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L’ESTATE ITALIANA SIAMO NOI

- DAVIDE MARTA

L'estate italiana non è un concetto che si può spiegare, specialmen­te a chi non è italiano. Basta pronunciar­e queste due parole insieme e tutti noi abbiamo un'idea chiara di che cosa vogliano dire. Non è la somma di un sostantivo e di un aggettivo, non è una stagione trascorsa in una certa zona geografica. L'estate italiana è un moltiplica­tore di sensazioni che ci sono entrate dentro da bambini e che faranno sempre parte di noi, accompagna­te da un senso di malinconia perenne forse più intenso dell'allegria che ne deriva. Bisognereb­be essere in grado di trasformar­e in parole quell'insieme di sapori e odori, trasferire su carta quel caldo umido delle prime ore del pomeriggio, oppure il sole a picco che pizzica la pelle. Gli occhiali da sole sfoggiati con malcelata vanità, la leggerezza di camminare in ciabatte, trascinand­o un po' i piedi, con la Gazzetta e il sacchetto del pane la domenica mattina. Come si fa a descriverl­i davvero, senza entrare nel luogo comune? Oppure quei tormentoni che detesti profondame­nte ma che ti entrano nella testa - non puoi evitarlo - perché li senti pompare dal finestrino aperto di un'auto al semaforo, nelle pubblicità degli operatori telefonici e all'ingresso del bar dove vai a prendere il caffè e alla fine te li canticchi anche mentre vai in bici. Odori, dicevamo, quello del sugo della pasta che sbuca dalle finestre quando non te lo aspetti, già alle undici del mattino, accompagna­to da toni di voce un po' più alti del solito, di frittura di pesce pedalando svogliatam­ente a ginocchia larghe sul lungomare su una bici da passeggio che chissà da quanto non tiravi fuori, di eau de toilette spruzzata con cafoneria la sera quando si va a prendere un gelato. È uno stato d'animo che lega un Paese, che in fondo Paese non è mai stato per davvero, tra la grigliata con i parenti, la coda davanti alle pizzerie mentre uno della comitiva va dentro a chiedere se c'è posto, le auto che cercano parcheggio e le lamentele di chi davvero non vuole camminare dieci minuti per raggiunger­e la spiaggia. È un rituale di famiglie che si riuniscono ai parenti per una domenica in compagnia, di nonne che distribuis­cono panini ultra-calorici sotto l'ombrellone a 40 gradi. È il calciomerc­ato, con le squadre che trattano campioni che non arriverann­o mai (ma sognare non costa nulla), è quello strano scenario di strade vuote nelle città con la calura che si alza dall'asfalto rovente. È il Tour de France guardato in television­e al pomeriggio, sotto il gazebo di un bar, con il solito simpaticon­e che chiede ad alta voce Ma come fanno quelli a pedalare con un caldo del genere? L'estate italiana è qualcosa di immutabile negli anni, non importa se si cresce e si invecchia e magari qualcuno ormai non c'è più. Ha resistito sostanzial­mente immutata anche al Covid-19 e al lockdown, poco conta se tutti avevano le mascherine chirurgich­e attaccate ad un orecchio, sotto il mento o infilate in un braccio.

Per questo sorprende osservare qualcosa di nuovo, in questa estate che è stata ancora più italiana, perché quasi tutti l'abbiamo trascorsa nei confini nazionali. È la bicicletta, vista un po' dappertutt­o. Sì, la bicicletta come grande protagonis­ta, oltre ai soliti amatori che sfrecciano a velocità proibitive, mezzo di trasporto per improvvisa­ti viaggiator­i a ritmo molto più lento, una volta tanto senza la spocchia del turista, con più attenzione al paesaggio, ai soliti odori e colori. Ai soliti sapori, però magari inseguiti per 70 chilometri pedalati nel pomeriggio con l'obiettivo di fare tappa per assaggiare proprio quel piatto in un borgo sull'Appennino, prima di lasciarsi andare ad un sonno che non arriverà mai perché fa troppo caldo e si suda anche a stare fermi sul materasso. Il risultato sono i selfie con sorrisi larghi così che abbiamo visto scorrere sulle bacheche dei social, gioia vera di chi ha sofferto e si è messo in gioco ma ce l'ha fatta, perché diciamocel­a, è stata una faticaccia ma ne valeva davvero la pena. Ecco, in un'estate italiana che non muta nemmeno davanti ad una pandemia, le bici in carbonio filanti con le ruote a profilo alto caricate con le sacche, spinte da gambe capaci di 4000 metri di dislivello al giorno, così come quei vecchi cancelli che erano in garage da sempre ma che funzionano ancora, sono stati il ponte verso un futuro più civile, più lento, più ricco di emozioni. Di cui fanno parte le famiglie felici con i bambini sulle poco attrezzate ciclabili di un Paese che deve ancora evolversi tanto in questo senso. E non importa se sotto il gazebo del bar abbiamo guardato la Sanremo e il Lombardia che - quelli no con l'estate italiana davvero non c'entrano.

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