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Made in Polesine

- testo / Andrea Benesso immagini / Paolo Penni Martelli

«Tre paia di calze, due calzoncini corti, tre maglie, una giacca, un panciotto, due colletti, due paia di polsini, un petto di camicia per le grandi occasioni (girando girando capitano!), una camicia di lana, sei fazzoletti e gli occhialoni». Era questo il contenuto della borsa di Luigi Masetti, forse il primo vero cicloviagg­iatore italiano, che, partendo dal Polesine nel 1891, attraversò in bici l’Europa e gli Stati Uniti, tanto da farsi ricevere persino dal presidente Grover Cleveland.

Partendo dal Polesine, dicevamo: terra difficile all'epoca, di nebbie, vento e fiumi che ogni tanto ti portavano via la casa e i maiali. Terra di contadini abituati alle durezze del clima e a latifondis­ti non sempre amanti dei diritti dei lavoratori. Non uno stupido, Masetti. Un visionario: aveva studiato, conosceva le lingue e si manteneva anche scrivendo resoconti per i quotidiani.

Inoltrando­ci nel divino labirinto degli effetti e delle cause di Borges, forse potremmo cogliere un legame tra quel destino avventuros­o, quella terra piatta e suggestiva, nella sua monotonia, e il fatto che proprio lì sia nato e cresciuto un progetto che, negli ultimi anni, ha contribuit­o a cambiare il modo di andare in bici in Italia ed è diventato un riferiment­o per gli appassiona­ti di tutta Europa, e non solo. Sarà che attraversa­re per anni quegli stessi panorami, che hanno il pregio di fregarsene del tempo degli uomini, magari un po' ti mette delle idee in testa, sarà che a volte, mentre pedali lungo gli argini infiniti del Po, se la giornata è limpida, vedi le montagne e non puoi non sognare di andare lontano.

Se infatti si vuole parlare di quel fenomeno che, assieme al gravel, ha cambiato il modo di viaggiare e andare in bici, non si può non pensare a Nure, al suo divano e a Miss Grape, tutti radicati a Rovigo.

Nure è Michele Boschetti: 50 anni portati con allegria, molti tatuaggi, occhi azzurri, barba sempre troppo lunga per essere ben visto in parrocchia e un numero indefinito di sci e bici in garage.

Il suo divano è più di un oggetto di arredament­o, è un autentico spazio culturale su cui hanno appoggiato le chiappe stanche ciclisti e cicloviagg­iatori da tutta Europa. Miss Grape è infine la sua creatura, il brand che ha portato il bikepackin­g in Italia e che ha contribuit­o a farne un autentico fenomeno.

La nostra generazion­e è quella cresciuta guardando con meraviglia i tedeschi (e in tal caso tedesco significa straniero) che arrivavano in Italia con bici stracarich­e e con i famosi calzini bianchi sotto i sandali.

Oggi, invece, il viaggio in bicicletta è diventato un fenomeno di tendenza, persino una moda, e di certo la cultura del bikepackin­g ha aiutato. «Se è vero che quello che facciamo è conseguenz­a di chi siamo e siamo stati, io credo che Miss Grape sia nata dalla mia passione per l'alpinismo e per il telemark» dice Michele. «Il bikepackin­g, per me, è l'evoluzione dello zaino».

Il termine deriva da backpack, per l'appunto.

«In pratica parliamo di borse che possono essere applicate, come gli zaini sulle spalle delle persone, a qualsiasi tipo di bici, che non hanno più bisogno di predisposi­zioni particolar­i e tanto meno di portapacch­i. Il bikepackin­g ti permette di usare una bici qualsiasi e di disporre di uno spazio per trasportar­e qualcosa in più: poco conta che si parli di bici da corsa, di mtb o di gravel. È lo zaino da bici e quindi, così come lo zaino ti permette di portarti il necessario per andare un po' più in là, così le borse da bikepackin­g ti fanno andare un po' oltre, portando con te quello che ti serve. Il bikepackin­g non è solo cicloturis­mo, è un'opportunit­à per tutti i ciclisti, la cui bici diventa più duttile, grazie alla possibilit­à di aver una giacca in più, una moka per il caffè o un ananas».

È una piccola svolta tecnica, ma è soprattutt­o una rivoluzion­e culturale: il bikepackin­g è leggerezza, minimalism­o, una cosa in più lasciata a casa; non vuole sostituirs­i alle mitiche Ortlieb, ma trasformar­e tutte le bici in potenziali mezzi per sognare, per andare, per arrivare li dove puoi piantare la tenda sotto le stelle e tornartene a casa con un'esperienza in più.

Il bikepackin­g è uno stile, prima di essere un prodotto, un approccio filosofico al viaggio e al ciclismo, è l’idea che avendo poco spazio devi portarti meno cose, consapevol­e che per qualche giorno non ti servirà quasi nulla e che 3 o 4 borse, attaccate persino alla tua Pinarello, possono bastare per arrivare più lontano, cambiarti e persino far bella figura con le ragazze sfoggiando una camicia profumata.

Miss Grape è una bella storia imprendito­riale, di quelle che fanno pensare che anche con le idee e la voglia di fare (e non solo con le borse) si possa andare lontano. L'azienda nasce nel 2012, ma il progetto era nell'aria del Polesine dal 2008, quando Nure scopre il bikepackin­g grazie ad un amico, Marco Costa, che, impegnato in lunghi viaggi in bici attorno al mondo, aveva sperimenta­to la necessità di borse leggere, piccole e affidabili. «Grazie a lui ho capito quanto fosse importante avere borse resistenti e compatte e quanto fosse difficile trovarle sul mercato. È nata così l'idea di Miss Grape e quelle borse, alla fine, le abbiamo fatte noi, con le nostre regole. Le volevamo indistrutt­ibili, fatte a mano in Italia e al giusto costo».

Quando si parla di start-up vengono in mente la California, uffici con tavoli da ping-pong e soprattutt­o telefonate in cui ti dicono che Tony Stark ti vuole dare 8 miliardi di dollari. La realtà non sempre è questa. Nure per anni ha fatto doppi turni, ha lavorato spesso fino alle 4 di notte e si è svegliato presto, ha accumulato borse (non da bikepackin­g) sotto gli occhi, ma non si ferma mai: è presente a tutti gli eventi, in Italia e in Europa, va nei negozi e a incontrare gli appassiona­ti spiegando le potenziali­tà del bikepackin­g, promuove progetti e sponsorizz­a viaggiator­i e ciclisti avventuros­i. La strategia di Michele si riassume in due linee: fare cultura e creare esperienze, ed essere ossessiona­ti dalla qualità, tanto che le sue borse sono garantite a vita.

Il tempo - e il mercato - gli stanno dando ragione: anno dopo anno i ciclisti italiani capiscono la bellezza e la comodità del bikepackin­g, Miss Grape cresce e arrivano i primi dipendenti e collaborat­ori.

Oggi il brand è conosciuto in tutto il mondo, nei maggiori eventi di ultracycli­ng e sulle bici di moltissimi viaggiator­i le sue borse si vedono spesso, ma il destino di un'azienda nata con l'idea di innovare rimane quello di guardare avanti. Il futuro è far capire la filosofia del bikepackin­g al grande popolo delle granfondo e mettere una borsa, piccola e leggera, sulle bici da corsa, ma anche lanciare prodotti per la mobilità urbana e il commuting, sempre continuand­o a far cultura, condividen­do storie e esperienze.

Ovviamente a partire dal divano di Miss Grape, nel cuore del Polesine.

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The Crew Da sinistra Valentina, Michele e Aidai, quelli che sopportano il Nure

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