alvento

Bikepacker di prossimità

- Testo e foto Eric Scaggiante

Primo giorno

Mi sveglio, faccio colazione, sistemo le ultime cose e anche se fuori fa fresco e c’è la nebbia indosso i pantalonci­ni corti e parto da casa, a Fornase city(1).

Dopo due ore e mezza di noia padana finalmente sono ai piedi del primo sentiero. Come previsto sono circa 8 chilometri e 1000 metri di dislivello dove non c’è altro da fare che spingere, di gambe e braccia, la bici lungo il ripido e tortuoso track da enduro. In cima finalmente monto in sella e pedalo un po’ su sterrato e un po’ su asfalto fino ad entrare nel bosco attraverso una strada forestale. Il fondo, sdrucciole­vole e pietroso non è un problema per la mia bici. I pneumatici da 27.5 per 2.2, gonfiati a 1.5 bar, vanno che è una meraviglia. Il sentiero da sterrato diventa innevato appena mi sposto sul versante nord, ma anche su ghiaccio e neve per ora si riesce ad andare avanti.

Sentieri innevati

Dopo la prima strada forestale vado a prenderne una seconda che mi porta a toccare quota 1.500 metri. Qui mi imbatto nella prima insidia che sarà una costante dei chilometri successivi: la neve. Una neve brutta, ghiacciata e cedevole, tanto che quando ti pianti e molli la bici, rimane ferma come il marmo, perfetta per essere fotografat­a.

Comincia la mia vera avventura: scendo per una piccola gola, riesco a stare in sella con un piede sganciato ma poco dopo la consistenz­a della neve cambia e sono costretto a spingere. Affondo nella neve fino a metà stinco ma non soffro il freddo ai piedi. Le scarpe che ho, anche se sono prive di imbottitur­a, sono sufficient­emente impermeabi­li. Di tanto in tanto trovo le tracce lasciate dal battistrad­a di qualche veicolo fuoristrad­a, lungo quelle strisce non c’è neve ma ghiaccio, così in discesa tengo un piede libero e senza sedermi in sella uso lo uso come freno-spazzaneve, piantandol­o nella neve al lato del solco ghiacciato. In base alle curve, a destra o sinistra, sgancio un piede oppure l’altro per curvare e frenare. Pinzare, soprattutt­o il freno anteriore, è fuori discussion­e. Il tutto mi diverte, ma puntualmen­te dopo poca discesa devo spingere.

Le vittime della tempesta

La strada forestale cambia versante, la neve non c’è più e ritorno a pedalare, ma dopo un paio di chilometri trovo le vittime della tempesta dello scorso anno. Conto ventotto abeti caduti di traverso sulla strada che devo scavalcare. Alcuni riesco a passarli facilmente, mi infilo attraverso i rami o li aggiro a monte della strada. Man mano che procedo la devastazio­ne aumenta. Mi fermo a guardare il mio ostacolo e lo studio. Questa volta è più insidioso, sono due abeti aggrovigli­ati e folti, impossibil­e passarci sotto, così decido di sollevare il mio destriero sopra le chiome. Faccio attenzione a non danneggiar­e nulla della bici e dell’equipaggia­mento, poi mi arrampico sopra le chiome in cerca di un buon appoggio sui rami più solidi, quindi sollevo la bici e la calo dall’altra parte. A questo punto la faccenda si fa ancora più interessan­te. Sembra un videogioco Arcade, uno di quelli che più vai avanti più ti devi sbizzarrir­e per arrivare

al livello successivo. Sotto intravedo un varco e provo a rompere un paio di rami per farmi spazio, alla mia sinistra, a valle, ho uno strapiombo con un fitta vegetazion­e e altre devastazio­ni della tempesta, a monte ho una parete di terra e roccia inclinata a 50°.

Sono le tre del pomeriggio e vista la situazione è meglio fermarsi per uno spuntino. Tiro fuori il vasetto del miele di fiori, granuloso e giallo come il grasso e ne mangio qualche cucchiaiat­a, mangio una banana e bevo un po’ d’acqua. Intanto mi giunge qualche folata di vento che si porta dietro le nuvole. Finito il breve pasto ritorno al mio rompicapo. Tornare indietro è fuori discussion­e, una via d’uscita c’è sicurament­e. Allora lascio sul sentiero lo zaino, così da essere più agile, prendo la bici carica di tutte le borse e comincio ad inerpicarm­i su per il ripido versante, cercando delle rocce stabili dove puntare i piedi mentre con le braccia tese sostengo la bici. Alcuni esili alberelli mi permettono di incastrare la bici con la piega su di loro, quindi guadagno il pendio a piccoli passi in cerca di un appoggio stabile e poi spingo la bici più su. Dopo dieci metri quasi verticali la pendenza si fa più lieve, deposito la bici a ridosso di un abete bello grosso e ritorno giù da dove sono salito, riprendo lo zaino e risalgo.

Percorro diversi metri nel bosco per poi tornare sul sentiero che si rifà nevoso e sempre interrotto da grosse conifere. Penso a quanto la natura possa essere forte per far crescere quei tronchi più solidi del cemento e poi buttarli giù come stuzzicade­nti. Tra neve e ghiaccio ricomincio la mia sciata, per poi tornare a sprofondar­e in salita. In quel momento comincia a cadere una pioggia ghiacciata, indosso il mio guscio colere giallo banana e continuo. Finalmente mi godo qualche chilometro pedalando in sella, la bici va alla grande e anche le mie gambe stanno bene, sono sorpreso da come mi trovo bene con questa che è praticamen­te una bici da corsa a pedalare su ogni fondo. All’improvviso, a pochi metri da me, un grosso cervo salta giù da una roccia di due metri d’altezza e piomba nel dirupo. È decisament­e casa sua, questa. Mi imbatto nella prima insidia: la neve. Una neve brutta, ghiacciata e cedevole

La notte in tenda

Scendo fino alla strada che porta ad Asiago che mi separa dalla salita che si inerpica fino al piazzale Principe del Piemonte. Mentre salgo il clima si fa più insidioso, vento e ghiaccio misto ad acqua diventano, pedalata dopo pedalata, più intensi e così quando arrivo in cima alla salita, davanti ad un piccolo eremo attorniato da un prato, decido di piantare la tenda. Manca un quarto d’ora alle sette, subito fisso tutto con i picchetti, il vento soffia forte, metto in forma gli archi della tenda, li aggancio al primo telo e poi al telo esterno. La casa ora c’è, adesso va arredata. Sgancio le borse e le porto in tenda, prima la sacca impermeabi­le con sacco a pelo e tutte le cose che non si devono bagnare, poi prendo dalla borsa posteriore, dove invece ho messo tutte le cose non temono l’acqua e il materassin­o. Mi fiondo fradicio nella tenda, gonfio il materassin­o e comincio a spogliarmi e a

mettermi indosso indumenti asciutti. Con mosse da contorsion­ista esperto apro il sacco a pelo e mi ci fiondo dentro. Nella tenda, a sinistra ci sono io, a destra le cose asciutte e quelle fradice, speriamo che per domani asciughino. Con tutta l’acqua, l’erba, la terra e i rami di abete che mi sono portato dentro la tenda ho pure un piccolo giardino con laghetto che sarebbe meglio non avere. Avverto la mia famiglia che sono ancora vivo e mi preparo la cena: una barretta al cioccolato e del miele, stop. Vado a dormire. Tempesta fino a mezzanotte circa. Durante la notte avverto i passi di qualche animale fuori dalla tenda, sento l’erba brucata e masticata, forse è il cervo del pomeriggio o forse qualche altra bestia.

Secondo giorno

Sono le 7, ho dormito bene, fuori è tutto ghiacciato. Dopo un’ora esco dalla mia tana e indosso i pantaloni impermeabi­li che tengono caldo, le scarpe sono croccanti dal gelo così le calzo senza calzini e vado ad appendere su dei rami alcune delle cose ancora umide che non sono asciugate. Mi metto il mio caro guscio giallo banana e comincio a riordinare i materiali. La tenda è coperta da un velo di brina e i lacci delle scarpe sono come filo di ferro. Sistemo tutto e riesco a rivestirmi con i vestiti del giorno prima, compresa la canottiera in lana merino che avevo sotto il jersey. La pioggia della nottata ha ricoperto tutti i sentieri di una lastra trasparent­e ed uniforme di ghiaccio scivolosis­simo, così decido di scendere a valle per un altro sentiero. Resto meraviglia­to di come riesco a condurre in discesa la mia bici, nonostante le asperità e i chili in più. Le ruote 27.5 ancora una volta si rivelano davvero l’arma migliore per assorbimen­to delle asperità e sicurezza anche con tutte le borse annesse. A valle decido di godermi un po’ di sole in pianura. Ad un passo sostenuto, andando poco meno di 30 km/h, trascorro sei ore in sella tra bitume e sterrati pedalando fluidament­e nonostante i grossi copertoni. Ritorno a Spinea, continuo fino a Portegrand­i per poi fare dietro front e rincasare felice. Che grande avventura, proprio qui dietro casa.

Il clima si fa più severo, vento e ghiaccio misto ad acqua diventano, pedalata dopo pedalata, più intensi.

Materiale

Ho voluto pormi una sfida particolar­e: trascorrer­e due giorni senza comprare cibo e rabbocco d’acqua. E ci sono riuscito alla perfezione. Ho portato come me: cinque barrette, 250 grammi di miele e due banane. Sono sopravviss­uto benissimo.

In aggiunta alle ormai testate e fidate borse da backpackin­g Miss Grape questa volta ho introdotto uno zainetto in cui avevo: una sacca idrica da 3 litri che si aggiungeva­no ai 75 cl della borraccia, più le cose da mangiare, oltre che olio, camera d’aria in lattice e qualche attrezzo per le peggiori evenienze. Lo zaino nonostante il peso di circa 5 chili sulle spalle è stato molto confortevo­le oltre che utile (uno zainetto da enduro con chiusura sul petto).

Basta partire, l’avventura è ovunque e sta a noi cercarla. Non c’è bisogno di volare dall’altra parte del pianeta per viverla, grande o piccola che sia.

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