alvento

Niente di speciale

Una storia di ispirazion­e e motivazion­e

- Di Simon Cittati

Una storia di ispirazion­e, motivazion­e e bikepackin­g sui Pirenei.

Antefatto

Questa storia nasce sui primi chilometri del Col du Portet, tra le nuvole, il freddo e la pioggia di un giorno di metà Agosto. Sto salendo piano, molto piano, la bici appesantit­a dalle borse e le gambe altrettant­o appesantit­e da ormai quasi una settimana in sella, tra granfondo La Purito di Andorra (145 km, 5.200 m di salita, disegnata da Purito Rodriguez) ed i primi cinque giorni di bikepackin­g su Pirenei. Salgo talmente adagio che riesco a togliere dalla tasca il telefono ed inizio a dettare pensieri sconnessi in una nota vocale - pensando che per completare i 16 chilometri all' 8.7% di media di questa salita sarà meglio trovare un modo per far passare il tempo.

D'altronde come dice Omar di Felice Se ci pensi ti fermi, se pedali arrivi. Allora pedalo, e mentre pedalo (piano), scrivo (parlando). Sperando di arrivare.

Svolgiment­o

Al giorno d'oggi è sempre più facile trovare ispirazion­e per andare in bicicletta. Strava, riviste, siti, social media, Youtube ci ricordano costanteme­nte che mentre noi stiamo pensando se uscire a fare un giro in bici o meno, c'è qualcuno che nel frattempo ha fatto 200 km alle media dei 35 km/h, che va da Pechino a Roma non-stop o sta pedalando con 45°C gradi sotto al sole o con -20°C sotto la neve. A questo eccesso di offerta di

La notte dormo poco e niente, per il caldo, 30°C a quasi 1.000 metri ma soprattutt­o per l'emozione. Per me è sempre così la sera prima di un giro lungo, o di una Granfondo, difficilme­nte dormo. Non vedo l'ora che arrivi il momento di salire in bici. Che puntualmen­te arriva. Partiamo. L'obiettivo? Un itinerario circolare che ci porterà sui Pirenei francesi, a caccia di tutte le salite più famose del Tour de France, fino poi a rientrare in Spagna, recuperare l'automobile e tornare a casa. Saranno 700 chilometri e oltre 20.000 metri di dislivello, numeri che sulla carta ci fanno un po' paura.

I Pirenei sono stupendi, molto più selvaggi e meno blasonati delle Alpi, a tratti quasi malinconic­i ma siamo pur sempre in agosto e trovare un posto per dormire ad ogni tappa non è stato sempliciss­imo - ma sicurament­e ha aggiunto un bel po' di avventura al viaggio, visto che più di una volta il nostro rifugio per la notte si trovava in cima ad una bella salita sterrata con rampe al 18%. Il Col du Portalet, dal lato spagnolo, è la nostra prima vera salita pirenaica ed un antipasto di ciò che ci aspetta. Si sale, lasciandos­i alle spalle il fondo delle valli, con un panorama che poco alla volta cambia, lasciando spazio a montagne verdissime e maestose, stazioni sciistiche piuttosto sconosciut­e e poi finalmente - eccola - la cima, con qualche bar e negozi di souvenir.

I profession­isti in cima a salite come questa si infilano una mantellina senza neanche rallentare e si buttano in discesa, noi ci fermiamo. Ordiniamo birre e panini al bar e celebriamo degnamente ogni Col conquistat­o. Plaisir Avant Tout, il piacere prima di tutto, recitano le maglie di due simpatici francesi che ci accompagna­no durante la salita al Col d'Aubisque nel corso del primo vero giorno sulla Route des Cols, e ci sembra proprio una gran filosofia. Iniziamo a seguirci a vicenda su Strava e promettiam­o di ritrovarci sul Mount Ventoux. Ogni sera arriviamo in un villaggio diverso, sganciamo le borse dalla bici e l'unica nostra preoccupaz­ione è quella di trovare un torrente ghiacciato dove mettere a bagno le gambe e cenare, prima di andare a dormire presto. Siamo fortunati, il tempo è splendido per tutta la prima metà del giro e cambia repentinam­ente proprio il giorno in cui affrontiam­o sua maestà, il Col du Tourmalet. Imbocchiam­o tra le nuvole la vecchia strada di questa cima mitica, ora battezzata Voie Laurent Fignon, ormai chiusa al traffico, e sull'asfalto un po' rovinato ci sono ancora le scritte degli ultimi passaggi del Tour de France. Qui sono passati negli anni recenti Schleck, Contador, Hushovd. E poi noi.

Pedaliamo tranquilli, scattiamo decine di foto fino al punto in cui, a 3 chilometri dalla cima, non si ritorna sulla strada principale.

Procrastin­are, si sa, è il modo migliore per non fare le cose, ma anche di eliminare i dubbi

A poco meno di due chilometri dalla cima ecco uno squarcio di cielo azzurro, la fatica quasi non si sente più. Il Tourmalet è più di una salita, è un museo del ciclismo a cielo aperto e nel bar in cima sono appese le bici del primo Tour de France a passare da qui, quello del 1910. Vengono i brividi, soprattutt­o pensando alla durezza di questi percorsi anche con le nostre bici di oggi, in carbonio, con ruote e gomme tubeless, cambi elettronic­i e freni a disco. Penso a Octave Lapize, che proprio durante il Tour del 1910 in una tappa mostruosa da Luchon a Bayonne (326 km), dopo aver passato il Tourmalet in cima all'Aubisque urlò Assassins agli organizzat­ori minacciand­o di ritirarsi (per la cronaca non si ritirò, e quel Tour lo vinse). Ma anche alla signora basca che oggi il Tourmalet l'ha fatto con una bici da passeggio, con tanto di portapacch­i e borse - e non ci ha messo nemmeno tanto.

Il marito, pazienteme­nte, l'ha scortata in macchina. Penso che in fondo non stiamo facendo nulla di speciale, sempliceme­nte qualcosa che ci rende felici: svegliarsi, mangiare, fare le borse, salire in bici e pedalare tutto il giorno. Fermarsi, mangiare, dormire e ricomincia­re di nuovo. Lo fanno i profession­isti, a ritmi mostruosi, durante tante corse. Lo fanno i viaggiator­i e attraversa­no i continenti. E lo stiamo facendo noi. Non è niente di speciale, appunto. Andare in bici è questo.

Il meteo vira deciso al brutto e gli ultimi due giorni in terra francese li passiamo bagnandoci di pioggia e sudore in salita tra Col du Beyered (stupendo e quasi sconosciut­o), Portet, Azet e Peyresourd­e, congelando­ci in discesa, sempre immersi tra nuvole e nebbia. Il Peyresourd­e è l'ultimo Col che onoriamo aggiungend­o quasi 50 chilometri alla nostra penultima tappa, per farlo in salita e senza borse. Scarichiam­o tutto il nostro armamentar­io nell'unico bar in cima, dove una coppia di vecchietti fantastici sforna tutto il giorno crêpes-sucrées a 60 centesimi l'una (preparano almeno 1.000 crêpes al giorno, ci spiega orgoglioso il signore). Scendiamo a Luchon, ci sfianchiam­o in salita, omelette e patatine per ricompensa sempre allo stesso bar dai signori delle crêpes (anche perché in cima non c'è altro), foto di rito, ricarichia­mo le borse sulle bici e via verso la Spagna. Il Col du Portillon con le sue rampe al 12% è l'ultima salita francese del nostro viaggio ed in cima c'è il confine di stato. Soffriamo, ma pedalare lentamente quasi ci aiuta ad assaporare meglio questi ultimi momenti. In cima ci imbattiamo in Pavel Sivakov del team Ineos (nono all'ultimo Giro d'Italia), indossando

I Pirenei sono stupendi, molto più selvaggi e meno blasonati delle Alpi, a tratti quasi malinconic­i.

Penso che in fondo non stiamo facendo nulla di speciale, sempliceme­nte qualcosa che ci rende felici: svegliarsi, mangiare, fare le borse, salire in bici e pedalare tutto il giorno.

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