Il mondo verticale di Toni Palzer
Da essere il predestinato (mai definitivamente sbocciato) all’eredità di Kilian Jornet nello scialpinismo e nello skyrunning al salto nel World Tour in un team di primo piano come la BORA-hansgrohe. Senza aver mai gareggiato in sella ad una bicicletta.
Se volessimo cercare due termini per identificare Anton Palzer, Toni per gli amici, non dovremmo fare chissà quale tipo di esercizio: il suo modo di essere lo leggiamo alla voce leggerezza, mentre la sua indole ha la forma di avventura. La leggerezza è nelle sue parole, nei modi pacati; è un ragazzo semplice ma di una semplicità disarmante, e allo stesso tempo è conciso, dritto al punto. Mai banale, ma leggero appunto, come leggero è in bicicletta e come lo era quando scattava sugli sci. E d'altronde, Toni, oppure Doni, non fa molta differenza, si presenta così, come «il classico ragazzo bavarese tranquillo, normale; tutto sport, famiglia, divertimento, natura e soprattutto montagna». Montagna che per lui ha un solo significato: essere liberi. «Montagna per me è stato il passato, è il presente e sarà il futuro: amo la natura e non è possibile immaginarmi altrove. Ad esempio non riuscirei mai a vivere in una grande città».
L'avventura è la sua materia ed è ciò che lo distingue. È quello in cui si è sempre cimentato e che prende forma in quel suo cambiamento che lo ha portato a lasciare lo scialpinismo per il ciclismo. Trovarsi nel World Tour, dopo essere stati protagonisti nello skimo, come è chiamato (da ski mountaineering) e come lo definisce lui durante la nostra chiacchierata, non è esercizio di tutti i giorni, non potrà mai essere un fatto scontato. «Essere qui è un sogno: un conto è pensare di correre in una squadra Continental o Professional, un altro è nel World Tour. Ci pensate? - dice sgranando gli occhi Per me è qualcosa di magnifico e faccio ancora fatica a crederci». Perché va bene la multidisciplinarità, ma qui si va oltre le gesta di chi interpreta il ciclismo in maniera eterogenea, di chi si cimenta in modo trasversale nel cross, nella pista e poi su strada ad esempio.
Qui parliamo di un ragazzo di quasi ventotto anni che dopo aver affrontato sentieri e pareti con gli sci a piedi, sale su una bici e sembra possa farlo anche con intenzioni importanti. All'apparenza è come mescolare il diavolo e l'acqua santa - scegliete voi chi è cosa. Certo, a margine: non è il primo e non sarà nemmeno l'ultimo a effettuare salti in diagonale così netti da una disciplina all'altra. Diversi prima di lui hanno già percorso questa strada, lui ha colto al volo l'occasione. Per Toni appare facile, grazie proprio alla semplicità d'intenti che lo caratterizza, trovare un punto d'incontro non solo teorico, quanto pratico tra i due sport: «Sono entrambe discipline di resistenza e poi una è propedeutica all'altra: il ciclismo è perfetto per prepararti allo skimo e viceversa». Ma perché un ragazzo che va forte sugli sci decide un giorno di passare al mondo delle due ruote? Forse Palzer non è poi così normale come sembra. «Avevo bisogno di cambiare» afferma, sincero. «Cercavo nuovi stimoli. Dopo tanti anni nello skimo volevo provare altro. Sono entrato in contatto con Ralph Denk, il Team Manager della BORA-hansgrohe, e ho effettuato dei test, seguito dal mio preparatore Helmut Dollinger. Evidentemente i test sono andati bene, altrimenti non sarei qui» racconta divertito.
Avventura è la sua, ma lo è anche la nostra di giornalisti e per chiunque vive la vita del pendolare di questi tempi, di chi si sposta per motivi di lavoro - o di salute o di necessità: come c'è scritto sull'autocertificazione - perché muoversi oggi è sempre un enigma, a volte un rischio. Soprattutto se ti ritrovi in un treno pieno, stipato come un pollo in batteria e cerchi in tutti i modi di evitare di toccarti il naso - quando la voce registrata che gracchia dall'interfono ti ricorda di non farlo: ecco, quello è il momento più difficile - o qualsiasi cosa ti sta attorno, e se ci pensi ti accorgi di averlo già fatto e ormai è troppo tardi, e ti sei spostato la mascherina, ti sei grattato gli gli occhi, o magari hai solo immaginato
di averlo fatto - ma questa è la storia di contorno. La storia principale si svolge su un lago, quello di Garda. Ci ritroviamo in una stanza d'hotel adibita ai massaggi durante il ritiro della BORA-hansgrohe; una stanza che d'improvviso ci mantiene caldi dopo il freddo patito all'esterno in attesa di intervistare Palzer; è lui il protagonista e quella che raccontiamo è la sua avventura. E te lo immagini un po' sbruffone, perché quando vuoi entrare a conoscenza del personaggio prima di incontrarlo e studi qualcosa su di lui che vada oltre i risultati sportivi, chiedi informazioni a chi lo conosce negli ambienti dello scialpinismo. Ti raccontano che è un tipo un po' matto, con la battuta sempre pronta, e invece appena lo incontri ti lascia subito un'impressione diversa per l'estrema delicatezza delle sfumature nella voce e nei più immediati angoli del suo carattere; lo trovi quasi impacciato e timido, inizialmente, poi appena si scioglie staresti con lui ore e ore a chiacchierare e a scherzare. Occhietti vispi, baffo ben curato e ora nascosto da una mascherina nera che gli dona un'espressione benignamente furba, perlopiù attenta. Stephanie, l'addetta stampa della BORA-hansgrohe, ci spiega con voce squillante: «È un ragazzo molto interessante ed è super funny».
Leggero, il ragazzo tedesco di Berchtesgaden, Baviera, non solo a parole: sessanta chilogrammi il peso forma. «Mi vedo scalatore, anzi diciamolo meglio: non mi vedo in nessun altro modo. Amo le salite del Giro e del Tour, ma soprattutto quelle del Giro». Se il Monte Watzmann (2.713 metri di altitudine, ce lo scrive su un foglio per specificare, n.d.a.), situato di fronte a dove è nato e vive, è il suo Smultronstället, ovvero il suo Posto delle Fragole, lo Stelvio è, ciclisticamente parlando, il posto dei suoi sogni. «L'ho percorso diverse volte e da tutti i versanti possibili. E scrivetelo pure: preferisco la Corsa Rosa al Tour de France; amo l'Italia e gli italiani e Bormio è la mia località preferita. Se ho visto la tappa di quest'anno transitata sullo Stelvio? Certo! - ci fa un largo sorriso o almeno così si intuisce dal movimento dietro la mascherina - E ho visto anche i miei ex colleghi dello skimo esaltati a bordo strada che incitavano i corridori».
Non ha un vero e proprio primo ricordo legato al ciclismo visto in televisione, ma ciò che gli ha dato la spinta decisiva è stato il Tour 2019. «Vedere Emanuel Buchmann, mio connazionale e oggi compagno di squadra, lottare per la classifica generale del Tour è stato qualcosa di incredibile» mentre a proposito dei compagni di squadra Lukas Pöstlberger è la figura più importante nel suo approccio a questo sport. «Conosco Lukas da anni, abbiamo diversi amici in comune. È il mio mentore; siamo compagni di stanza qui in ritiro. Quando sono andato alla presentazione della squadra Leggero, il ragazzo tedesco di Berchtesgaden, Baviera, non solo a parole: sessanta chilogrammi il peso forma. «Mi vedo scalatore, anzi diciamolo meglio: non mi vedo in nessun altro modo. Amo le salite del Giro e del Tour, ma soprattutto quelle del Giro».
«Ero uno dei migliori al mondo, ma a quanto pare questo non bastava. I vetri rotti però riguardano solo l'ambiente a livello federale non certo lo scialpinismo che resta un grande amore. Alla montagna ho dato tutto e sono certo che vorrò tornare a vedere qualche gara da spettatore. Non proverò nostalgia, la mia scelta è questa».
a dicembre, lui e gli altri ragazzi austriaci del team mi hanno aiutato a inserirmi subito: Lui è Toni, arriva dallo scialpinismo, è un ragazzo gentile, sempre col sorriso, mi hanno presentato così. Lukas, poi, è prodigo di consigli, ma ce n'è uno in particolare che seguo: entrare nel ciclismo crescendo passo dopo passo». E a proposito di compagni di squadra dice che gli italiani sono fantastici, ha legato particolarmente con Cece Benedetti e Matteo Fabbro. «Lui è un vero matto: io lo chiamo Spaghetti» e racconta di come Sagan, nonostante sia quel campione che tutti conosciamo, resti una persona normale, che fa gruppo, diretto, senza fronzoli. «Quando sei con lui non penseresti mai a un tre volte campione del mondo o vincitore di sette maglie verdi al Tour».
Il click, quel momento in cui ha capito che qualcosa si era inceppato nel praticare la sua vecchia disciplina, è scattato qualche anno fa mentre era in lotta per conquistare la Coppa del Mondo di skimo. Per disputare le ultime gare del circuito La Grande Course era necessario avere un compagno: «Non è stato possibile trovarlo e la Federazione non mi ha permesso di gareggiare.
Lì ho capito che qualcosa si era rotto. Ero uno dei migliori al mondo, ma a quanto pare questo non bastava. I vetri rotti però riguardano solo l'ambiente a livello federale non certo lo scialpinismo che resta un grande amore. Alla montagna ho dato tutto e sono certo che vorrò tornare a vedere qualche gara da spettatore.
Non proverò nostalgia, la mia scelta è questa».
Che la montagna sia la sua vita si capisce dall'attenzione e dalla scaltrezza con cui ne analizza i vari aspetti. Spiega che skimo e ciclismo si assomigliano molto quando si parla di altitudine, ecco la verticalità dei suoi mondi: sia nell'uno che nell'altro devi fare uno sforzo per arrivare in vetta, successivamente puoi alleggerire il rapporto o il passo, perché la discesa, in un certo senso, ti accompagna. Diversa è la corsa a piedi perché in quel caso devi continuare a spingere sempre, per salire come per scendere. «Correre in bici ad alto livello - aggiunge - però è più difficile che essere uno sciatore ad alto livello. Sapete, quando guardavo le gare in televisione mi focalizzavo sempre sul chilometraggio. In realtà l'aspetto ancora più complicato è dato dall'altimetria. E di questo te ne accorgi solo quando ti cali completamente nel mondo del ciclismo».
Il primo ricordo in bicicletta per Palzer risale a un cortile di casa e a suo fratello che lo affiancava mentre muoveva le prime pedalate. Un senso di protezione. Infatti Toni lo spiega così: «Sempre protetti da un recinto, non ci allontanavamo mai di casa». Poi arriva lo sci ed il resto sfuma sullo sfondo. Delle circostanze che hanno portato Palzer ad essere deluso dallo scialpinismo vi abbiamo già raccontato ma, si sa, tra la delusione
ed il cambiamento c'è sempre un lasso di tempo in cui, continuando a vivere ciò che vivi, senti qualcosa che muta dentro. «Facevo le gare, arrivavo secondo, terzo o quarto, passavo il traguardo, vedevo la classifica e mi dicevo: Va bene così. No, non va bene così. Tempo prima mi sarei arrabbiato con me stesso, avrei reagito, avrei combattuto per dare anche solo quel due per cento in più che avrebbe fatto migliorare di una posizione il mio risultato. Ecco, quando ho capito che quel desiderio non sarebbe più tornato, ho scelto. Non mi divertivo più, gareggiavo perché ero pagato per farlo, perché era il mio lavoro». Toni Palzer, è nato nel 1993, la sua è una coscienza giovane ma già colma di esperienze e riflessioni. Sarà per la vita che ha vissuto, sarà perché il suo primo sport gli ha insegnato proprio questo.
Lui sa che nel ciclismo è necessaria una grande attenzione ai dettagli tecnici, ma anche che nello scialpinismo è fondamentale addestrare una specifica parte del corpo umano: gli occhi. Nello sci, racconta Toni, devi avere occhi ovunque, non solo sulla pista, sulla strada che stai percorrendo. Forse, quando impari ad avere occhi ovunque, impari il valore delle decisioni che prendi. Che sia una sterzata, un ostacolo, un cambiamento. Una vita che ti metti alle spalle e ricomincia da capo. «Non è stata una scelta facile, anzi. Mi mancheranno moltissimo i miei avversari della Coppa del Mondo; alla fine siamo cresciuti assieme, abbiamo condiviso tutto, è normale. Sarebbe strano il contrario. Quando ho iniziato a scoprirmi poco felice mi sono imposto di cambiare». Ed i suoi familiari? I suoi amici?
«Sono contenti. Perché mi dicono che sono tornato quel Toni che avevano sempre conosciuto».
E se c'è tanto da imparare, non è certo questo a far paura. «Non so quanto tempo ci vorrà prima che impari davvero ad essere un ciclista professionista. Stare in gruppo, stare nella pancia del gruppo, è molto complesso. Può incutere timore, ma il punto su cui focalizzarsi è un altro: puoi imparare sempre, puoi imparare qualunque cosa tu voglia. Puoi provarci almeno».
Lo scorrere del tempo lo porta col pensiero alla sua prima gara da professionista. Innanzitutto, se si immagina alla partenza, si dice contento. Perché in quel momento il ciclismo sarà più che mai qualcosa di reale, tangibile, qualcosa che sentirà sulla propria pelle. C'è, poi, un pizzico di paura, il timore delle cadute. Sì, perché il ciclismo, a differenza dello sci, è uno sport dove si corre a stretto contatto e le cadute sono all'ordine del giorno. In ogni caso, in quell'istante, Palzer avrà un desiderio, rivolto a sé stesso ma soprattutto agli altri. «Magari vincerò qualche gara, non lo escludo. Anzi, nel tempo me lo auguro.
Ma prima è il tempo di aiutare gli altri, di dare un contributo importante a qualche compagno».
Toni Palzer ha ben chiaro il significato più profondo di avventura e lo snocciola, aggiungendo sempre qualcosa di nuovo al già detto. Per lui l'avventura è il senso principale della vita. «Credo non possa esserci vita senza avventura. Le porte ci sono per essere aperte, per prendere e andare là fuori. Amo casa mia, il posto dove vivo e tutto ciò che si respira in quei dintorni, eppure so come il ciclismo mi porterà lontano da casa. Questa è l'avventura: spostarsi nel mondo e fare scoperte. La programmazione è importante, in certi casi anche fondamentale, ma non può esserci solo quella. A mio avviso, quando per troppe mattine ti alzi dal letto avendo già tutta la giornata impostata, devi cambiare qualcosa.
Per tornare a sorprenderti e ad essere felice. La vita, come la carriera da sportivo, è breve. A ventisette anni puoi fare determinate cose, quando ne avrai molti di più quelle stesse cose ti sembreranno impossibili e magari lo saranno. Si tratta del normale scorrere del tempo. E ora è il tempo di provare ciò che si desidera. Anche se fa un po' paura». Con il pensiero poi che il cerchio si possa chiudere per tornare da dove si è partiti. Sei sempre in viaggio, ti emozioni, fantastichi, «ma alla fine, non c'è nessun posto come casa». Si congeda così, con un sorriso nascosto dalla mascherina e che purtroppo di questi tempi possiamo solo immaginare.
«A mio avviso, quando per troppe mattine ti alzi dal letto avendo già tutta la giornata impostata, devi cambiare qualcosa. Per tornare a sorprenderti e ad essere felice».