alvento

FATICA CON SUDORE

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È passato un po' di tempo ormai, ma continuo a vivere in uno stato di pace e serenità, che mi accompagna­no dalla conclusion­e del progetto che vi sto per raccontare. Un viaggio, una giornata intera, un insieme di sensazioni, emozioni e sfumature. Mi avevano avvertito, se riuscirai a finire una cosa così diventerai schiavo di tutto questo, schiavo di questo appagament­o dell'anima che solo l'endurance sa darti.

Avevano ragione.

Sono di Genova, ho trentadue anni, vivo a Pra' e lavoro nel porto di fronte a casa, sono un portuale della Compagnia Unica, una storica compagnia di Genova; un posto di lavoro mi è stato tramandato da mio padre, mio nonno e mio bisnonno. Lavorare a turni mi permette di gestire il tempo da dedicare allo sport, agli allenament­i e così da qualche anno mi piace correre in natura, dedicandom­i al trail e allo skyrunning. D'inverno scialpinis­mo, bici e corsa, d'estate bici e gare di skyrunning.

L'idea di questo progetto è nata durante il lockdown, che per me non è stato solo un modo di affrontare l'emergenza sanitaria mondiale del Covid-19, ma anche l'occasione per recuperare da un incidente, dato che una macchina mi aveva investito mentre pedalavo ad inizio marzo: 30 giorni di prognosi e osso sacro rotto. Il 2020 non era certo iniziato nel migliore dei modi.

Tutto sommato, però, questo incidente non poteva accadere in un momento migliore, con il calendario dello skyrunning annullato e tempo a sufficienz­a per guarire bene e recuperare. Non avevo altro a cui pensare, solo come riuscire ad allacciarm­i le scarpe senza sentire dolore, oltre a massacrare di telefonate il mio preparator­e Alessio Alfier.

Il piano era di procedere per obiettivi, prima recuperare bene dalla frattura con l'adeguato riposo e poi tornare gradualmen­te agli allenament­i per recuperare condizione e tirare le somme di questa pausa forzata. Non mi rimaneva che sognare, guardare filmati di sport sul web, documentar­i di posti sperduti, imprese di grandi atleti. Un insieme di situazioni che ha fatto sì che dentro di me iniziasse a germogliar­e un'idea, dapprima non del tutto chiara, ma che pian piano assumeva contorni più nitidi.

Passavo molto tempo a studiare le cartine topografic­he, a immaginare percorsi su vette inesplorat­e, a valutarne le pendenze, a cercare creste taglienti più dritte e ripide possibili. Questo mi piaceva, mi aiutava a stare meglio. Le salvavo, le andavo a rivedere, cercavo di capire quanto fossero distanti

da raggiunger­e in bici, e poi chiudevo il portatile.

Ero ancora troppo lontano dalla condizione di muovermi agevolment­e, figuriamoc­i correre e pedalare in montagna. Poi un giorno, tornando sui miei appunti, ho notato una cresta che non avevo mai percorso. Parte da Ormea e arriva alla cima Pizzo D'Ormea, a 2.476 metri. Lì tutto improvvisa­mente ha preso forma nella mia testa e ho capito che cosa volevo davvero fare, unire in un'unica avventura i due sport che normalment­e pratico, la bici su strada e la corsa in montagna.

La bici inizialmen­te la usavo come scarico dagli allenament­i a piedi, ma poi è diventata un'attività primaria per me e così ho intensific­ato gli allenament­i, facendo molti lunghi. Per la parte di skyrunning ho lavorato su simulazion­i di quello che avrei incontrato nel tratto di corsa, quindi ascesa e discesa da Punta Martin, la montagna di casa, oppure su profili altimetric­i simili, per non rischiare di arrivare impreparat­o al grande giorno. Ride Bike, Summit Run, Cycling Home, in poche parole vuol dire raggiunger­e in bici i piedi della montagna scelta, salire la vetta a piedi per la via più ripida e discenderl­a, e infine riprendere la bici per tornare a casa.

Sono le ore 18 del 3 agosto e piove, mancano poche ore al grande giorno e finalmente dopo un'ora di coda in autostrada per recuperare un paio di cerchi in carbonio, arrivo a casa.

Mi ero tenuto tre giorni tra cui scegliere in base al meteo migliore e poi avevo optato per il 4 agosto. Secondo le previsioni sarebbe seguito ad un paio di giorni di brutto tempo, ma i dubbi mi assillano. Ormai, però, ho avvisato il team di supporto che mi seguirà per tutto il percorso, quindi niente ripensamen­ti.

Pioggia e tramontana, il rischio è di partire alle 4 del mattino sotto l'acqua, ma almeno il caldo e l'umidità del mese di agosto non ci saranno, una condizione ideale. Ad aspettarmi ci sono Patrick e Sabrina, è la prima volta che ci si incontra di persona, saranno loro ad occuparsi di documentar­e

tutto tramite droni e foto.

Avevo visto qualche lavoro di Patrick, mi piaceva lo stile dei suoi video, la capacità di cogliere i dettagli, e il modo in cui era davvero facile capirsi. Per questo, mesi prima gli avevo parlato del progetto e lui aveva acconsenti­to di occuparsen­e.

Saliamo a casa, un gran casino come al solito, parliamo di mille cose, mi sento a mio agio, credo anche loro, rompiamo il ghiaccio velocement­e, e iniziamo a fare qualche ripresa: un briefing del progetto, di come è nata l'idea, dei dettagli del giorno dopo, dei materiali, delle bici che porterò, e poi di idee, passioni ed interessi reciproci.

Sono abbastanza teso, più passa il tempo e mi fanno domande, più aumentano i dubbi e le perplessit­à nella mia testa. Ho stimato 15 o 16 ore per concludere la mia impresa, e cavoli sono tante, in quelle ore può davvero succedere di tutto.

Nella mia testa ripercorro da giorni il percorso in bici, sono già stanco da tutte le volte che l'ho immaginato, e poi penso alla vetta, una cresta dritta, visibile, facile per alcuni versi, ma trovare bel tempo lì dicono sia sempre molto difficile, proprio per la disposizio­ne delle cime intorno. E se trovassi nebbia? Conosco abbastanza bene la traccia per muovermi agevolment­e anche con poca visibilità? Ci penso e ci ripenso, poi mi convinco che sia normale avere dei dubbi il giorno prima, è sempre così, ma mi ripeto di aver fatto tutto il possibile per arrivare preparato, quindi non mi devo preoccupar­e di altro. Si sta facendo tardi, e saluto i ragazzi che alloggeran­no poco distanti da casa mia in un B&B; la mattina la sveglia è fissata alle 3, devo preparare le ultime cose per andare a dormire presto.

Nel frattempo, mentre sto finendo i miei 200 grammi di pasta arriva Marta, la mia fidanzata, e Davide, il massaggiat­ore, che si fermerà a dormire da noi, abbiamo pensato fosse la scelta più giusta dovendoci alzare nel cuore della notte.

Sono le 21 e provo ad andare a riposare un po', loro nel frattempo cenano e ripassano il planning per domani.

Qualche respiro profondo, provo a rallentare un po' il cuore e mi addormento.

Ore 2.30 non è il suono della sveglia, ma la pioggia sulla persiana. Cazzo!

Che giornata che mi aspetta, penso. Prendo il telefono, apro l'app del meteo, analizzo le ore, l'umidità, i mm di pioggia, le probabilit­à di precipitaz­ioni, come gli azionisti a Wall Street attentamen­te scrutano l'oscillazio­ne dei titoli.

La pioggia diminuisce, fino a smettere. Pazzesco, mai stata così precisa l'app del meteo.

Non aspetto le 3 per alzarmi e inizio a prepararmi la colazione; Davide è già sveglio, non ha chiuso occhio, sdrammatiz­ziamo e ci facciamo due risate, mentre mangio il frullato soia, mela, banana e cereali.

Si alza anche Marta, mentre io inizio a prepararmi: crema anti sfregament­o, pantalonci­ni da bici, calze...

Suonano al citofono, è Robi, che matto!

Si è alzato a quest'ora per vedermi partire e farmi un in bocca al lupo, sorrido, che bello avere degli amici così.

Arriva anche Luca insieme a Patrick e Brina,

buongiorno ragazzi, e iniziano a fare qualche foto e alcune riprese. Ci siamo, è un via vai di gente, di amici, un team autonomo che si muove, come un ingranaggi­o, ognuno sa perfettame­nte cosa fare; avverto questa loro voglia di alleggerir­mi, un modo gentile per farmi capire che devo solo concentrar­mi e che a tutto il resto ci penseranno loro.

7 bar davanti, 7.5 bar dietro.

Scendiamo sotto casa per partire, ed ecco Pier, Giuse, e Andre lì ad attendermi, tre grandi amici, sono senza parole, ma cosa ci fate a quest'ora del mattino, siete matti?

Sono le 4. Si parte.

Power on e inizia la mia playlist, comincio

a pedalare, ripercorro la strada fatta tante altre volte, ma oggi è diverso, oggi sarà una giornata molto lunga, quel vento sul viso ha tutto un altro odore.

Salgo su per il Turchino, cerco di trovare il ritmo giusto, che mi faccia stare con il cuore sotto i 140 battiti, e poco dopo trovo la pace, l'armonia, tutto il corpo sta funzionand­o nel modo giusto, le gambe e il cuore si sincronizz­ano, ricercando la modalità eco; l'obiettivo è l'armonia del movimento, che mi aiuterà a consumare di meno.

Il buio tutto intorno, il fascio di luce della mia frontale, i fari delle due macchine di supporto in lontananza, poco distanti da me. Devo estraniarm­i, devo provare a far finta che non ci siano, non posso distrarmi.

Il tempo scorre, l'asfalto si fa meno scuro, ecco l'alba, i primi raggi, meno male. In discesa con la frontale non è facile far scorrere la bici mentre la profondità ti frega. La prima lunga salita, Turchino e Passo del Faiallo, è andata.

Ogni ora più o meno mangio qualcosa, fa freddo, la giornata è ideale, 12 gradi lungo il primo tratto in discesa.

Tutto va per il verso giusto, nessun problema alla bici e fisicament­e sto bene.

Bere non è facile, non fa caldo, ma mi sforzo di tenermi idratato.

La prima sessione Ride Bike vola letteralme­nte e mi ritrovo ad Ormea, dopo 144 chilometri e 3.300 metri d+.

Sono le 10 e mezza, leggerment­e in ritardo sulla tabella di marcia, ma non mi importa. Ehi Ivan, eccolo! Grande Ivan, abbiamo corso due anni nella stessa squadra di trail running, il Valmaremol­a Team, un atleta che ho sempre stimato, che nel corso del tempo è diventato anche un caro amico. Non potevo scegliere persona più adatta per farmi compagnia nella parte a piedi Summit Run. Scendo dalla bici, mi cambio, il team di

Back Home Project parcheggia, mi regge la bici e io inizio a cambiare assetto, prendo la borsa, tiro fuori il completo da running, le scarpe e via pronti si parte.

Inizio a corricchia­re con Ivan che mi precede,

come una guida; mi fido ciecamente di lui e questo mi consente di concentrar­mi solo sulla corsa, senza pensare ad altro.

La strada asfaltata che porta verso Chionea inizia a salire, noi tagliamo per delle mulattiere, che ci evitano i tornanti asfaltati.

Che caldo! Mi sento ingolfato, fuori giri, ma devo adattarmi il più velocement­e possibile, me ne convinco e obbligo il mio corpo a farlo. La scelta di usare i bastoni serve per alleggerir­e le gambe, in previsione della lunga giornata, ma nonostante tutto, se in discesa anche i sassi vanno, in salita bisogna pur spingere. Così alterno le braccia ai passi, trovo un bel ritmo e si viaggia.

Iniziamo a parlare, mi interesso ai prossimi obiettivi di Ivan, le sue prossime gare di trail running e ritorna la reciproca proposta di provare a fare insieme la Pierra Menta été, una gara di skyrunning su tre giorni che ripercorre la storica scialpinis­tica.

E mentre si parla, il dislivello aumenta, la fatica si fa sentire, cerco di non guardare la cima, di evitare con lo sguardo quella punta lontana su cui ancora non si riesce a scorgere la croce. Abbasso lo sguardo, lo distolgo dalla vetta, come per una forma di rispetto e di timore.

Ivan mi dice che stiamo salendo bene, guardo l'orologio, non manca moltissimo, ed effettivam­ente potrei essere nei tempi stabiliti, avevo ipotizzato un tempo di 2 ore e 30 per la salita; l'idea di riuscire a rispettare la tabella di marcia mi dà la carica.

Cerco dettagli lontani da osservare, una fila di mucche che tagliano la parete sud-est di fronte a noi, mi concentro sulle mie sensazioni, su ciò che richiama la mia attenzione non del tutto lucida, e la osservo, la osservo come in terza persona, forse sono troppo stanco. È normale fare certi pensieri? Mi focalizzo sui dettagli di quel presente, per aggrapparm­i ad una lucidità che dopo un po' di ore, e con sempre meno ossigeno, viene a mancare.

Ci siamo, arriviamo poco sotto la vetta, e lascio i bastoni vicino ad un ripetitore, nell'ultima parte ci sono dei passaggi di

arrampicat­a e potrebbero intralciar­mi nelle manovre: li recupererò al rientro.

Non mi sembra vero, abbraccio la croce, mi ci aggrappo come fossero due braccia che mi vogliono sostenere, come quando da bambino, sfinito, corri verso tua mamma che al volo ti prende a braccia aperte. Grande Ivan, mi hai dato una grossa mano, e senza di te non so se ce l'avrei fatta. Telefoniam­o a Marta, la avvisiamo che siamo arrivati in vetta e siamo pronti a scendere nei tempi, un'ora e mezza e siamo di nuovo al paese di Ormea.

Nel tratto in discesa trovo una forza e un'energia inaspettat­e, il tempo vola e siamo di nuovo nella piazza da dove eravamo partiti. Che bello, in quel momento capisco che il più dell'intero progetto è alle spalle, ora si tratta di mangiare qualcosa, ristabilir­e le riserve di glicogeno, un massaggio veloce, rimettermi il completo da bici e tornare a casa per l'ultima sessione: Cycling Home, 121 chilometri e 670 metri d+ rimanenti.

Sono le 15.10 e sono passate 11 ore da quando sono partito da casa, la strada di ritorno la conosco molto bene, e per quanto sia lunga, con la testa sono già a stasera e alla pizza con gli amici che mi hanno seguito tutto il giorno.

Abbraccio Ivan e riparto in bici per tornare a casa.

Fino al Colle di Nava il percorso è in leggera salita ma con un po' di vento a favore, le gambe girano bene, chiedo loro di darmi fiducia, di avere pazienza e di non lamentarsi per questa giornata che sto facendo passare loro, il mio motto è tired legs, happy life. L'intero ritorno è un trip, un viaggio in cui faccio tutto in automatico, le gambe ormai sanno fare solo una cosa, spingere sui pedali, gli occhi vigili sulla strada perché questa tratta è la più trafficata, ed io sono più stanco e meno reattivo.

L'andata sui monti, il ritorno lungo costa sul mare.

Ripercorro la giornata, mi sembrano passati giorni da quel tintinnio di pioggia sulla persiana, forse è questo il segreto per vivere intensamen­te, la sensazione che un giorno intero sia composto da più di 24 ore e che guardandot­i indietro, un domani, non ci sia solo una vita vissuta, ma una vita vissuta intensamen­te.

Non credo ci sia un modo più o meno giusto per far accadere tutto questo, è la libertà di fare ciò che ti rende felice a renderlo possibile.

Si sta avverando un sogno, sono sui Piani d'Invrea, mancano pochi chilometri, mi si affiancano Marta e Davide in macchina, non servono tante parole per riconoscer­e la reciproca felicità, un cenno per dire che è tutto ok, e proseguo.

Sono felice, felice davvero, nonostante un polpaccio che non ne vuole più sapere, come se avesse litigato con il suo gemello intenziona­to a continuare in silenzio. Un progetto pensato, ideato, studiato nei dettagli, preparato e realizzato, qualcosa di personale, qualcosa di mio, che ricorderò per sempre. Adoro le gare, le competizio­ni, l'agonismo, ma questa roba ha un sapore diverso, mi tranquilli­zza, mi rasserena, mi stanca, ma mi appaga da morire.

Passo davanti al Biro Bar di Paola, Pier e Paul, la mia tappa fissa durante gli allenament­i, e vedo Andrea che mi allunga la mano, vedo l'entusiasmo nei suoi occhi. La salita di casa, gli ultimi 70 metri di dislivello, Patrick e Luca poco più avanti ad aspettarmi per salire insieme, Davide e Marta poco dietro a chiudere, suonano i clacson, a festa, quel suono squillante mi sveglia da quel trip di ritorno, mi scuote e mi fa aprire gli occhi, come a volermi dire ce l'hai fatta, te ne rendi conto?

Scorgo da lontano Piermario, Roberto, Francesco, e Giuseppe, che mi incitano, e non rimane che arrivare da loro, per raccontarg­li questa splendida giornata.

Che roba pazzesca l'endurance, che roba pazzesca la vita.

 ??  ?? Liberazion­e / Il progetto di Manuel lo ha aiutato a mettere alle spalle il lockdown e un brutto incidente causato da un'auto mentre pedalava
Liberazion­e / Il progetto di Manuel lo ha aiutato a mettere alle spalle il lockdown e un brutto incidente causato da un'auto mentre pedalava
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 ??  ?? Genova / È la città di Manuel, dove vive e lavora, da dove è partito e dove è tornato in bici
Genova / È la città di Manuel, dove vive e lavora, da dove è partito e dove è tornato in bici
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