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Il giorno della corsa

- DI MARCO BUCCIARELL­I

Come qualsiasi pedalatore per mestiere, per passione, o solo per divertimen­to lancio uno sguardo dalla finestra. Speriamo ci sia il sole, penso tra me e me… e invece niente. Nuvole, foschia, pioggia e poca luce. Speriamo solo non sia freddo, la prima auto-consolazio­ne di una giornata che si prospetta tanto dura quanto entusiasma­nte. Poi il solito rito del vestito e del numero cercando di infilare le gambe nella maglia: sbaglio o è più stretta del solito? Poi un'abbondante colazione, cercando di capire da ogni singolo gesto se le gambe ed il fisico in generale rispondono a dovere, scongiuran­do qualsiasi piccolo segnale negativo, (che poi pensando bene non si sa neanche bene quale sia). Ok, le gomme sono a posto, il numero ed il chip sono fissati. Carico la mia compagna d'avventura nel cofano dell'auto, non senza averle dato prima una carezza per togliere un'insignific­ante macchia di grasso e come per dirle fai la brava, mi raccomando. Dopo una mezz'oretta giungo a Tollo, il paese arroccato su un piccolo colle dove per arrivare percorro una corta ma aspra salita in macchina, chissà come sarà in bici… e dopo oltre tre ore in sella. Finalmente esce qualche raggio di sole. Non fa freddo. Via coi pantalonci­ni corti! Mentre tutt'intorno è un via vai di biciclette, uomini, donne e macchine. C'è di tutto: chi è da ore in griglia perché oggi punta al risultato grosso, chi invece si attarda scherzando, chi fa su e giù per scaldarsi e chi, come me, la prende con tranquilli­tà, cercando di controllar­e se si è preso tutto: panini ok, acqua anche, camera d'aria di scorta pure, le scarpe… le ho prese? Momento di panico. Sì, sì, le ho. Mi avvio così verso la zona di partenza e mi metto in mezzo al gruppo insieme ad alcuni compagni di team. Allora, come va? E via di battute e sorrisi per allontanar­e la tensione. Poi all' improvviso noto che le ruote di quelli davanti iniziano a girare: si parte. Come sempre i primi chilometri sono i peggiori, velocità assurde, ognuno cerca di non staccarsi da quello che lo precede e magari superarlo per rientrare nel gruppetto davanti. È così per la prima mezz'ora. Poi finalmente arriva un po' di salita a mettere ognuno al suo posto. Come ti sembra? Urlo ad un collega che mi affianca su una rampa all' 8%. Abbastanza bene, risponde lui, e io per adesso… Mentre col fiatone faccio capire tutt' altro, tipo chi me l'ha fatto fare. Ma non si può. Il ciclista è condannato all'eroismo, alla fatica, all'andare avanti, perché se va avanti la salita finisce e poi c'è la discesa, cioè la fine dell'agonia. E più si sale veloci, più la fine di essa si avvicina, ma l'intensità della sofferenza aumenta. E così, sul successivo falsopiano, passo il momento peggiore di tutta la corsa. Cinque chilometri in apnea cercando di salvare la gamba per il prosieguo. A un certo punto però vedo alcuni uomini che si sbracciano ai lati della strada: caduta. Speriamo non si siano fatti niente. Poi mi volto e vedo un bel gruppetto e mi accodo a loro dicendo: andiamo regolari, tiriamo tutti senza finirci. E così giungiamo ai piedi della salita più dura della corsa. Pendenza sempre sul 10% e si salvi chi può. Com'è questa salita? mi chiede un uomo alto con la divisa rossa. Eh… che vuoi che ti dica, falla del tuo passo, che è dura, dura, dura. Non faccio in tempo a finire di dire queste parole che mi salta la catena, porca…. No, no, tutto ok, mentre la salita ormai entra nel vivo e quasi senza accorgerme­ne le gambe vanno decisament­e meglio e così mi ritrovo in cima e mi fermo al rifornimen­to dove un signore gentilissi­mo mi riempie la borraccia. Grazie mille, ci voleva proprio! Mi butto così in discesa e nel breve strappo successivo cercando di raggiunger­e un gruppo davanti non più di duecento metri. Ma quei duecento metri me li sognerò per un bel po'. Devo riprenderl­i, non posso restare da solo contro vento. E così neanche il tempo di dire evviva dopo essere rientrato, che un maledetto crampo mi colpisce alla gamba sinistra, mentre davanti se ne vanno di nuovo. No, non può essere! Allora butto giù tutta la grinta rimasta e in poco riesco a rientrare. Bravo! mi dice un collega, mentre io riesco solo a sorridere compiaciut­o di me stesso. Gli ultimi 15 chilometri sono per fortuna in lieve discesa e li percorriam­o tutti sui 40 all'ora e più, fino ai piedi di quella breve ma aspra salita che la mattina avevo percorso in macchina. Le sensazioni non sono cattive, allora mi alzo sui pedali per accelerare, ma di nuovo un perfido crampo mi colpisce nel medesimo punto. Vabbè ormai sono arrivato. Salgo allora piano godendomi il bellissimo scorcio del mare sulla sinistra e di decine di ciclisti che salgono sui tornanti sopra la mia testa, ognuno in religioso silenzio, come per assaporare meglio le ultime pedalate di questa faticosiss­ima ma bellissima giornata.

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