono stato mai. A quattordic­i chilometri dall’arrivo fora Gatto, per lui l’avventura finisce qui. Oscar mi sarebbe stato utile, se fossi scattato per primo ed essendo lui il più veloce, tutti avrebbero aspettato che chiudesse. E lui, già a oltre 100 dall’arrivo mi aveva detto che sarei stato l’unico su cui di sicuro non sarebbe andato a chiudere. Ecco, il destino sta entrando in gioco. Anzi, a dire la verità il destino c’è sempre stato, anche se noi pensavamo di fregarlo. Probabilme­nte ha architetta­to qualche sadico giochetto. Ha fatto fuori l’unico che una tappa al Giro l’aveva già vinta, l’unico che in carriera si è già tolto più di una soddisfazi­one. Era già scritto da qualche parte che se la devono giocare i quattro cagnacci senza classe e senza gloria, dimenticat­i dal Dio del ciclismo. Siamo quattro che cercano disperatam­ente un successo che ci può cambiare la vita.

Gnula arriva a pochissimi chilometri da casa sua, già lo scorso anno mi diceva di essersi fatto il film in testa di questa tappa più volte: fuga da lontano, gruppo che sbaglia i conti e io che arrivo a braccia alzate. So per certo che vorrebbe dedicare la vittoria a sua mamma che da due anni non c’è più e questo sarebbe il modo più bello per ricordarla. Büz dopo anni a girovagare ingiustame­nte in piccole squadre ha l’occasione per una grande rivincita su tutti quelli che non credevano in lui. Per Boem invece sta passando il treno giusto per sbloccarsi e magari trovare posto in una grande squadra. Io dopo anni a lavorare per gli altri senza mai ritagliarm­i uno spazio personale ho l’occasione di trionfare a un passo da casa mia, posso togliermi una soddisfazi­one dal valore inestimabi­le che potrebbe di ripagarmi di tutte le fatiche senza gloria di questi anni. Vista dall’esterno, dalla parte di chi conosce un po’ il ciclismo e la nostra storia, c’è il condimento giusto per un finale thrilling. Drammatico. Al cardiopalm­a.

«Ho tre avversari da battere e due di questi sono amici. Forse se scatto per primo è fatta, forse posso farcela. Forse la posta in palio è troppo alta per credere alle amicizie. Forse, forse, forse».

Ai meno quattro chilometri, per radio, mi urlano che abbiamo ancora cinquanta secondi, seguito da un oggi è la tua occasione. Dico a Gnula del vantaggio, lui mi guarda con uno sguardo teso, è incredulo. Ai meno tre passiamo davanti al mio fan club e riesco a riconoscer­e solo mio babbo. D’istinto lo saluto con un cenno. Sono lucido, so cosa devo fare: devo attaccare per primo. Boem è nervoso perché la velocità si è abbassata e tutti tirano corto. Ai meno 1800 metri, mentre lui si sta facendo sfilare, dopo aver cambiato ed è girato verso Büz a sbraitare, Gnula mi lascia qualche metro e io scatto secco. Arrivo nella piazza di Forlì e il boato della folla è davvero assordante, adrenalina a fiumi, scariche elettriche, acido lattico. Attimi che non dimentiche­rò mai. Spingo con tutto quello che mi è rimasto in corpo, so di aver fatto il vuoto e decido di non voltarmi indietro, percorro l’ultima curva andando un po’ troppo piano perché sono poco lucido, lo sforzo che sto facendo è disumano. Mancano 400 metri.

Dai Alan, è fatta!

A un certo punto guardo da sotto il braccio e vedo la ruota di Boem dietro alla mia, tempo due secondi e mi ha già sorpassato. Mi giro e vedo gli altri due vicinissim­i, pronti anche loro a saltarmi.

A quel punto smetto di pedalare, non ne ho più. Adesso per me fare quarto o ultimo di tutto il gruppo ha lo stesso valore. Ho solo voglia di piangere. Vince Boem, il Nemico. Io taglio il traguardo in lacrime, l’occasione della vita è sfumata via per sempre. Mancava così poco al trionfo.

Ero a un passo.

Oggi forse i nostri sogni hanno fatto a pugni tra loro. Per andare all’autobus, percorro un tratto di strada parallela al rettilineo finale incontrand­o decine e decine di sguardi e facce che conosco, mi sento un gladiatore che sta uscendo dall’arena. Sento i vari Grande Alan!, Bravissimo Alan!, Dovevi vincerla tu…».

Sono deluso ma felice di aver regalato emozioni vere e autentiche a tutti quelli che mi hanno sempre sostenuto. Poco dopo scopro che dietro di me è successo quello che non avrei mai immaginato.

Gnula si è mosso per ben due volte, annullando così il mio attacco e per poi finire terzo. Pazzesco. Ha perso completame­nte la testa, l’adrenalina gli è andata al cervello e gli ha offuscato la mente, pensava di poter vincere pur avendo finito la benzina e ha rischiato l’impossibil­e, è l’unica spiegazion­e. Mi sento in colpa per non avergli parlato prima, dovevo dirgli non veniamoci a prendere oppure non facciamo cazzate sicurament­e sarebbe servito a farlo ragionare di più.

Perché non gli ho detto niente?

Perché ho dato tutto per scontato?

Perché, perché, perché?

Avrei dovuto capire da quello sguardo che non era in sé, avrei dovuto ricordarmi che in certe situazioni vive quello che fa con trasporto emotivo e poca razionalit­à, invece niente. Ero troppo impegnato a pensare ad arrivare in fondo, a farmi tutti i miei viaggi mentali.

Che stupido.

Sono sicuro che in questa sua doppia azione non c’è stata cattiveria, se non fosse così vorrebbe proprio dire che io dalla vita non ho imparato proprio niente e che mi merito solo delle fregature. Dopo tutti questi anni a condivider­e i nostri pensieri riguardo la bici, le donne e la vita in generale, il cercare tante volte di farsi coraggio a vicenda quando le cose andavano davvero male, non può averlo fatto con cattiveria. Io non ci credo, non esiste. È tutta colpa del destino e dei suoi sadici giochetti, era tutto scritto. E io sciocco che il destino pensavo di fotterlo con questa folle avventura studiata a tavolino.

Chi mi credevo di essere, io? Dio?

Alla fine il destino ha fottuto me, anzi, noi. Come da copione. Ci metto dentro anche Gnula, oggi forse i nostri sogni hanno fatto a pugni. Pazienza. È inutile cercare di dare un senso a qualcosa che non ne ha mai avuto sin dall’inizio. Abbiamo fatto qualcosa di davvero folle e folle era giusto che fosse pure il finale. Anche se la rabbia resterà per un po’ di tempo esco da tutta questa indimentic­abile avventura più forte di prima. Oggi ho raggiunto una consapevol­ezza in più nella mia vita: posso vincere. Posso vincere la tappa di un grande giro e me ne sbatto se oggi è andata così. Basta crederci, crederci, crederci per davvero e portare con sé sempre un pizzico di follia.

«Ho solo voglia di piangere. Vince Boem, il nemico. Io taglio il traguardo in lacrime, l’occasione della vita è sfumata per sempre. Mancava così poco al trionfo. Ero a un passo».

 ??  ?? Cronosquad­re.
I compagni di fuga di Alan sono quattro, li conosce tutti tranne uno.
Pagina precedente, Alan disperato.
Cronosquad­re. I compagni di fuga di Alan sono quattro, li conosce tutti tranne uno. Pagina precedente, Alan disperato.
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 ??  ?? Delusione.
Mancava poco al trionfo. Ultimi metri prima del traguardo di Forlì per Alan.
Delusione. Mancava poco al trionfo. Ultimi metri prima del traguardo di Forlì per Alan.
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Nicola Boem è il vincitore della Civitanova Marche Forlì, 10a frazione del Giro d’Italia 2015.
Il "Nemico". Nicola Boem è il vincitore della Civitanova Marche Forlì, 10a frazione del Giro d’Italia 2015.

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