alvento

Ciò che rimane è solo gioia

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DI DAVIDE GIULIETTI

Non siamo partiti perché volevamo arrivare in fondo. Più sempliceme­nte volevamo viaggiare al vento, e mischiare il brivido della fatica prolungata con la smania di partire e arrivare ogni giorno in un posto nuovo. Tutto nasce tra giugno e luglio dello scorso anno, quando di solito come gruppo Ciclostili si inizia a parlare dell'impresa di stagione. Ma la pandemia scoraggia piani articolati, difficile fare programmi e mettere d'accordo le vacanze di tutti. Finiamo per essere in tre, due da Torino e uno da Rimini. Mia l'idea, che abito da anni in Piemonte e non sono mai tornato in bici in Romagna. Ma come? Sopra o sotto l'Appennino? Strada, gravel o un mix? Proviamo a tracciare tutto gravel ma desistiamo: troppo dislivello, vengono fuori tappe che ci fanno soffrire ancor prima di salvare i gpx. Alla fine decidiamo di passare sotto, in sette giorni: più asfalto per iniziare, fin su da Fausto a Castellani­a, qualche tratto gravel a cucire i segmenti asfaltati. Quindi giù verso la Liguria. Tappone centrale il quarto giorno e tanta foresta off-road su e giù per l'Appennino di Toscana, Emilia e Romagna fino a raggiunger­e l'Adriatico. La prima tappa ci fa subito capire che i chilometri saranno sempre di più di quelli previsti: il percorso si ribella e decide per te, della gioia e della sofferenza. Ogni tanto una voce che chiede quanto manca alla fine della salita? Io che ho tracciato so e controllo, ma non dico nulla. Meglio il silenzio, continuare a pedalare, respirare di naso e arrivare in cima.

Che poi tanto, in un viaggio così, a fine giornata scopri che ciò che rimane è solo gioia, sempre solo gioia. Così è stato su per lo strappo di Sant'Agata dei Fossili al tramonto del primo giorno. O la salita vera di San Pellegrino in Alpe, ammirando le Alpi Apuane con il cielo spazzato da un vento fortissimo. O il passo San Giuseppe tra la provincia di Pistoia e Firenze - tutto foglie pietre e ansimi, forse il tratto più duro? - o al valico Piancancel­li entrando in Casentino. Poi giù fino a Libiano in Valmarecch­ia, ultima fatica gravel prima di tornare alla civiltà. Oltre la gioia, lo stupore per le faggete silenziose, che poi sono diventate pinete, abetaie e castagneti. In fondo ai boschi, a fine giornata, la gentilezza e il sorriso di quell'Italia profonda che speri di incontrare, e alla fine incontri. La Panda in prestito per cenare a Pavana (invano abbiamo aspettato Guccini, ma niente). Quei ravioloni al sugo di pomodoro arrivati per caso a San Godenzo, con il paese chiuso per ferie e il bar che sembrava un acquario dove a turno passavano tutti gli abitanti. L'amorevole accoglienz­a di Francesca del Ristorante del Ponte a San Piero in Bagno, luogo intriso di storia, magico e struggente, che merita di resistere a questi tempi difficili. La magia del mondo fuori ha fatto reazione con quella del gruppetto, noi a pedalare come dei bimbi la prima volta al mare. Abbiamo respirato, pedalato, mangiato, sorriso assieme per 860 chilometri e circa 13.000 metri di dislivello, ed è stato molto molto emozionant­e.

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